Radiomessaggio di Pentecoste 1941
RADIOMESSAGGIO DI PENTECOSTE 1941
di
S.S. Pio XII
nel 50° anniversario della «Rerum novarum»
[1] La solennità della Pentecoste, glorioso
natale della Chiesa di Cristo, è all'animo Nostro, diletti figli dell'universo
intero, un dolce e propizio invito fecondo di alto ammonimento, per
indirizzarvi, tra le difficoltà e i contrasti dei tempi presenti, un messaggio
di amore d'incoraggiamento e di conforto. Vi parliamo in un momento, in cui
tutte le energie e forze fisiche e intellettuali di una porzione sempre
crescente dell'umanità stanno, in misura e con ardore non mai prima conosciuti,
tese sotto la ferrea inesorabile legge di guerra: e da altre parlanti antenne
volano accenti pregni di esasperazione e di acrimonia, di scissione e di lotta.
[2] Ma le antenne del Colle Vaticano, della
terra consacrata a centro intemerato della Buona Novella e della sua benefica
diffusione nel mondo dal martirio e dal sepolcro del primo Pietro, non possono
trasmettere se non parole che s'informano e si animano dello spirito consolatore
della predica, di cui alla prima Pentecoste per la voce di Pietro risonò e si
commosse Gerusalemme; spirito di ardente amore apostolico, spirito che non sente
brama più viva e gioia più santa di quella di tutti condurre, amici e nemici,
ai piedi del Crocifisso del Golgota, al sepolcro del glorificato Figlio di Dio e
Redentore del genere umano, per convincere tutti che solo in lui, nella verità
da lui insegnata, nell'amore di lui, benefacendo e sanando tutti, dimostrato e
vissuto fino a far sacrificio di sé per la vita del mondo, si può trovare
verace salvezza e duratura felicità per gl'individui e per i popoli.
[3] In quest'ora, gravida di eventi in potere
del consiglio divino, che regge la storia delle nazioni e veglia sulla Chiesa,
è per Noi gioia e soddisfazione intima, nel far sentire a voi, diletti figli,
la voce del Padre comune, il chiamarvi quasi ad una breve e universale adunata
cattolica, affinché possiate sperimentalmente provare nel vincolo della pace la
dolcezza del cor unum e dell' anima una, (Cf At 4,32.) che
cementava, sotto l'impulso dello Spirito divino, la comunità di Gerusalemme nel
dì della Pentecoste. Quanto più le condizioni, originate dalla guerra, rendono
in molti casi difficile un contatto diretto e vivo tra il Sommo Pastore e il suo
gregge, con tanta maggior gratitudine salutiamo il rapidissimo ponte di unione,
che il genio inventivo dell'età nostra lancia in un baleno attraverso l'etere
collegando oltre monti, mari e continenti ogni angolo della terra. E ciò che
per molti è arma di lotta, si trasforma per Noi in strumento provvidenziale di
apostolato operoso e pacifico, che attua e innalza a un significato nuovo la
parola della Scrittura: «In omnem terram exivit sonus eorum; et in fines orbis
terrae verba eorum» (Sal 18,5; Rm 10,18). Così pare che si
rinnovi il gran miracolo della Pentecoste, quando le diverse genti dalle regioni
di altre lingue convenute in Gerusalemme ascoltavano nel loro idioma la voce di
Pietro e degli Apostoli. Con sincero compiacimento Ci serviamo oggi di un tal
mezzo meraviglioso, per attirare l'attenzione del mondo cattolico sopra una
ricorrenza, meritevole di essere a caratteri d'oro segnata nei fasti della
Chiesa: sul cinquantesimo anniversario, cioè, della pubblicazione, avvenuta il
15 maggio 1891, della fondamentale enciclica sociale Rerum
novarum di Leone XIII.
