Perché i missionari credono nel Vangelo della Pace

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In questi mesi, il mondo missionario e molte componenti della cooperazione e del volontariato internazionale allo sviluppo(organizzazioni non governative)sono scesi in campo per esprimere il loro dissenso nei confronti dell'azione bellica intrapresa dall'alleanza occidentale contro il regime di Kabul. Ciò ha sorpreso vasti settori dell'opinione pubblica nazionale e non pochi cattolici convinti della necessità di un'azione militare drastica contro il miliardario saudita Osama bin Laden e i suoi sostenitori talebani. Credo pertanto sia necessario riflettere sulle ragioni che hanno spinto organismi autorevoli come la Cimi (Conferenza degli istituti missionari italiani) ad assumere una linea così anticonformista e radicale sul un tema della «Guerra». In effetti, il paradosso, denunciato dai religiosi e dalle religiose, consiste nell'associare la necessità dell'azione bellica all'ottenimento della Pace. Come se
quest'ultima dipendesse inequivocabilmente dai bombardamenti aerei o da altre iniziative militari. Mai come oggi la parola «Guerra» è sulla bocca di tutti:piccoli e grandi. Viene proferita come se fosse il toccasana ai mali del mondo, una sorta di antidoto al pessimismo e agli oscuri presagi del tragico 11settembre. Eppure, i missionari e le missionarie che vivono nel Sud del mondo,in quelle periferie dove la sofferenza appartiene alla ferialità della vita, credono che si tratti di una bestemmia: contro Dio e contro l'uomo. E per questo denunciano a chiare lettere l'inganno. Non per pietismo o pacifismo che dir si voglia. Loro testimoniano in prima persona le vessazioni perpetrate contro popoli inermi. Loro soprattutto conoscono gli effetti devastanti delle mine anti uomo e di tanti altri micidiali ordigni che seminano morte e distruzione in Angola, nel Congo, in Sud Sudan... Pur vivendo in terre lontane,
queste sentinelle di Dio ci rammentano che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Peccato che questo articolo della legge suprema dello Stato sia stato misconosciuto dalla maggioranza dei parlamentari. Il dissenso «missionario» per l'iniziativa militare anglo-americana in Afghanistan, alla quale si è associata l'Italia con 2700uomini, si fonda su motivazioni non solo ideologiche o viscerali, come qualcuno crede, ma rigorosamente logiche. Gli atti criminali dell'11 settembre esigevano una risposta di tutt'altro tipo. Trattandosi di terrorismo, la risposta punitiva non poteva essere affidata ai militari, ma alla giustizia internazionale: magistrati e forze dell'ordine. E non è tutto. Anche sul piano strettamente pratico, la storia insegna che per contrastare fenomeni come il terrorismo e la criminalità la guerra è uno strumento inadeguato e privo di efficacia. Violenza chiama violenza e il magistero della Chiesa, soprattutto dal Concilio Vaticano II ad oggi, rappresenta un valido punto di riferimento per il discernimento. D'altra parte, la testimonianza di Gesù, così come viene riferita dai quattro Vangeli, parla chiaro. Se il Nazareno avesse voluto diventare un leader rivoluzionario contro la dominazione romana avrebbe potuto farlo. Il gruppo degli zeloti non aspettava altro. Erano guerriglieri e credevano nella lotta armata. Invece, il Messia scelse il cammino della croce dal quale scaturì il dono della resurrezione e la salvezza per tutti: per ogni uomo e donna di buona volontà. In questa prospettiva, quello missionario va ben al di là del cosiddetto «pacifismo». Questo termine infatti è stato orribilmente banalizzato dai media nostrani, assumendo addirittura in molti casi una valenza negativa. Quello dei missionari è invece innanzitutto e soprattutto annuncio del Vangelo della Pace, un Vangelo che mai come oggi dovremmo gridare dai pulpiti senza tremore e senza riluttanza. "La Parola di Cristo è la sola che possa dare una risposta agli interrogativi che si agitano
