INCHIOSTRO SIMPATICO

Questa sezione è dedicata alle pubblicazioni di Cecè e riguarda la vera memoria storica di tutti noi.

Dal "Casone" al Bar dei Matti, "senza soluzione di continuità"!!

Cecè ha aperto i cassetti della memoria e ci fa rivivere vecchie e nuove storie che ci coinvolgono personalmente, quelle

che ci fanno ancora sorridere.. Ma il tutto senza rimpianti.

Storie vere come veri sono i personaggi. A Cecè l'onere ( per l'impegno ) e l'onore ( per meriti conquistati direttamente

sul campo) di farci rivivere quei momenti...

Cecè ci assicura una pubblicazione settimanale. Quindi non perdete le puntate.

Pronti.....ai posti....VIAAAAAAAAA!!

LA VERA STORIA DI PIAZZA MANZONI.doc            

 

IL "CASONE DEI LADRI"

"Nasce così la vita mia, come comincia una poesia".

Così recita una strofa di una famosa canzone anni ’70 di Massimo Ranieri.

E così in effetti fu, fino all’età di sette anni.

Vivevo a Quarto, più precisamente in Via Priaruggia 10, in una bella casetta ai margini di una vecchia "creuza".

Di fronte, avevo l’asilo ed i giardinetti comunali, muniti di scivolo, altalena e campetto di calcio.

Il sogno di ogni bambino!

Mio padre all’epoca faceva il sarto e di soldi se ne vedeva solo alla consegna degli abiti.

Questo però (purtroppo) era un evento assai raro, di conseguenza, per usare un eufemismo, non si navigava certo nell’oro……

In casa eravamo in sette.

Oltre le mie due sorelle e me, i miei avevano a carico anche il mitico nonno Vincenzo (da cui il mio nome) e la bisnonna Rosa.

Oggi si usa dire che è difficile arrivare a fine mese, all’epoca era un’impresa anche cominciarlo.

Fu così che quando i padroni di casa aumentarono la retta d’affitto fummo costretti a cambiare alloggio.

Ci venne assegnata una casa popolare dell’ Opera pia "De Ferrari Galliera".

Indirizzo: Via della Fenice 1 interno 8.

Per un bambino di 7 anni, lasciare gi amici, i luoghi dell’infanzia, cambiare scuola ed abitudini, sono eventi quasi sempre traumatici.

Nulla al confronto dello shock che provai trovandomi davanti al cancello d’ingresso del "casone dei ladri".

Per chi non l’avesse mai visto, architettonicamente ricorda parecchio le vecchie prigioni.

Il cortile interno molto simile allo spazio riservato ai detenuti per l’ora d’aria,

soffocato da due massicce costruzioni poste ai lati più lunghi e facilmente associabili ai bracci delle patrie galere.

A rendere il tutto, se possibile, ancor più lugubre, un casottino all’entrata, presidiato da una figura che

nulla aveva da invidiare ai più truci aguzzini delle SS!!!!!

TREVISAN (il custode).

Per due giorni non toccai cibo e non uscii di casa tanta era la disperazione che mi aveva assalito.

Non avrei mai potuto immaginare allora quanto avrei amato quel luogo, quanta gioia di vivere mi avrebbe trasmesso.

I colori dei panni stesi sulle corde allungate da una facciata all’altra, (quelli che oggi fanno inorridire il Berlusca)

le urla incomprensibili, che fluivano dalle finestre aperte, nei dialetti più disparati ed incomprensibili,

gli odori, un misto di profumi culinari ed olezzi nauseabondi che pregnavano l’aria nelle trombe delle scale.

Tante, troppe cose sono cambiate, ma ancora oggi,quando varco il grande cancello per andare a trovare i "miei"

(che fortuna!!!!!!!) le sensazioni che provo sono rimaste quelle di una volta e mi riportano indietro nel tempo a

quell’atmosfera di convivialità mista a solidarietà, a quei valori di cui oggi si parla tanto ma che sono andati quasi del tutto perduti.