[4] Mosso dalla convinzione profonda che alla
Chiesa compete non solo il diritto, ma ancora il dovere di pronunziare una
parola autorevole sulle questioni sociali, Leone XIII diresse al mondo il suo
messaggio. Non già che egli intendesse di stabilire norme sul lato puramente
pratico, diremmo quasi tecnico, della costituzione sociale; perché ben sapeva e
gli era evidente - e il nostro predecessore di s. m. Pio XI lo ha dichiarato or
è un decennio nella sua enciclica commemorativa Quadragesimo
anno - che la Chiesa non si attribuisce tale missione. Nell'ambito
generale del lavoro, allo sviluppo sano e responsabile di tutte le energie
fisiche e spirituali degl'individui e alle loro libere organizzazioni si apre un
vastissimo campo di azione multiforme, dove il pubblico potere interviene con
una sua azione integrativa e ordinativa, prima per mezzo delle corporazioni
locali e professionali, e infine per forza dello Stato stesso, la cui superiore
e moderatrice autorità sociale ha l'importante ufficio di prevenire i
perturbamenti di equilibrio economico sorgenti dalla pluralità e dai contrasti
degli egoismi concorrenti, individuali e collettivi.
[5] E' invece inoppugnabile competenza della
Chiesa, in quel lato di ordine sociale dove si accosta ed entra a toccare il
campo morale, il giudicare se le basi di un dato ordinamento sociale siano in
accordo con l'ordine immutabile, che Dio creatore e redentore ha manifestato per
mezzo del diritto naturale e della rivelazione: doppia manifestazione, alla
quale si richiama Leone XIII nella sua enciclica. E con ragione: perché i
dettami del diritto naturale e le verità della rivelazione promanano per
diversa via, come due rivi d'acque non contrarie, ma concordi, dalla medesima
fonte divina; e perché la Chiesa, custode dell'ordine soprannaturale cristiano,
in cui convergono natura e grazia, ha da formare le coscienze, anche le
coscienze di coloro, che sono chiamati a trovare soluzioni per i problemi e i
doveri imposti dalla vita sociale. Dalla forma data alla società, consona o no
alle leggi divine, dipende e s'insinua anche il bene o il male nelle anime, vale
a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di
Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e
vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso
letale dell'errore della depravazione. Dinnanzi a tale considerazione e
previsione come potrebbe esser lecito alla Chiesa, madre tanto amorosa e
sollecita del bene dei suoi figli, di rimanere indifferente spettatrice dei loro
pericoli, tacere o fingere di non vedere e ponderare condizioni sociali che,
volutamente o no, rendono ardua o praticamente impossibile una condotta di vita
cristiana, conformata ai precetti del Sommo Legislatore?
[6] Consapevole di tale gravissima
responsabilità Leone XIII, indirizzando la sua enciclica al mondo, additava
alla coscienza cristiana gli errori e i pericoli della concezione di un
socialismo materialista, le fatali conseguenze di un liberalismo economico,
spesso inconscio o dimentico o sprezzante dei doveri sociali; ed esponeva con
magistrale chiarezza e mirabile precisione i principi convenienti e acconci a
migliorare - gradatamente e pacificamente - le condizioni materiali e spirituali
dell'operaio.
[7] Che se, diletti figli, oggi, dopo un
cinquantennio dalla pubblicazione dell'enciclica, voi Ci domandate fino a qual
segno e misura l'efficacia della sua parola corrispose alle nobili intenzioni,
ai pensieri ricchi di verità, ai benefici indirizzi intesi e suggeriti dal suo
sapiente Autore, sentiamo di dovervi rispondere: proprio per rendere a Dio
onnipotente, dal fondo dell'animo Nostro, umili grazie per il dono, che, or sono
cinquant'anni, largì alla Chiesa con quell'enciclica del suo vicario in terra,
e per lodarlo del soffio dello Spirito rinnovatore, che per essa, da allora in
modo sempre crescente, effuse sull'umanità intera. Noi, in questa solennità
della Pentecoste, Ci siamo proposti di rivolgervi la Nostra parola.
