Cronaca dal 79 D.C.:

Plinio il vecchio salva l'amante Rectina dall'eruzione del Vesuvio.

di Michela Tartaglia

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Cronaca del 79 dopo Cristo: Plinio salva l’amante Rectina dall’eruzione del Vesuvio e le consente di tornare nel loro nido d’amore a Casalpiano. Località Santa Maria di Casalpiano – Morrone del Sannio (CB).

In una splendida giornata di maggio, girovagando senz’apparente meta tra il lago di Guardialfiera e le campagne vicine, illuminate dall’esplosione incredibile del giallo delle ginestre, mi sono imbattuta in una chiesetta solitaria, col campanile che batte le ore e le mezzore, con intorno una vista mozzafiato di colline verdi.

Il tempo di andare a lenti passi dietro la chiesetta e sono precipitata indietro di secoli, anzi, di quasi due millenni. Dietro la chiesa, un campo archeologico recintato e apparentemente abbandonato a se stesso, con evidenti mosaici a losanghe e, più in basso tombe aperte, rettangolari di varie dimensioni. Il mio background classico ha drizzato le antenne, è bastata una telefonata fatta, da quel posto incantevole e stupefacente, ad un esperto di storia anche molisana,
per avere letteralmente un colpo al cuore.

 

Dietro la chiesetta, semplicemente, ci sono i resti di una villa rustica romana dove abitava nel primo secolo dopo Cristo la nobildonna Rectina, moglie di Tasco. Nella chiesa c’è una stele con la seguente iscrizione:

 

C. SALVIVS EVTICHVS

LARIBVS
CAS(anicis)

OB
REDITVM

RECTINAE
N(ostrae)

V(otum)
S(olvit)

(Caio Salvio Eutico, ai Lari domestici, per il ritorno della nostra Rectina, sciolse questo voto).


E il fatto straordinario è che l’iscrizione fu vista e catalogata dal maestro Teodoro Mommsen, il quale lesse il nome della nobildonna, Rectina, ma non lo collegò ad alcun fatto particolare. Nel 1939 la lapide venne letta da A. W. Van Buren, uno studioso americano, che ebbe una straordinaria intuizione: la Rectina dell’altare votivo della villa romana di S. Maria di Casalpiano potrebbe essere la stessa Rectina del racconto di Plinio il Giovane.

 

E qui comincia davvero il miracolo del collegamento post millenario: l’eruzione catastrofica del Vesuvio del 79 dopo Cristo, con la distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia e i calchi dolenti degli abitanti, ricoperti per sempre da cenere e lava, ha una cronaca assolutamente unica nella celeberrima epistula che Plinio il Giovane invia al più grande storico di Roma, Tacito. Nella lettera descrive l’eruzione, i giorni funesti di Pompei e la morte dello zio, il naturalista Plinio il Vecchio. Egli si trovava a Miseno, dove dirigeva la flotta affidatagli e da dove partì per osservare da vicino gli effetti dell’eruzione del Vesuvio su Pompei.

Della lunga descrizione, a noi interessa un particolare: quello relativo al salvataggio di Rectina, moglie di Tasco.

Così Plinio il Giovane comincia il suo racconto:


Caro Tacito
(…)
Egli (Plinio il Vecchio) era a Miseno ove personalmente dirigeva la flotta. Il nono giorno prima delle calende di settembre (24 agosto), verso l’ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta per forma e grandezza. Una nube stava sorgendo e non era chiaro all’osservatore da quale monte s’innalzasse (si seppe, poi, essere il Vesuvio), il cui aspetto fra gli alberi s’assimilava soprattutto al pino….bianca a tratti, altra volta nera e sporca a causa della terra e della
cenere che trasportava.

Da uomo eruditissimo qual era, egli ritenne che il fenomeno dovesse essere osservato meglio e più da presso. Ordina, allora, che gli sia apprestata una liburna (battello veloce)…Era sul punto d’uscir di casa: riceve un messaggio di Rectina, moglie di Tasco, atterrita dal pericolo che vedeva sovrastarla (la sua villa era, infatti, ai piedi del monte, e nessuna possibile via di scampo v’era tranne che con le navi) (accipit codicillos Rectinae Tasci imminenti periculo exterritae (nam villa eius subiacebat, nec ulla nisi navibus fuga).


Supplicava d’esser sottratta a tale pericolo. Egli, allora, mutò consiglio e, quello che intendeva compiere per amor di scienza, fece per dovere. Dette ordine di porre in mare le quadriremi e s’imbarcò egli stesso, per portare aiuto non alla sola Rectina, ma a molti (infatti, per l’amenità dei siti, la zona era molto abitata). S’affretta proprio là donde gli altri fuggono, va diritto, il timone volto verso il pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni della tragedia che si compiva esattamente come si presentava ai suoi occhi. Già la cenere pioveva sulle navi, sempre più calda e densa quanto più esse si avvicinavano; e si vedevano già pomici e ciottoli anneriti e bruciati dal fuoco e spezzati, poi la spiaggia bloccata dai massi proiettati dal monte.

(LETTERA DI PLINIO IL GIOVANE A TACITO – Lettere, VI, 16)

Il racconto continua ma nulla Plinio dice dell’esito del salvataggio di Rectina, la nobildonna romana moglie di Tasco.

Ora spostiamoci nel monastero di Santa Maria di Casalpiano in agro di Morrone nel Sannio, un luogo del tutto estraneo a Pompei e a Miseno. Si tratta della iscrizione che i servi di una villa romana avevano fatto incidere sul fronte di un piccolo altare, in segno di ringraziamento alla divinità, per aver fatto ritornare la loro padrona a casa dopo uno scampato pericolo.

 

A. W. Van Buren sulla pietra ritrovata tra i ruderi di quell’antica villa romana, aveva scoperto il finale dell’avventura della nolbildonna romana: Rectina, dunque, fu presa su una delle navi di Plinio e portata in salvo. Da Miseno poi si recò nella sua villa presso il Biferno, dove l’accolsero i suoi servi che, saputo dello scampato pericolo dall’eruzione del Vesuvio, vollero ringraziare gli dei e ricordare l’episodio con l’ epigrafe che il liberto C. Salvio Eutico fece scolpire sulla base dell’altare dedicato agli dei Lari.

 

Qui la nobile Rectina avrebbe trascorso il resto della sua vita, senza più vedere quello che probabilmente era l’uomo che amava e l’amava, il coltissimo, nobilissimo e generoso Plinio il Vecchio, che morì sulla spiaggia campana, vittima del suo amore per l’osservazione dei fenomeni naturali. Ma l’appellativo di “Vecchio” serve solo per distinguerlo dal nipote: quando muore asfissiato, Plinio il naturalista ha soltanto 56 anni. Non avrebbe mai più amato la sua Rectina, nell’incantevole silenzio di Casalpiano, luogo idillico tra cielo e colli verde smeraldo e canti di uccelli, e frinire di cicale, dove praticava il filosofico e sensuale romanorum otium.