E’ da qui che parte la (mia) lunga storia della piazza dei Matti.

 

 

EZECHIELE LUPO

Il terzo giorno, mio malgrado, mi feci coraggio ed uscii ad esplorare quel territorio a me sconosciuto.

Il primo che incontrai, appena messo fuori il naso dall’uscio di casa, fu colui che sarebbe diventato

l’amico inseparabile prima di giochi, poi di marachelle, infine di vita.

Dall’infanzia all’adolescenza fino ad oggi, abbiamo condiviso tutto. Dai giochi alle prime scorribande,

dalle cazzate addirittura alle donne!!!!!!!!! Quante ne abbiamo combinate assieme…..

Il suo nome non a caso ricorrerà spesso nei resoconti che si succederanno nell’evolversi di questo racconto.

Per capire fino in fondo che è DE GUFIS bisogna risalire alla discendenza.

Mamma Rita era un donnino dall’aspetto esile ma dalla vitalità incredibile.

Una peculiarità che la caratterizzava era di parlare esclusivamente genovese, aveva inoltre, quello che io considero un

dono di natura: la predisposizione allo scherzo.

Per spiegarvi il personaggio, vi racconterò un episodio che la riguarda e che rende merito alla sua vena umoristica.

I giardinetti di piazza, prospicienti la Baliano, d’estate dopo cena venivano popolati dalle famiglie dei condomini limitrofi.

Una sera "a scià Rita", mise in atto ai danni di un frequentatore occasionale il famoso scherzo del "Cumme sun?"

Sostenendo di essere una specie di maga con poteri extrasensoriali, convinse il malcapitato ad assumere senza essere

visto una posizione del corpo particolare. Lei voltata di spalle avrebbe senz’altro scoperto la posa che questi avrebbe adottato.

Quando sarebbe stato pronto doveva chiedere ad alta voce; "Cumme sun?".

L’allocco accettò la sfida. Pensò bene di arrampicarsi su un albero, controllando sempre che la sensitiva non sbirciasse.

Intrecciò braccia e gambe sino a prendere le sembianze di un ragno quindi urlò: "CUMME SUN?"

Come risposta dal basso giunse un urlo stridulo, misto ad una risata isterica: "ABBELINOUUUUUUUU".

I presenti si sbellicavano dalle risate e non riuscivano a smettere visto che il coglione era rimasto pietrificato nella sua

posa innaturale e la Rita continuava a sghignazzare mostrando i quattro denti che già all’epoca le erano rimasti. Grande.

 E’ da questi esempi che nacque lo spirito dei matti.

Tornando ad Ezechiele, dopo i primi convenevoli, come ti chiami, quanti anni hai, etc.etc. decidemmo di fare quello che più ci piaceva:

una partita a pallone. Circostanza non trascurabile è che il pallone non lo avevamo, ci arrangiavamo quindi con una bottiglia di plastica vuota.

A delimitare la riga di porta era una linea immaginaria che univa i lati della strada all’altezza dell’arco che divideva la stessa dalla proprietà dei "Vetrai".

Inevitabilmente successe che ad un certo momento la "palla" si fermasse dopo un mio tiro di tacco, in posizione ambigua. .

Goal per me, riga per lui. Ne nacque una accesa discussione che presto si trasformò in vera e propria litigata.

Un tassista, fermò l’auto e scese per cercare di placare gli animi. Dopo qualche minuto arresosi alla nostra cocciutaggine lasciò che risolvessimo la questione da soli.

Risultato: botte da orbi ed amici per la pelle!

Questo fu il mio primo incontro con l’ Ezechiele (del quale ovviamente divenni amico per la pelle) ed il mio primo vero giorno in "Piazza".

LA COMBRICCOLA

Rotto il ghiaccio, entrai a far parte a tutti gli effetti della compagnia di piazza.

All’epoca ne facevano parte stabilmente il già citato Claudio Marchetti (Ezechiele), Massimo Parodi "Mascimin" (ELMSTROOM quando faceva il portiere),

Giuseppe Urso (Beppe), Roberto Bruzzese (il Gobbo), Antonello Porcu (Frè), Marco Resmini (Rampeghin), Marco Bussola (Gin) ed io Vincenzo Rosina (all’epoca ancora Vince).