[8] Già il nostro Predecessore Pio XI esaltò
nella prima parte della sua enciclica commemorativa la splendida messe, cui
aveva maturata la Rerum
novarum, germe fecondo, donde si svolse una dottrina sociale cattolica,
che offrì ai figli della Chiesa, sacerdoti e laici, ordinamenti e mezzi per una
ricostruzione sociale, esuberante di frutti; sicché per lei sorsero nel campo
cattolico numerose e varie istituzioni benefiche e fiorenti centri di reciproco
soccorso in favore proprio e d'altrui. Quale prosperità materiale e naturale,
quali frutti spirituali e soprannaturali, non sono provenuti agli operai e alle
loro famiglie dalle unioni cattoliche! Quanto efficace e opportuno al bisogno
non si è dimostrato il contributo dei sindacati e delle associazioni in pro del
ceto agricolo e medio per sollevarne le angustie, assicurarne la difesa e la
giustizia, e in tal modo, mitigando le passioni, preservare da turbamenti la
pace sociale!
[9] Né questo fu tutto il vantaggio.
L'enciclica Rerum
novarum, accostandosi al popolo, che abbracciava con stima e amore,
penetrò nei cuori e nelle menti della classe operaia e vi infuse sentimento
cristiano e dignità civile; a segno tale che la potenza dell'attivo suo
influsso venne, con lo scorrere degli anni, così efficacemente esplicandosi e
diffondendosi, da far diventare le sue norme quasi comune patrimonio della
famiglia umana. E mentre lo Stato, nel secolo decimonono, per soverchio
esaltamento di libertà, considerava come suo scopo esclusivo il tutelare la
libertà con il diritto, Leone XIII lo ammonì essere insieme suo dovere
l'applicarsi alla provvidenza sociale, curando il benessere del popolo intero e
di tutti i suoi membri, particolarmente dei deboli e diseredati, con larga
politica sociale e con creazione di un diritto del lavoro. Alla sua voce rispose
un'eco potente; ed è sincero debito di giustizia riconoscere i progressi, che
la sollecitudine delle autorità civili di molte nazioni hanno procurato alla
condizione dei lavoratori. Onde ben fu detto che la Rerum novarum divenne la
Magna Charta dell'operosità sociale cristiana.
[10] Intanto trascorreva un mezzo secolo, che
ha lasciato solchi profondi e tristi fermenti nel terreno delle nazioni e delle
società.
Le questioni, che i mutamenti e rivolgimenti
sociali e soprattutto economici offrivano a un esame morale dopo la Rerum
novarum sono state con penetrante acutezza trattate dal Nostro immediato
Predecessore nella enciclica Quadragesimo
anno. Il decennio che la seguì non fu meno ricco degli anni anteriori
per sorprese nella vita sociale ed economica, e ha versate le irrequiete e
oscure sue acque nel pelago di una guerra, che può avere imprevedibili flutti
urtanti l'economia e la società.
[11] Quali problemi e quali assunti
particolari, forse del tutto nuovi, presenterà alla sollecitudine della Chiesa
la vita sociale dopo il conflitto che mette a fronte tanti popoli, l'ora
presente rende difficile designare e antivedere. Tuttavia, se il futuro ha
radice nel passato, se l'esperienza degli ultimi anni Ci è maestra per
l'avvenire, Noi pensiamo di servirci dell'odierna commemorazione per dare
ulteriori principi direttivi morali sopra tre fondamentali valori della vita
sociale ed economica; e ciò faremo animati dallo stesso spirito di Leone XIII e
svolgendo le sue vedute veramente, più che profetiche, presaghe dell'insorgente
processo sociale dei tempi. Questi tre valori fondamentali, che s'intrecciano,
si saldano e si aiutano a vicenda, sono: l'uso dei beni materiali, il lavoro, la
famiglia.
[12] L'Enciclica Rerum
novarum espone sulla proprietà e sul sostentamento dell'uomo principi,
i quali col tempo nulla hanno perduto del nativo loro vigore e, oggi dopo
cinquant'anni, conservano ancora e profondono vivificante la loro intima
fecondità. Sopra il loro punto fondamentale, Noi stessi abbiamo richiamata
l'attenzione comune nella Nostra enciclica Sertum
laetitiae, diretta ai Vescovi degli Stati Uniti dell'America del Nord:
punto fondamentale, che consiste, come dicemmo, nell'affermazione della
inderogabile esigenza «che i beni, da Dio creati per tutti gli uomini,
equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della
carità».
