QUEL GIORNO AL PIPER...!

 

 

 

 

« Era il periodo di Pasqua dell'Aprile 1968, siccome in genere la mia scuola dava molti più giorni di vacanza rispetto alle altre scuole, poteva essere la settimana dopo Pasqua, se non addirittura quella ancora successiva, ed io quindi ero ancora in vacanza. Mio fratello, più grande di me di cinque anni, sempre informato in genere sugli avvenimenti romani, mi disse: "...Marco, cerca di andare al Piper oggi, c'è uno spettacolo di luci e suoni, potrebbe essere bello". Telefonai al mio caro amico Lanfranco e così, nel primo pomeriggio, andammo a prendere il tram che portava nella zona di via Tagliamento. Arrivammo al Piper completamente ignari di ciò che andavamo a vedere.....

Come al solito c'erano alcuni gruppi spalla prima dell'annunciato programma di "suoni e luci psichedelici"; non mi ricordo i nomi di questi gruppi, forse, sottolineo forse, potrebbero esserci stati i Fholks (un bravo e famoso gruppo romano dell'epoca). Di sicuro però ricordo il presentatore, Eddy Ponti, perché ci parlai. Dopo la rassegna dei gruppi italiani, iniziò una lunga attesa per preparare ed installare tutta l'attrezzatura di questo sconosciuto gruppo inglese. Il mio amico ed io eravamo seduti subito sotto il palco di destra, ...il Piper in pratica era come avesse due palchi, uno a destra ed uno a sinistra, ed ogni tanto durante questa lunga attesa Eddy Ponti veniva a sedersi vicino a noi per fare due chiacchere e spesso ripeteva questa frase: "...a me non piace il genere psichedelico...". Io cercavo di ascoltarlo, ma in realtà ero distratto ....vicino a noi era seduta una brunetta molto carina di nome Patty (...ricordo benissimo), con la quale avevamo fatto amicizia ed eravamo in una piacevole e promettente conversazione. L'attesa durò circa tre quarti d'ora, durante i quali grandi amplificatori furono montati sul palco. Amplificatori e casse avevano l'insolita caratteristica di avere delle tele bianche grandi come lenzuola applicate sulle griglie dei coni, così da poter visualizzare e far risaltare meglio le immagini che venivano proiettate sul palco. Nessuno sapeva o immaginava cosa sarebbe successo... Ormai tutto era pronto si poteva cominciare, ...partire.

 

E si partì subito, con i suoni incalzanti intermittenti e spaziali di "Astronomy Dominé", alla scoperta di questo nuovo e sconosciuto mondo sonoro fatto di atmosfere misteriose, dolci e grintose al contempo; armonie tradizionali miste a suoni dissonanti e stridenti. L'aria era elettrica e carica di tensione, ...il pubblico era tutto in piedi, immobile, come rapito, pietrificato, ipnotizzato e direi conquistato. Un pubblico inizialmente incredulo, meravigliato e sorpreso, ...ma con l'andar del tempo sembrava come "...incosciamente consapevole" di quello che stava succedendo e di quello che avrebbe poi significato la musica di quei quattro sconosciuti.

Cercherò ora di tirare giù una  probabile e veritiera scaletta dei brani eseguiti, ma non sarà facile. Sono passati decenni e in più, all'epoca, non conoscevo neanche un pezzo, come immagino quasi tutti coloro che erano lì quel pomeriggio. Quindi, mentre alcune canzoni le ricordo perfettamente e le do per certe, altre sono probabili, altre sono solo possibili. Solo due o tre mesi dopo riuscii a procurarmi entrambi i primi due LP, facendomeli portare dall'Inghilterra, e ascoltandoli per la prima volta riconobbi qualcuna delle canzoni del set di quel pomeriggio. Le certezze, però, sono poche, solo "Astronomy Dominé" e "Interstellar Overdrive" sono sicure, il resto sono solo indizi, come flashs, piccoli frammenti visivi e sonori di memoria.

"Astronomy Dominé", nel mio ricordo, fu la prima esecuzione e mi colpì subito, ...tuttora è una delle mie canzoni preferite in assoluto. Un'esecuzione perfetta, ricordo in particolare che Gilmour nell'introduzione, nel passaggio di chitarra dall'accordo di Mi a Mi-bemolle, agiva sulla manopola del volume della telecaster (una tele blonde con manico in palissandro), simulando un effetto tipo vibrato. Il volume era poderoso, altissimo, ma nonostante questo, caso insolito per il Piper, le voci si sentivano bene. All'inizio dello show eravamo ancora seduti su uno dei gradoni del palco, ma spostati sulla sinistra, praticamente di fianco a Wright; poi scendemmo giù mettendoci in piedi al centro, quasi attaccati al palco stesso (non ricordo sedie in prossimità del palcoscenico).