Saltuariamente si aggiungevano Ivano Corona (Pezzella), Maurizio Resmini (Mauri), Franco Piras (in seguito Marte),

Mauro Cordara (Poppara), Maurizio Fiorini (Cocorito).

In seguito si aggregarono Carlo Pecorella (l’Ispettore), Massimo Mussini (Mozzo), Tonino Rossini (Ruscin), Lorenzo Granato (Lore),

Gianni Granato (Giann’u Rau), Tardanìco Calogero (Calino o Colombo).

Si andava a scuola alla Guglielmo Marconi, in Piazza Martinez. Al termine delle lezioni formavamo un gruppetto e rientravamo a

casa non prima di averne combinata qualcuna, di cui in seguito darò conto, nel tragitto che dovevamo percorrere per raggiungere Piazza Manzoni.

A otto nove anni eravamo già alquanto "bastardi".

Quindi si pranzava velocemente e giù di nuovo, questa volta con l’inseparabile pallone. Di libri neanche a parlarne!!!!!

Chi arrivava per primo, cominciava ad esercitarsi con palleggi, colpi di testa e soprattutto dribbling immaginari.

Alla spicciolata giungevano gli altri. Non appena si raggiungeva un numero adeguato (cinque o sei) cominciavano le mitiche partite a "MURO".

Si svolgevano all’interno dell’androne della scuola Baliano e consistevano nel fatto che un giocatore munito di pallone doveva colpire

gli avversari posti a ridosso del muro eliminandoli in sequenza. Se dopo tre tiri non aveva "ucciso" nessuno, cedeva il posto ad un altro e

 si schierava a muro, altrimenti se riusciva ad eliminare tutti aveva diritto ad un altro "giro".

Detto così sembra un innocente gioco di bambini, senonché lo facevamo con un "TANGO" da 420 grammi e tiravamo delle bordate

incredibili da 5-6 metri dal bersaglio. Risultato: qualche naso e qualche occhio sono rimasti profondamente segnati dal gioco del "MURO".

Dopo si passava (ovviamente scavalcavamo il cancello) nell’asilo per le mitiche partite TRE CONTRO TRE. Le squadre le facevamo

Ezechiele ed io che eravamo i più "buoni". Mascimin (Parodi) era fisso in porta, quasi sempre con me.. Gli altri ruotavano a seconda di

chi veniva scelto. Che sfide memorabili…………….

Una cosa mi è rimasta impressa in modo indelebile: un ritornello insensato che durante le partite Mascimin con tono canzonatorio

ripeteva ossessivamente mandando su tutte le furie l’irascibile Ezechiele. E non si è mai capito il perché!!!!!!!!! Faceva esattamente così:

Via Monteszovetto merda de picciun".

Smetteva soltanto quando veniva letteralmente minacciato di morte.

Oltre al calcio c’erano anche altri giochi che ci facevano impazzire; tutti svolti esclusivamente in strada: "GRETTE" che altro non erano

che i tappi di metallo delle bottiglie, il più delle volte riempiti con lo stucco fregato ai vetrai, con le quali dovevamo percorrere le "piste"

che a turno tracciavamo in mezzo alla piazza dove le automobili erano ancora un miraggio.

Le "CANNETTE" piccole cerbottane armate con proiettili di carta innocui fin quando nella punta non inserivamo uno spillo………..

per andare a caccia di culi prevalentemente femminili……

"FIGU": le mitiche figurine "Panini" che ci "giocavamo" lanciandone una in aria e cercando di individuare prima che atterrassero da

 quale lato sarebbe caduta. Mentre era in volo bisognava dichiarare "GRIFFO BANG" per la facciata di fronte o "CROCE BANG" per il

retro, inoltre si aggiungeva "PATIN PATIN NON VALE CANGIN" per chiarire che non si poteva ingannare cambiando versione sulla scelta iniziale.