[13] Ogni uomo, quale vivente dotato di
ragione, ha infatti dalla natura il diritto fondamentale di usare dei beni
materiali della terra, pur essendo lasciato alla volontà umana e alle forme
giuridiche dei popoli di regolarne più particolarmente la pratica attuazione.
Tale diritto individuale non può essere in nessun modo soppresso, neppure da
altri diritti certi e pacifici sui beni materiali. Senza dubbio l'ordine
naturale, derivante da Dio, richiede anche la proprietà privata e il libero
reciproco commercio dei beni con scambi e donazioni, come pure la funzione
regolatrice del potere pubblico su entrambi questi istituti. Tutto ciò
nondimeno rimane subordinato allo scopo naturale dei beni materiali, e non
potrebbe rendersi indipendente dal diritto primo e fondamentale, che a tutti ne
concede l'uso; ma piuttosto deve servire a farne possibile l'attuazione in
conformità con il suo scopo. Così solo si potrà e si dovrà ottenere che
proprietà e uso dei beni materiali portino alla società pace feconda e
consistenza vitale, non già costituiscano condizioni precarie, generatrici di
lotte e gelosie, e abbandonate in balia dello spietato giuoco della forza e
della debolezza.
[14] Il diritto originario sull'uso dei beni
materiali, per essere in intima connessione con la dignità e con gli altri
diritti della persona umana, offre ad essa con le forme sopra indicate una base
materiale sicura, di somma importanza per elevarvi al compimento dei suoi doveri
morali. La tutela di questo diritto assicurerà la dignità personale dell'uomo,
e gli agevolerà l'attendere e il soddisfare in giusta libertà a quella somma
di stabili obbligazioni e decisioni, di cui è direttamente responsabile verso
il Creatore.
Spetta invero all'uomo il dovere del tutto
personale di conservare e ravviare a perfezionamento la sua vita materiale e
spirituale, per conseguire lo scopo religioso e morale, che Dio ha assegnato a
tutti gli uomini e dato loro quale norma suprema, sempre e in ogni caso
obbligante, prima di tutti gli altri doveri.
[15] Tutelare l'intangibile campo dei diritti
della persona umana e renderle agevole il compimento dei suoi doveri vuol essere
ufficio essenziale di ogni pubblico potere. Non è forse questo che porta con
sé il significato genuino del bene comune, che lo Stato è chiamato a
promuovere? Da qui nasce che la cura di un tal bene comune non importa un potere
tanto esteso sui membri della comunità, che in virtù di esso sia concesso
all'autorità pubblica di menomare lo svolgimento dell'azione individuale sopra
descritta, decidere sull'inizio o (escluso il caso di legittima pena) sul
termine della vita umana, determinare a proprio talento la maniera del suo
movimento fisico, spirituale, religioso e morale in contrasto con i personali
doveri e diritti dell'uomo, e a tale intento abolire o privare d'efficacia il
diritto naturale ai beni materiali. Dedurre tanta estensione di potere dalla
cura del bene comune vorrebbe dire travolgere il senso stesso del bene comune e
cadere nell'errore di affermare che il proprio scopo dell'uomo sulla terra è la
società, che la società è fine a se stessa, che l'uomo non ha altra vita che
l'attende fuori di quella che si termina quaggiù.
[16] Anche l'economia nazionale, com'è
frutto dell'attività di uomini che lavorano uniti nella comunità statale,
così ad altro non mira che ad assicurare senza interrompimento le condizioni
materiali, in cui possa svilupparsi pienamente la vita individuale dei
cittadini. Dove ciò, e in modo duraturo si ottenga, un popolo sarà, a vero
dire, economicamente ricco, perché il benessere generale e, per conseguenza, il
diritto personale di tutti all'uso dei beni terreni viene in tal modo attuato
conformemente all'intento voluto dal Creatore.
