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Quattro rozze pennellate attorno alla figura di

PIERLUIGI MEDA

pittore


Capelli rossicci, tendenti al biondo, dalle lunghe ciocche ondulate che finiscono avvolgendosi in riccioli dei quali, vent'anni fa, era costituita tutta la capigliatura; lineamenti marcati ma dalla struttura sottile in un volto ovale delicatamente triangolare, in cui spiccano un paio d'occhi chiari posti ad una distanza, tra loro, lievemente irregolare: sono impercettibilmente più ravvicinati della norma.

Il naso, pronunciato ma sottile, sovrasta un paio di labbra snelle che paion sempre in procinto di stendersi in un sorriso fiducioso e candido.

Il tutto s'accompagna ad una pelle chiara, con tendenza al rosato, cosparsa qua e là di lentiggini che, di color marroncino pallido, si notano solo dopo un primo superficiale esame.

Figura esile, dalla postura leggermente ingobbita, costantemente avvolta dal puzzo di toscano da quattro soldi.

È costui Pierluigi Meda, pittore.

Che senso ha, parlando d'un pittore, indulgere sui suoi tratti somatici? Ne ha parecchio perché, attraverso la fisionomia, se ne intuisce il carattere, la personalità, che, a sua volta, rende meglio comprensibile il suo modo di dipingere.

I capelli, di colore non molto usuale e dall'insieme particolarmente mosso ma non ribelle, indicano già un temperamento attratto da situazioni, cose ed idee che raramente suscitano l'interesse della maggioranza, e che quando vi si dedica, non dà mai per scontato che i metodi conosciuti siano gli unici utilizzabili. La forma dei capelli fornisce, inoltre, l'informazione che un tale tipo di carattere, qualsiasi modo possa scegliere od inventarsi per dedicarsi a qualcosa, sarà portato ad usarlo con una certa vigoria che, in ogni caso, verrà sempre tenuta sotto controllo.

Non a caso esiste la frase "ficcare il naso": il naso pronunciato indica la tendenza ad occuparsi sia di situazioni di vario genere, sia di scandagliarne a fondo una sola. Il fatto ch'esso sia sottile, ma non affilato, denota che il modo di "ficcare il naso" non sarà mai grossolano, invasivo o prevaricante, ma che avrà tatto e rispetto per l'oggetto dell'indagine. In altre parole, mentre il naso affilato non si fa scrupolo di tagliare e ferire per arrivare in profondità, il naso sottile cerca di penetrare senza recare danno.

Anche questo fatto è importante, pur non parendo, quando si parla d'un pittore. Nel Meda, indica, ad esempio, il metodo usato nella formazione del proprio bagaglio culturale: sono state indagate in profondità tutte le branche del normale ciclo di studi (compiuti a Brera), comprese le vite ed il lavoro dei più grandi di lui, con umiltà, rispetto e quasi una forma di gratitudine per avergli permesso d'attinger qualcosa da loro; un siffatto naso denuncia che il Meda ha usato uno dei pochi sistemi, se non l'unico, che consenta d'appropriarsi d'una nozione, un concetto, un pensiero, senza distorcerlo ma ricevendolo nella forma più vicina possibile a quella in cui era nella mente originaria.

Pure gli occhi, fra di loro leggermente meno distanti della norma, danno delle preziose informazioni sul suo carattere. Questa distanza, se fosse più breve, denuncerebbe una persona dalla mentalità precisa e capace di concentrarsi su cose in un ambito piuttosto circoscritto, ma poco portata a spaziare per orizzonti più vasti; se, al contrario, gli occhi fossero un po' più distanti della norma, indicherebbero un carattere attratto da svariati interessi, ma dalla difficoltà a concentrarsi su qualcuno di essi troppo da vicino.

Il Meda è una persona che non tenta di mettere a fuoco un'eccessiva quantità di campi, cosa che diluirebbe le sue energie, ma che ne ha scelto uno, quello a lui più congeniale, il mondo dell'arte pittorica, e lo vede, e lo comprende, con una lucidità degna del miglior obiettivo fotografico. Se gli occhi fossero tra loro più vicini, indicherebbero che la sua mentalità, pur vedendo chiaramente in ogni anfratto di ciò che ha preso in considerazione, si limiterebbe alla soddisfazione d'una pedissequa ed inerte osservazione. Se fossero più distanti della norma, denuncerebbero una tendenza di maggior respiro, ma anche di maggior superficialità. Sia in un caso che nell'altro, ci si troverebbe di fronte ad un pittore di più o meno vasta erudizione. Gli occhi del Meda assicurano che il loro proprietario è una persona dalla profonda cultura specifica nel campo che s'è scelto.

Passando alle labbra snelle, s'intuisce di trovarsi davanti ad una persona poco o per nulla portata all'ambizione personale, al sotterfugio intellettuale ed alla passionalità che, quasi sempre, offusca la mente. Il loro modo di dispiegarsi nel sorriso, fa pensare ad una candida fiducia sia nel prossimo sia negli eventi, ed indicano che, pur essendo il volto d'un uomo ormai maturo che sorride, nulla è andato perduto dell'ingenuità che caratterizza il bambino.

Questo, a grandi e grossolane linee, dà un'idea della figura del Meda, pittore caparbio ed insoddisfatto, che, come l'asino di Buridano, non sa se cedere all'autostima, che non sarebbe infondata visti i riconoscimenti nazionali ed esteri, oppure ad una modestia che lo rende quasi incredulo davanti all'apprezzamento, non raro, delle sue capacità; contraddittorio nel ricercare nella forma la dignità del concetto, e nel considerare il concetto come una divinità cui la forma deve solo dare corpo: il suo lavoro è stato, fino ad oggi, una lunghissima ricerca, nel campo dell'"astratto", delle forme più adatte all'espressione dei suoi concetti, mentre la sua vita è sempre stata improntata all'acquisizione, formazione ed esternazione di concetti servendosi delle forme normali cui ricorriamo tutti noi nel corso delle nostre banalità quotidiane.

Tale contraddizione non toglie merito al Meda, perché risulta chiaro anche al meno "iniziato" degli osservatori che la sua ricerca è assolutamente estranea al desiderio di trovare, o fare, qualcosa di nuovo a tutti i costi. Al contrario denota, con i suoi colori mai contrastanti tra loro, un impegno costante che non cede a distrazioni, con le sue forme, che ricordano ammassi di schegge di vetro opaco, un acume incisivo nel percorrere la strada scelta. Queste "schegge di vetro opaco" sono un simbolo, altresì, della sua caparbietà, quasi cocciutaggine, nel raggiungimento dello scopo prefissato; a dire il vero, erano il simbolo d'un tale tipo di ricerca. Erano, perché negli ultimi lavori appare qualcosa che non è mai stata presente prima: la curva.

Il quadro, anche ora, è sempre un intrico di linee e di masse, dalle più svariate tonalità d'un'unica scala cromatica (anch'essa variata rispetto alle sue abitudini), che ben potrebbero essere rappresentative dei suoi conflitti e contrasti interiori, ma le rette, gli spigoli, gli acuti ad acuminati angoli s'armonizzano sorprendentemente con la morbidezza e gentilezza delle curve.

Non è detto che un simile mutamento sia il preludio ad un drastico cambiamento del suo modo d'esprimersi, ma è senz'altro indice di qualcosa avvenuta dentro di lui.


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