IL VULCANO ADDORMENTATO

            

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Il Vesuvio è considerato un vero e proprio pericolo naturale dagli effetti a dir poco devastanti. In poche parole, gli scienziati sono concordi nel considerare il vulcano partenopeo come il più pericoloso evento naturale d'Europa.

Dopo secoli di completo riposo, durante i quali le pendici del vulcano si erano ricoperte di fitta vegetazione, il risveglio del Vesuvio è annunciato da un terremoto avvenuto nel 62 d.C. che colse lo stesso imperatore Nerone mentre era impegnato a cantare in un teatro di Napoli.  Secondo Seneca, le scosse si ripeterono per diversi giorni, fino a che si fecero meno intense, ma ancora in grado di causare danni. Le città maggiormente danneggiate furono Pompei e Ercolano e, in misura minore, Napoli e Nocera.

La terra deve essersi mossa di frequente anche nei 17 anni successivi, se Plinio il Giovane riferisce che immediatamente prima dell'eruzione del 79 per molti giorni si erano succeduti terremoti.

In molte case distrutte dall'eruzione e riportate alla luce dagli scavi archeologici sono state trovate tracce di lavori di riparazione provvisori, segno evidente di danni subiti in periodi di poco precedenti l'eruzione.

L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. inizia con la formazione di un'alta colonna di gas, cenere e lapilli, così descritta da Plinio il Giovane: "La nube (...) a forma di pino, si sollevava alta nel cielo e si dilatava come emettendo rami".

Plinio, da Miseno (21 km dal vulcano), può osservare la colonna eruttiva in tutto il suo sviluppo. La sua descrizione è tanto efficace che il termine "pliniano" viene utilizzato nella vulcanologia moderna per indicare una fase eruttiva durante la quale si forma una colonna sostenuta, formata da una miscela di cenere, pomici e gas.

A proposito di PLINIO IL VECCHIO, vi consiglio di leggere lo stupendo articolo della professoressa Michela Tartaglia cliccando quì.

Le pomici ricadute dalla colonna eruttiva pliniana dell'eruzione del 79 d.C. si vedono a Pompei, dove formano un deposito con spessore di circa 4 metri.

Le eruzioni esplosive sono eventi devastanti. Le pomici e le ceneri che ricadono dalla colonna pliniana possono causare gravi danni materiali, come il crollo dei tetti e la perdita di raccolti e animali, ma possono non essere mortali se chi ne è colpito non si trova proprio sotto il vulcano e se ha l'accortezza di fuggire immediatamente.

I flussi piroclastici, al contrario, non lasciano praticamente scampo anche a notevoli distanze, sia per la loro velocità di propagazione che per la temperatura. Anche le persone non direttamente investite dal flusso possono subire gravi danni o morire per soffocamento o ustioni. Fu un flusso piroclastico a seppellire Pompei ed Ercolano.

L'eruzione del 79 d.C. ha cancellato nel giro di un giorno intere città e le ha sepolte sotto una spessa coltre di pomici e ceneri. Gli scavi che durano ormai da due secoli scoprono in continuazione pezzi di vita quotidiana improvvisamente bloccati dalla catastrofe.

La vita del Vesuvio  sembra caratterizzata da cicli in cui una forte eruzione iniziale libera il condotto vulcanico ( che connette la camera magmatica al cratere) dal tappo di lava consolidata che si era formato alla fine del ciclo precedente.

Si apre quindi un periodo a "condotto aperto", durante il quale il magma   trova una via di uscita senza accumulare grandi pressioni. Questo ciclo si chiude con il collassamento e il crollo del condotto, e con la formazione di un vero e proprio tappo lavico.

Segue un periodo di quiescenza, durante il quale il magma, trovando il condotto bloccato, accumula pressione nelle camera magmatica e nel condotto di risalita, fino alla successiva eruzione esplosiva.

La fase iniziata con l'eruzione pliniana del 1631 sembra essersi conclusa con l'eruzione del 1944, ed e' ben documentata.

Durante la Seconda Guerra Mondiale alcuni piloti inglesi bombardarono il cratere del Vesuvio, sperando ingenuamente di causarne l'eruzione. Ovviamente, il vulcano non reagì.

Fu solo nel '44, quando Napoli era in mano agli Alleati, che il Vesuvio eruttò per l'ultima volta, apparentemente chiudendo un ciclo durato tre secoli. Da allora il vulcano è in quiete, il suo condotto di alimentazione ostruito, il cratere tappato da lava consolidata per uno spessore di circa tre chilometri.

A questo punto si potrebbe sperare che questa quiete sia l'inizio di una fase d'estinzione.

Purtroppo, la storia del Vesuvio è caratterizzata da lunghi periodi di quiescenza, che non indicano affatto la cessazione dell'attività eruttiva. Inoltre, le reti di monitoraggio installate sul vulcano rilevano una dinamica in atto, anche se non intensa.

Un'intensa attività viene svolta dalla comunità scientifica e dall'Osservatorio Vesuviano, che è all'avanguardia quanto a metodi e tecniche utilizzate.

Numerosi dati geofisici e geochimici vengono rilevati dalle reti strumentali, allo scopo di individuare eventuali fenomeni premonitori di un'eruzione. Innanzitutto viene monitorata l'attività sismica del vulcano, dovuta al movimento di fluidi magmatici nel condotto e alle fratture nelle rocce circostanti indotte da quel movimento. In secondo luogo vengono osservate le eventuali deformazioni del suolo, un'altro segnale associato all'attività vulcanica.

Infine viene condotta l'analisi geochimica delle fumarole, delle emissioni gassose e delle acque sorgive, che può indicare una variazione nella presenza di sostanze chimiche provenienti dal magma.

E' bene, tuttavia, non alimentare illusioni. Anche migliorando la conoscenza della struttura profonda del Vesuvio, non sarà facile prevedere un'eruzione.

Forse sarà possibile elaborare previsioni sul lungo periodo. Ma sicuramente non si sarà in grado di fornire alla Protezione Civile una data ed un'ora in cui iniziare l'evacuazione della popolazione. Senza considerare che evacuare un'area così densamente popolata rimane un'impresa ciclopica.