"Interstellar Overdrive" fu suonata verso la fine del set, molto grintosa. Waters nel mezzo  della "free form" si allontanò per andare a fumare una sigaretta dietro gli amplificatori, sedendosi per terra. Indossava dei pantaloni rossi con delle frange bianche applicate sugli orli. Lo ricordo bene, perchè anche io andai lì dietro a sbirciare cosa stesse facendo. Tornò poi sul palco per finire il pezzo, che stava per rientrare nel riff d'apertura. Molti ebbero la stessa mia idea di andare a curiosare dietro gli amplificatori per spiare quello spilungone del bassista, ma nessuno lo avvicinò o lo importunò. Si sentivano solo frasi in romanesco del tipo: "...ma che se sta' a fumà?" oppure: "...mai viste sigarette del genere". Credo semplicemente che Roger si fumò una normalissima sigaretta, solo dal pacchetto insolito. Forse lo avrà fatto per fare scena o per incuriosire il pubblico.... La grinta di Waters durante "Interstellar Overdrive" l'ho ancora stampata in mente, mi impressionò moltissimo. Stringeva i denti e il suo volto esprimeva, con un ghigno, la sua carica e la sua energia mentre "gli dava giù" sul suo Rickenbacker 4001S (era un modello di basso per l'esportazione, che in Inghilterra veniva importato da Rose Morris con la sigla '1999').

Una canzone che do per probabile è "The Scarecrow", perché ho il ricordo di una introduzione di flauto suonato da Waters o Wright all'inizio del brano (ma anche in "Flaming" c'e' una sorta di flauto ...chissà). Il giorno dopo andai da Radiovittoria, un negozio di dischi vicino Piazzale Flaminio, e chiesi se avessero qualcosa dei Pink Floyd. Mi tirarono fuori un 45 giri: "See Emily Play" (ce l'ho ancora, ma purtroppo la copertina è andata perduta). Tornato a casa  non riconobbi il lato A (la splendida "Emily"), invece ascoltando il lato B mi resi conto che poteva essere una canzone dello spettacolo ("The Scarecrow").

Un'altra possibile è "Matilda Mother", lo dico ...perché mi viene in mente quella specie di verso aspirato di Waters durante il bridge strumentale. Sicuramente fecero uno o due pezzi che poi andarono sull'album "A Saucerful  Of Secrets", "Remember A Day" e "Set The Controls For The Heart Of The Sun". Ho due ragioni per sostenerlo. La prima, perché ricordo bene che Mason in uno o due pezzi ha suonato i toms con le bacchette coi feltri. La seconda è che, ascoltando per la prima volta mesi dopo "Remember A Day" sul disco, ebbi come l'impressione di averla già sentita; e dove l'avrei potuta sentire se non lì al Piper? Una impressione simile, devo dire, la ebbi anche ascoltando "Let There Be More Light". Escludo in modo sicuro che suonarono "A Saucerful of Secrets", almeno quel pomeriggio.

Un altro indizio per individuare e riconoscere una possibile altra canzone del set è un suono che ancora mi frulla in testa: come una "C" cantata in modo evidente, carica di eco e riverbero. Ripensandoci poteva essere quel suono ritmico "...C-C-C-C..." che ciclicamente si ascolta durante "Pow R. Toc H.". Oppure potrebbe trattarsi di "The Gnome", quando dice: "...isn't good". Quel "good" suona più come un "goocccc" (anche in "Pow R. Toc H.", Mason potrebbe suonare con le bacchette coi feltri.....e la questione si complica).

 

Del sound della band ricordo un suono molto grintoso, aggressivo, aspro, pieno di tensione, con ancora sonorità tipiche del periodo beat. Era un suono diverso dai Pink Floyd successivi, dal sound più liquido e scorrevole. Era un sound "Barrettiano" molto vicino a quello del primo disco. Gilmour interpretava le parti vocali e strumentali di Syd perfettamente, tanto che per anni (non si sapevano qui le notizie) ero convinto di aver visto Syd Barrett quel giorno al Piper. Ero molto giovane allora (15 anni), ma avevo già visto gli Stones l'anno precedente e, sempre al Piper quello stesso inverno, avevo visto i Pretty Things, Spencer Davis Group e Small Faces, e, nel maggio successivo, Hendrix al Teatro Brancaccio. Ma un'emozione così intensa come quella dei Pink Floyd al Piper non la provai di certo! Rimasi letteralmente sconvolto e affascinato da quello spettacolo. Sarà stata la sorpresa, le nuove sonorità, l'abbinamento musica e luci, ...non lo so. Quel pomeriggio ebbi come la sensazione di aver assistito ed ascoltato qualche cosa di veramente speciale e epocale. Poche volte ebbi sensazioni del genere e forse posso paragonare la cosa a quando sentii per la prima volta, nel 1963, "Please Please Me" dei Beatles alla radio.