C’erano poi i giochi estemporanei che nascevano dalla nostra sfrenata fantasia. Mi viene in mente per esempio quello dei luppini.

Solo menti tarlate possono concepire di sfidarsi a chi si avvicina di più ad un punto prestabilito, facendo schizzare le bucce dei lupini

(presi gentilmente….in prestito al chiosco di Piazza Giusti), ponendo le stesse sull’unghia del dito medio ed usando il pollice a mò di catapulta.

I "CAVALLI MARCI", un vero e proprio massacro che consisteva nel formare una squadra che si allineava in fila attaccati l’un l’altro a 90°

con le spalle contro il posteriore del compagno davanti e le braccia a cingere quest’ultimo per tenersi forte. Gli avversari a turno prendevano l

a rincorsa e facendo perno sull’ultimo della riga, spiccavano il salto atterrando il più avanti ed il più violentemente possibile sulla schiena degli avversari.

Se si riusciva a completare la fila superiore, quelli "sotto" avevano 15 secondi di tempo per scrollare il più possibile,

con l’intento di far crollare il castello superiore. Chi non l’ha mai fatto non può immaginare le conseguenze fisiche…….

Un capitolo a parte merita "IL BUCO".

Tra via della Fenice e Corso Sardegna, all’altezza dell’ingresso dei Vetrai, si erge un muro di circa due metri d’altezza, a dividere

(non si è mai capito il perché), le due strade. Per noi era diventato un gioco da ragazzi arrampicarcisi per saltare dall’altra parte quando qualcuno ci inseguiva.

Nonostante ciò, ci dava noia quella sorta di divisorio che ci rallentava in caso di fuga.

Decidemmo quindi di aprire un varco ed armati di pazienza, piano piano, scavammo un buco al centro, di dimensioni sufficienti a consentirci un comodo passaggio.

Per renderlo invisibile inoltre, ci costruivamo intorno una "capannetta" fatta di materiali di recupero: legno, plastica, ferro e rivestita di stracci, vecchie lenzuola e quant’altro.

Lì dentro si tenevano le riunioni per pianificare le prime scorribande.

Piccoli furtarelli, rappresaglie contro i nemici storici (Piazza Martinez, Piazza Solari, il Borgo) o l’esplorazione di posti proibiti.

Innumerevoli volte i "Vetrai" abbatterono la capannetta e fecero ripristinare il muro, ma puntualmente dopo pochi giorni con loro sommo rammarico, il "BUCO" magicamente riappariva.

"Passiamo dal BUCO" era un’espressione classica del nostro gergo, alla quale per nulla al mondo avremmo potuto rinunciare!!!!

Queste premesse per farvi capire quanto fertile fosse il terreno che nutriva la nostra fantasia e formò le nostre personalità che qualcuno son sicuro definirà deviate…….

Eravamo ormai, una vera e propria "banda" organizzata, all’interno della quale ognuno di noi, recitava la parte che più gli si addiceva.

Cominciarono le prime sortite dal territorio amico, alla ricerca di emozioni forti.

Ricordo il periodo in cui quasi ogni giorno, eludendo la sorveglianza del portinaio, salivamo all’ultimo piano del palazzo adiacente il grattacielo della SIP in Via S. Vincenzo.

Avevamo trovato il modo di accedere alla terrazza sul tetto, il luogo nel quale ci cimentavamo in una sorta di "prova coraggio"

che constava nel passeggiare sul cornicione, ovviamente privo di protezioni. Cose da pazzi!!!!!!!!!

Tutto ciò che era proibito ci attirava. Eravamo in grado di superare qualsiasi ostacolo ci separasse da quello che ci incuriosiva.

Scavalcare cancelli, scalare muraglioni, arrampicarsi sugli alberi, "fregare" ciò di cui avevamo bisogno (compresi i viveri….),

scappare da chi ci inseguiva, erano tutte azioni che facevano parte della nostra quotidianità. In questo contesto, che definirei di sana follia, presero forma……….(segue)

            

 

 

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