[17] Dal che, diletti figli, vi tornerà
agevole scorgere che la ricchezza economica di un popolo non consiste
propriamente nell'abbondanza dei beni, misurata secondo un computo puro e pretto
materiale del loro valore, bensì in ciò che tale abbondanza rappresenti e
porga realmente ed efficacemente la base materiale bastevole al debito sviluppo
personale dei suoi membri. Se una simile giusta distribuzione dei beni non fosse
attuata o venisse procurata solo imperfettamente, non si raggiungerebbe il vero
scopo dell'economia nazionale; giacché, per quanto soccorresse una fortunata
abbondanza di beni disponibili, il popolo, non chiamato a parteciparne, non
sarebbe economicamente ricco, ma povero. Fate invece che tale giusta
distribuzione sia effettuata realmente e in maniera durevole, e vedrete un
popolo, anche disponendo di minori beni, farsi ed essere economicamente sano.
[18] Questi concetti fondamentali, riguardanti
la ricchezza e la povertà dei popoli, Ci sembra particolamente opportuno porre
innanzi alla vostra considerazione oggi, quando si è inclinati a misurare e
giudicare tale ricchezza e povertà con bilance e con criteri semplicemente
quantitativi, sia dello spazio, sia della ridondanza dei beni. Se invece si
pondera rettamente lo scopo dell'economia nazionale, allora esso diverrà luce
per gli sforzi degli uomini di Stato e dei popoli e li illuminerà a
incamminarsi spontaneamente per una via, che non esigerà continui gravami in
beni e in sangue, ma donerà frutti di pace e di benessere generale.
[19] Con l'uso dei beni materiali voi stessi,
diletti figli, comprendete come viene a congiungersi il lavoro. La Rerum
novarum insegna che due sono le proprietà del lavoro umano: esso è
personale ed è necessario. E' personale, perché si compie con l'esercizio
delle particolari forze dell'uomo: è necessario, perché senza di esso non si
può procurare ciò che è indispensabile alla vita, mantenere la quale è un
dovere naturale, grave, individuale.
Al dovere personale del lavoro imposto dalla
natura corrisponde e consegue il diritto naturale di ciascun individuo a fare
del lavoro il mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli: tanto
altamente è ordinato per la conservazione dell'uomo l'impero della natura.
[20] Ma notate che tale dovere e il relativo
diritto al lavoro viene imposto e concesso all'individuo in primo appello dalla
natura, e non già dalla società, come se l'uomo altro non fosse che un
semplice servo o funzionario della comunità. Dal che segue che il dovere e il
diritto a organizzare il lavoro del popolo appartengono innanzi tutto agli
immediati interessati: datori di lavoro e operai. Che se poi essi non adempiano
il loro compito o ciò non possano fare per speciali straordinarie contingenze,
allora rientra nell'ufficio dello Stato l'intervento nel campo e nella divisione
e nella distribuzione del lavoro, secondo la forma e la misura che richiede il
bene comune rettamente inteso.
[21] Ad ogni modo, qualunque legittimo e
benefico intervento statale nel campo del lavoro vuol esser tale da salvarne e
rispettarne il carattere personale, sia in linea di massima, sia, nei limiti del
possibile, per quel che riguarda l'esecuzione. E questo avverrà, se le norme
statali non aboliscano né rendano inattuabile l'esercizio di altri diritti e
doveri ugualmente personali: quali sono il diritto al vero culto di Dio; al
matrimonio; il diritto dei coniugi, del padre e della madre a condurre la vita
coniugale e domestica; il diritto a una ragionevole libertà nella scelta dello
stato e nel seguire una vera vocazione; diritto quest'ultimo personale, se altro
mai, dello spirito dell'uomo ed eccelso, quando gli si accostino i diritti
superiori e imprescindibili di Dio e della Chiesa, come nella scelta e
nell'esercizio delle vocazioni sacerdotali e religiose.
[22] Secondo la dottrina della Rerum
novarum, la natura stessa ha intimamente congiunto la proprietà privata
con l'esistenza dell'umana società e con la sua vera civiltà, e in grado
eminente con l'esistenza e con lo sviluppo della famiglia. Un tal vincolo appare
più che apertamente; non deve forse la proprietà privata assicurare al padre
di famiglia la sana libertà, di cui ha bisogno, per poter adempiere i doveri
assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale e
religioso della famiglia?