nel nostro animo", ha scritto padre Bartolomeo Sorge, direttore di «Popoli», il mensile missionario della Compagnia di Gesù. "Il credente - si legge nell'editoriale di novembre - sa che il male e la morte non hanno l'ultima parola. Ciò significa che mentre i terroristi e quanti li hanno coperti vanno severamente puniti e condannati per i loro crimini orrendi, nello stesso tempo però anche noi occidentali (a cominciare dagli Stati Uniti) ci dobbiamo interrogare sulle nostre responsabilità in questa esplosione irrazionale di terrorismo. Il nostro egoismo, il nostro razzismo, la nostra chiusura all'altro sono radici che alimentano l'odio. Perciò, solo attraverso il leale riconoscimento delle responsabilità degli uni e degli altri sarà possibile riallacciare il dialogo e tornare a stringerci la mano. Sì, perché l'umanità,oltre che di giustizia, ha bisogno di amore e di perdono".
A distanza di oltre dieci anni, risuonano ancora nei nostri cuori le parole di Giovanni Paolo II che durante la crisi del Golfo disse senza mezzi termini "La guerra è un'avventura senza ritorno". Anche perché le responsabilità occidentali nelle tragedie del Sud del mondo sono colossali. I talebani, come altri movimenti integralisti, per anni sono stati al soldo di coloro che oggi invocano vendetta. Quando si pensa che i Paesi occidentali spendono ogni anno 500 miliardi di dollari per la difesa e il debito estero dell'Africa Subsahariana ammonta a circa 260 miliardi di dollari, i conti sono presto fatti. È vero che ci si lava la coscienza con le vagonate di derrate alimentari o con le gallette paracadutate sui campi minati - ma questa è ipocrisia. Come ebbe a dire recentemente, durante il Sinodo dei Vescovi, monsignor Vincent Michael Concessao, arcivescovo di New Delhi, esiste anche il terrorismo economico che affama il Sud del mondo. Le vere opzioni contro la malavita organizzata, contro il terrorismo e la miseria che attanaglia milioni di uominie di donne rimangono lettera morta. Vi sono purtroppo ancora troppi cosiddetti «Paesi democratici» che non hanno ratificato trattati importanti per la Pace:vale a dire quelli di Ottawa sull'abolizione delle mine anti-uomo e di Roma sul Tribunale penale internazionale permanente, o perfino la Convenzione sui diritti del fanciullo. Una cosa è certa: l'Onu manca ancora dell'autorità e della forza necessarie per far osservare le norme internazionali. Viene spontaneo chiedersi a cosa serva la Carta delle Nazioni Unite, se poi il Paese colpito da un atto terroristico scatena autonomamente la guerra e si sceglie gli alleati? Si impone dunque una riforma delle Nazioni Unite se si vuole che l'ordine legale venga ristabilito secondo regole certe di giustizia internazionale e non secondo la «logica» imposta dalle Potenze più forti. Viene alla mente il messaggio rivolto da Paolo VI all'Assemblea dell'Onu il 4 ottobre1965: "Finché l'uomo rimane l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi,coraggiosi e valenti quale siete state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è il mobilissimo scopo, questi i Popoli attendono da voi, questo si deve ottenere". Queste parole furono pronunciate 36 anni fa. A tutt'oggi sono ignorate e disattese per mancanza di volontà politica, ma soprattutto per le negligenze dei grandi della
Terra. Una responsabilità grave che ci ha trovato impreparati di fronte alla tragedia delle «Twin Towers», in cui la vendetta ha preso il sopravvento sulla giustizia. L'obiezione che è stata mossa da non pochi opinionisti contro le posizioni missionarie in favore della Pace - peraltro espresse a caratteri cubitali sulle testate della Fesmi (Federazione della stampa missionaria italiana) - è di aver fatto indebitamente politica, sconfinando oltre il recinto propriamente religioso. A questi signori, con rispetto e affetto rammentiamo quanto la Costituzione pastorale «Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo» (Gaudium et Spes) afferma: "Dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo, nel quale, mediante l'accordo delle nazioni si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra. Questo naturalmente esige che venga istituita un'autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza,osservanza della giustizia e rispetto dei diritti". Quando sono in gioco i valori e la politica è intesa come servizio alla «res publica» universale (per il bene comune della collettività umana), non solo è lecito parlare, ma è un dovere evangelico schierarsi.

(fonte MISNA)

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