Chiesa e politica a Cosenza

nella seconda metà del Novecento

 

Intervista al Prof. Antonello Costabile

a cura di Ercolino Cannizzaro

La Chiesa cosentina e la politica: dal secondo dopoguerra ad oggi. E’ l’argomento di cui parliamo, in questa intervista, col Prof. Antonio Costabile, docente di Sociologia Politica nell’Università della Calabria, autore di alcuni saggi sul rapporto tra modernizzazione, appartenenze familiari e sistema politico nella città di Cosenza.

Quali snodi storici è possibile individuare, in questo mezzo secolo, nel rapporto tra Comunità ecclesiale e sistema politico nella nostra città? 

“Un primo snodo si può individuare partendo dal riconoscimento di alcuni dati di fatto. A Cosenza la democrazia nasce registrando, nei primi dieci anni del dopoguerra – dalla metà degli anni quaranta alla metà degli anni cinquanta –, la presenza sulla scena politica di un sacerdote, don Luigi  Nicoletti, che ha un ruolo importante. La Chiesa, quindi, non è solo influente dall’esterno o attraverso l’associazionismo, ma attraverso una figura che contribuisce a dare un’impronta a questa democrazia, ed è una figura “bella”, importante, magari controversa, criticabile per molti aspetti, però sicuramente interessante. E’ una figura di prete che fa politica fino alle soglie del Concilio. Gli anni cinquanta sono gli anni dei comitati civici, in cui molti sacerdoti sono “impegnati” in politica. Ma qui abbiamo a che fare con un dirigente del partito democristiano, una figura di rilievo”.

Nei primi anni, però, troviamo ancora don Carlo De Cardona, altra figura storica del cattolicesimo cosentino.

“Sì, proprio agli albori, nel passaggio '43-'46, tra i protagonisti c’è ancora don Carlo De Cardona, che però poi, nelle elezioni del '46 – in età ormai avanzata –, subisce una clamorosa sconfitta: il partito ottiene un grosso successo ma lui non viene eletto e passa nel retroscena della politica. E con lui viene sconfitto il cattolicesimo popolare, nel senso dell’associazionismo cattolico operaio e contadino. Viceversa, tra i protagonisti emergenti, con un ruolo significativo per almeno un decennio, troviamo don Luigi Nicoletti, anche se poi avrà i suoi scontri nella DC e sarà a sua volta sconfitto, ma combatterà, criticando aspramente, sul giornale “Democrazia Cristiana”, i personaggi a loro volta vincenti all’interno del partito. Partirei da questo per sottolineare un altro problema, che è interno al rapporto Chiesa-politica ed è interno alla politica in città: il problema riguardante il “tipo” di partiti che abbiamo avuto a Cosenza, e quindi il rapporto partito-Chiesa da una parte e, dall’altra parte, ideologia-clientela che, secondo me, rappresenta il vero nodo”.

Approfondiamo, allora, questo secondo aspetto: in che senso questo dei partiti è un nodo essenziale?

“Il punto è questo. L’ideologia è stata, insieme all’organizzazione, l’elemento costitutivo dei partiti di massa. Essa – in quanto compatibile con la democrazia – ha costituito, per i ceti popolari, una visione del mondo e una forza di emancipazione rispetto ai poteri dominanti, facendo emergere, sulla scena politica, figure autenticamente rappresentative, espressione diretta dei partiti. In Calabria e in gran parte del Mezzogiorno l’ideologia, nei partiti, è stata collegata ad un’organizzazione debole, e quindi le élites politiche sono quasi sempre state, più che élites autenticamente espressione dei partiti e della loro autonomia, élites legate ai punti forti della società civile. In Calabria i punti forti della società civile sono sempre stati strutturati in termini “comunitari”, nel senso della comunità primaria, cioè in termini parentali e quindi legati poi a quella parentela simbolica che è la clientela. Possiamo dire, allora, che la base su cui si sono costruiti i partiti, in Calabria e anche a Cosenza, è consistita in un originale connubio di ideologia, clientela e familismo; non di ideologia e organizzazione autonoma del partito. Questo è importantissimo fin dalle origini, in tutti i partiti. Anche nei partiti di sinistra la strutturazione in termini parentali è stata decisiva. L’organizzazione, pur essendo presente, non aveva né la forza sociale né la forza elettorale di competere con coloro che, dentro l’organizzazione, avevano reti parentali così forti da essere, dentro il partito e fuori, così autorevoli da conquistare la direzione del partito e delle istituzioni. Il partito diventa uno strumento delle comunità primarie. L’ideologia, in questo caso, strutturalmente non è stata una forza trainante, ma è stata il sogno dei giovani oppure uno strumento nelle mani delle clientele, al di là della sua forza attrattiva in termini elettorali. In questo senso il ruolo di don Luigi Nicoletti – che si differenzia nettamente da don Carlo De Cardona – contribuisce, fin dall’inizio, a dare l’impronta. Don Luigi è per il partito, chiaramente, ed è per un certo rapporto tra Chiesa e mondo prima che tra Chiesa e politica. Estremamente limpido ed esemplare è un suo fondo, pubblicato su “Democrazia Cristiana” nel '46, intitolato “Costruire lo stato cristiano”. E’ una concezione che, pur avendo dei pregi, io mi azzarderei a definire preconciliare, decisamente preconciliare: la Chiesa e il mondo, lo stato cristiano e lo stato non cristiano sono ancora antitetici, sono due mondi contrastanti”.