I Pink Floyd in Italia rimasero pressocché sconosciuti fino al gran successo di "Atom Heart Mother" e nel frattempo io spesso ero deriso da molti amici quando cercavo di spiegarne la grandezza e la qualità sentendomi dire.....: "ma che roba e' questa????".

Del loto Light-Show ricordo poco, erano comunque immagini in movimento, come bolle colorate immerse e vaganti in un fluido. Per imitarle, poi, con il mio complessino, usavamo le bottigliette trasparenti dello schampo con delle bolle d'aria sospese ed un proiettore per diapositive. Del famoso Azimuth Coordinator, con cui si manovravano i suoni in quadrifonia, non ho un ricordo specifico, forse non c'era. Lo ricordo invece molto bene nello spettacolo del 1971 al Palazzo dello Sport di Roma.

Un altro particolare interessante ed insolito fu che, al termine dello show, i Pink Floyd non tornarono nei camerini, ma si mischiarono nel flusso della folla dei presenti che andava verso l'uscita, risalendo lo scalone che porta in via Tagliamento. Così io mi ritrovai a salire le scale del Piper con Roger Waters a fianco o poco avanti a me. Non so la ragione di questo fatto, ...non so se fu un caso o era loro consuetudine, a quei tempi, sfollare dal locale insieme al pubblico.

 

Tornammo a prendere il tram per il ritorno. Eravamo eccitati, sconvolti ed entusiasti (anche un pò rincretiniti visto che ci scordammo di chiedere in numero di telefono a quella ragazza...Patty), per quel memorabile ed incredibile spettacolo al quale avevamo appena assistito. Eravamo talmente euforici che, ora mi torna in mente,  avevamo il desiderio di tornare al Piper per rivederli ancora, ma non ricordo se ci riferivamo alla sera stessa o al giorno seguente. Scendemmo dal tram a Piazzale delle Belle Arti e, facendo via Flaminia a piedi, circa all'altezza del Ministero Della Marina, trovammo i manifesti murali che pubblicizzavano l'evento. Ne staccammo uno e, per evitare di strapparlo, lo tirammo giù staccando anche tutti i manifesti rimasti incollati sotto, uno spessore di un centimetro circa. Il manifesto era molto grande (1m x 1.5m circa), a fondo bianco con delle striscie rosa ondulate, come pennellate, che facevano da cornice ad una figura centrale, una silouette disegnata di una ragazza dai lunghi capelli. Una scritta diceva pressappoco: "Pink Floyd e il suo complesso di luci e suoni psichedelici". Quel manifesto è rimasto appeso in camera mia  per  tanti anni.....ora...ahimé, non so che fine abbia fatto.

 

Vorrei finire questo racconto descrivendo un fatto che mi successe qualche anno dopo. Nell'estate del 1971 andai per la prima volta a Londra. Dopo una serie di vicissitudini, capitai ad abitare in un pensionato per studenti a South Kensington, in Evelyn Garden SW. Erano tutti piccoli palazzetti in fila, ognuno con una scaletta di accesso. Sul retro, i palazzetti davano su un prato privato, dove spesso il pomeriggio mi mettevo al sole a leggere riviste e giornali. Su questo prato si affacciava anche un appartamentino al piano terra abitato da un giovanotto di sei o sette anni più grande di me. Facemmo amicizia e chiaccherando con lui, con il mio pessimo inglese, gli parlai delle mie passioni musicali e naturalmente anche dei Floyd e di Syd Barrett. Il suo nome era Storm e mi disse: "Syd Barrett is my friend". Al momento non detti molto peso alla cosa, forse anche a causa della mia timidezza e insicurezza per la lingua inglese. Solo anni dopo, leggendo libri e biografie, appresi che Barrett abitò per un periodo da un amico in Kensington e così mi resi conto che quel tipo di nome Storm con cui avevo parlato non era altro che un certo Storm Thorgerson della Hipgnosis...... »

Marco Sersale (2006)

© 2006 Stefano Tarquini

 

 

 

prosegui (8)