[23] Nella famiglia la nazione trova la radice
naturale e feconda della sua grandezza e potenza. Se la proprietà privata ha da
condurre al bene della famiglia, tutte le norme pubbliche, anzitutto quelle
dello Stato che ne regolano il possesso, devono non solo rendere possibile e
conservare tale funzione - funzione nell'ordine naturale sotto certi rapporti
superiore a ogni altra - ma ancora perfezionarla sempre più. Sarebbe infatti
innaturale un vantato progresso civile, il quale - o per la sovrabbondanza di
carichi o per soverchie ingerenze immediate - rendesse vuota di senso la
proprietà privata, togliendo praticamente alla famiglia e al suo capo la
libertà di perseguire lo scopo da Dio assegnato al perfezionamento della vita
familiare.
[24] Fra tutti i beni che possono esser
oggetto di proprietà privata nessuno è più conforme alla natura, secondo
l'insegnamento della Rerum
novarum, di quanto è il terreno, il podere, in cui abita la famiglia, e
dai cui frutti trae interamente o almeno in parte il di che vivere. Ed è nello
spirito della Rerum
novarum l'affermare che, di regola, solo quella stabilità, che si
radica in un proprio podere, fa della famiglia la cellula vitale più perfetta e
feconda della società, riunendo splendidamente con la sua progressiva coesione
le generazioni presenti e future. Se oggi il concetto e la creazione di spazi
vitali è al centro delle mete sociali e politiche, non si dovrebbe forse,
avanti ogni cosa, pensare allo spazio vitale della famiglia e liberarla dai
legami di condizione, che non permettono neppure la formazione dell'idea di un
proprio casolare?
[25] Il nostro pianeta con tanti estesi oceani
e mari e laghi, con monti e piani coperti di neve e di ghiacci eterni, con
grandi deserti e terre inospite e sterili, non è pur scarso di regioni e luoghi
vitali abbandonati al capriccio vegetativo della natura e ben confacintesi alla
coltura della mano dell'uomo, ai suoi bisogni e alle sue operazioni civili; e
più di una volta è inevitabile che alcune famiglie, di qua o di là emigrando,
si cerchino altrove una nuova patria. Allora, secondo l'insegnamento della Rerum
novarum, va rispettato il diritto della famiglia ad uno spazio vitale.
Dove questo accadrà, l'emigrazione raggiungerà il suo scopo naturale, che
spesso convalida l'esperienza, vogliamo dire la distribuzione più favorevole
degli uomini sulla superficie terrestre, acconcia a colonie di agricoltori;
superficie che Dio creò e preparò per uso di tutti. Se le due parti, quella
che concede di lasciare il luogo natio e quella che ammette i nuovi venuti,
rimarranno lealmente sollecite di eliminare quanto potrebbe essere d'impedimento
al nascere e allo svolgersi di una verace fiducia tra il paese di emigrazione e
il paese d'immigrazione, tutti i partecipanti a tale tramutamento di luoghi e di
persone ne avranno vantaggio: le famiglie riceveranno un terreno che sarà per
loro terra patria nel vero senso della parola; le terre di densi abitanti
resteranno alleggerite e i loro popoli si creeranno nuovi amici in territori
stranieri; e gli Stati che accolgono gli emigrati guadagneranno cittadini
operosi. Così le nazioni che danno e gli Stati che ricevono, in pari gara,
contribuiranno all'incremento del benessere umano e al progresso dell'umana
cultura.
[26] Sono questi, diletti figli, i principi,
le concezioni e le norme, con cui Noi vorremmo cooperare fin da ora alla futura
organizzazione di quell'ordine nuovo, che dall'immane fermento della presente
lotta il mondo si attende e si augura che nasca, e nella pace e nella giustizia
tranquilli i popoli. Che resta a Noi, se non nello spirito di Leone XIII e
nell'intento dei suoi nobili ammonimenti e fini, esortarvi a proseguire e
promuovere l'opera, che la precedente generazione dei vostri fratelli e delle
sorelle vostre hanno con si ardimentoso animo fondata? Non si spenga in mezzo a
voi o si faccia fioca la voce insistente dei due pontefici delle encicliche
sociali, che altamente addita ai credenti nella rigenerazione soprannaturale
dell'umanità il dovere morale di cooperare all'ordinamento della società e, in
special modo della vita economica, accendendo all'azione non meno coloro i quali
a tale vita partecipano che lo Stato stesso. Non è forse ciò un sacro dovere
per ogni cristiano? Non vi sgomentino, diletti figli, le esterne difficoltà,
né vi disanimi l'ostacolo del crescente paganesimo della vita pubblica. Non vi
traggano in inganno i fabbricatori di errori e di malsane teorie, tristi
correnti non d'incremento, ma piuttosto di disfacimento e di corrompimento della
vita religiosa; correnti, le quali pretendono che, appartenendo la redenzione
all'ordine della grazia soprannaturale ed essendo perciò esclusiva opera di
Dio, non abbisogna della nostra cooperazione sulla terra. Oh misera ignoranza
dell'opera di Dio! « Dicentes enim se esse, sapientes, stulti facti sunt» (Rm
1,22).
