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Il Convento del
Tau, dedicato al culto per Sant'Antonio Abate,
prende il nome dalla croce che i religiosi portavano cucita sulla veste,
la cui forma a T ricorda la testa del bastone al quale, secondo
l'iconografia più diffusa, il Santo soleva appoggiarsi. Fondato alla metà
del Trecento dal fiorentino Giovanni Guidotti, con l'annessa cappella di
S. Antonio, il convento, un insieme architettonico di notevole significato
il cui stile e i mate-riali impiegati riconducono direttamente alla
cultura fiorentina del periodo, rivestì un ruolo di particolare rilievo
nell'organizzazione religiosa della città. Il complesso, i cui locali
oggi ospitano il Centro di Documentazione Marino Marini, nonostante sia
sorto tardi rispetto ad altre simili fondazioni, si inserì nel vivo del
contesto urbano andando ad occupare lo spazio lasciato libero dalla
demolizione della seconda cerchia muraria. I confratelli, dediti alla
diffusione del culto per il Santo Patrono e alla raccolta delle elemosine,
benché non si siano mai occupati dell'assistenza agli infermi, compito
questo primario per altre fondazioni antoniane, incisero comunque nel
tessuto sociale cittadino per il particolare rapporto della loro
isti-tuzione con le popolazioni rurali che si rivolgevano a sant'Antonio
per invocarne la protezione sugli animali domestici. La casa di Pistoia,
sin dalla fondazione destinata ad essere essenzialmente un luogo di culto,
dopo un periodo di prosperità sotto il pontificato di Leone X, si avviò
verso una progressiva ed inarrestabile decadenza culminata alla fine del
Settecento con la soppressione dell'Ordine. Il convento e la chiesa
vennero venduti a privati e destinati ad altri usi, che ne danneggiarono
irrimediabilmente le strutture, tornate, seppure parzialmente, all'antico
splendore a seguito di recenti ed accurati restauri. |
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Particolare degli affreschi trecenteschi |
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La cappella del
Convento del Tau di Pistoia, tornata all'antico splendore grazie
all'accurato restauro di cui è stata oggetto, custodisce al suo interno
il maggior ciclo gotico ad affresco della città. Gli affreschi, per i
quali fu incaricato Niccolò di Tommaso, furono compiuti entro gli ultimi
trent'anni del Trecento dal medesimo Niccolò e da alcuni suoi validi
collaboratori tra i quali, si presume, il pistoiese Antonio Vite. Se
l'intero complesso denuncia le forti tangenze con la cultura fiorentina,
il che risulta evidente dall'impiego della pietra forte, unico esempio di
tal genere in città, ancor di più le pitture dichiarano l'aderenza ai
modi della scuola dei fiorentini Orcagna, i tre fratelli Andrea, Nando e
Jacopo che monopolizzando la produzione figurativa del secondo Trecento,
definirono quello stile vivacemente descrittivo che è caratteristico
dell'arte di quegli anni. L'aula rettangolare, di non grande ampiezza,
preceduta dalla misurata facciata, offre lo straordinario spettacolo delle
tre fasce istoriate sovrapposte
che, dipanandosi lungo le pareti, narrano storie tratte
dall'Antico Testamento, dal Nuovo Testamento e dalla vita di sant'Antonio
Abate. Ciascuna delle dodici vele che costituiscono la copertura della
cappella è dedicata ad un episodio della Genesi, dalla Creazione
del Cielo e della Terra sino ai Giganti. Il ciclo dedicato
all'Antico Testamento prosegue poi nel registro superiore con episodi che
illustrano in quattordici scene le storie di Noè e quelle di Giacobbe.
Il registro mediano illustra quindici episodi tratti dal Nuovo Testamento,
dall'Annunzio a Zaccaria alla Trasfigurazione, e quattordici
storie tratte dalla leggenda di sant'Antonio Abate. L'articolato
piano decorativo, con il Paradiso affrescato
sulla parete presbiteriale, termina con una teoria di Angeli e figure
femminili, forse rappresentanti le Virtù,nello zoccolo
basamentale. Il minuzioso programma iconografico, reso con grande
chiarezza compositiva, corrisponde perfettamente alle necessità
didascaliche dell'Ordine del Tau, le cui finalità benefiche dovevano
essere ben chiare ai fedeli. |