Quasi che la prima efficacia della grazia non
fosse di corroborare i nostri sforzi sinceri per adempiere ogni di i comandi di
Dio, come individui e come membri della società; quasi che da due millenni non
viva e perseveri nell'anima della Chiesa il senso della responsabilità
collettiva di tutti per tutti, onde furono e sono mossi gli spiriti fino
all'eroismo caritativo dei monaci agricoltori, dei liberatori di schiavi, dei
sanatori d'infermi, dei portatori di fede, di civiltà e di scienza a tutte le
età e a tutti i popoli, per creare condizioni sociali che solo valgono per
rendere a tutti possibile e agevole una vita degna dell'uomo e del cristiano. Ma
voi, consci e convinti di tale sacra responsabilità, non siate mai in fondo
all'anima vostra paghi di quella generale mediocrità pubblica in cui il comune
degli uomini non possa, se non con atti eroici di virtù, osservare i divini
precetti inviolabili sempre e in ogni caso.
[27] Se tra il proposito e l'attuazione
apparve talvolta evidente la sproporzione; se vi furono falli, comuni del resto
a ogni umana attività; se diversità di pareri nacquero sulla via seguita o da
seguirsi, tutto ciò non ha da far cadere d'animo o rallentare il vostro passo o
suscitare lamenti o accuse; né può far dimenticare il fatto consolante che
dall'ispirato messaggio del pontefice della Rerum
novarum scaturì vivida e limpida una sorgente di spirito sociale forte,
sincero, disinteressato; una sorgente la quale, se oggi potrà venire in parte
coperta da una valanga di eventi diversi e più forti, domani, rimosse le rovine
di questo uragano mondiale, all'iniziarsi il lavoro di ricostruzione di un nuovo
ordine sociale, implorato degno di Dio e dell'uomo, infonderà nuovo gagliardo
impulso e nuova onda di rigoglio e crescimento in tutta la fioritura della
cultura umana. Custodite la nobile fiamma di spirito sociale fraterno, che, or
è mezzo secolo, riaccese nei cuori dei vostri padri la face luminosa e
illuminante della parola di Leone XIII: non lasciate né permettete che manchi
d'alimento e, sfavillando ai vostri commemorativi ossequi, muoia, spenta da una
ignava, schiva e guardinga indifferenza verso i bisogni dei più poveri tra i
nostri fratelli, o travolta nella polvere e nel fango dal turbinante soffio
dello spirito anticristiano o non cristiano. Nutritela, avvivatela, elevatela,
dilatatela questa fiamma; portatela ovunque viene a voi un gemito di affanno, un
lamento di miseria, un grido di dolore; rinfocatela sempre nuovamente con l'ardenza
di amore attinto al Cuore del Redentore, a cui il mese che oggi si inizia è
consacrato. Andate a quel cuore divino, mite e umile, rifugio per ogni conforto
nella fatica e nel peso dell'azione: è il cuore di colui, che a ogni opera
genuina e pura, compiuta nel suo nome e nel suo spirito, in favore dei
sofferenti, degli angustiati, degli abbandonati dal mondo e dei diseredati di
ogni bene e fortuna, ha promesso l'eterna ricompensa beatificante: Voi benedetti
del Padre mio. Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l'avete
fatto a me!
Festa di Pentecoste del 1941
Pio
PP. XII
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