Quale significato assume, allora, la politica nell’ambito di questa concezione?

“La politica è il modo, per i cattolici, attraverso cui costruire lo stato cristiano. Questa visione “ideologica”, collegata a quegli elementi di debolezza del partito di cui dicevamo, dà luogo ad un particolare connubio tra la DC cosentina e il mondo ecclesiale, per cui quest’ultimo sembra assumere la funzione di “tutore” di questa ortodossia nella politica – che è la battaglia per lo stato cristiano – dopo di che ci sono gli amministratori che si sporcano le mani con le contraddizioni della politica. Io direi che questo è lo snodo che poi ha continuato ad essere presente anche in seguito. C’è un’ortodossia difesa dalla Chiesa, della “santa” politica, dello stato cristiano e ci sono i poveretti che devono sporcarsi le mani e fare quello che possono, essendo la politica, in questa logica antinomica, una cosa sporca, opposta allo stato cristiano. In definitiva il campo del lecito sprofonda, perché rispetto allo stato cristiano è tutto sporco. E qui emerge una sottovalutazione delle istituzioni, dell’autonomia e della creatività della politica, della distinzione tra bene collettivo e bene particolaristico: quest’abisso, per cui noi tanto soffriamo, non è al centro di quella riflessione, perché è solo sulla misura di quella ortodossia dello stato cristiano che si valuta la bontà del cattolico impegnato in politica, e tutto si risolve in una ideologia che non è l’ideologia dei partiti di massa, ma si incentra su questa rottura tra i due mondi, i due regni: il regno di Dio e il regno dell’uomo”.

Il Concilio Vaticano II porterà ad un superamento di questa concezione. Quale valutazione si può dare, al riguardo, rispetto alla realtà cosentina?

“Sicuramente col Concilio si è avviata tutta una riflessione che invece vede nel mondo, con tutte le sue contraddizioni, le sue tragedie, non più il luogo di questa radicale rottura ma il luogo in cui i cristiani, in maniera anche creativa, vivono l’ispirazione evangelica in un modo meno conflittuale, anche se intransigente nei momenti in cui è necessario, ma non in termini antinomici. La logica dei due regni, dei due mondi separati non è quella del Concilio. D’altra parte ho l’impressione che questa vecchia logica, qui da noi, di fatto non viene superata, ed è proprio a partire da essa che si è avviato un processo per cui poi, anche le degenerazioni della politica, in quanto appartenevano al regno mondano, erano fin troppo tollerate, non erano contrastate. La forza di contrasto della Chiesa, rispetto alle degenerazioni clientelari, affaristiche, particolaristiche – mi riferisco al processo che ha portato alla lottizzazione della città, all’appropriazione in termini particolaristici dei sistemi del lavoro e della vita urbana – è stata debole o assente. Quel tipo di ideologia politica non ha certo aiutato la formazione dei cattolici impegnati in politica e, insieme alla debolezza dell’associazionismo, sempre di più, nel corso degli anni, ha teso a non avere né la forza evangelizzatrice necessaria nella società e di fronte alla politica, né la forza di contrasto necessaria di fronte ad un indebolimento della presenza cattolica in politica. La Chiesa non sembra essere forza di contrasto, addirittura, per certi aspetti e in certi momenti, fornisce al binomio ideologia-clientela, che è l’asse portante dei partiti cosentini, una qualche giustificazione, non di tipo strumentale ma, appunto, ideologico”.

Il familismo, la parentela, il clientelismo finiscono, dunque, per occupare la politica,  provocandone la degenerazione …

“Sì, direi che questo è il vero nodo, che si è andato stringendo nel tempo, in questa città: la tendenza a strutturare le relazioni familiari in termini di potere, in tutti gli ambiti della vita sociale e politica. Questa è diventata la vera unica ideologia di questa città, le altre sono rimaste paraventi o illusioni di giovani. E l’educazione alla politica, a Cosenza, è avvenuta e avviene attraverso la consapevolezza di questo meccanismo. Quanto prima e quanto più ne sei consapevole, tanto più sei flessibile, spregiudicato, perché puoi dichiararti comunista, anticomunista, liberale, fascista, democristiano, ma la tua vera ideologia politica, il tuo vero metodo è di diventare abile nelle tecniche della politica e legato a questo “valore”, e poi chiedere, senza dirlo, il voto su questa base: potete fidarvi di me, perché io mi sono strutturato in termini di potere, ho fatto ciò che voi desiderate fare, sono il vostro “campione”!”.

Torniamo al nodo storico della debolezza dei partiti, che sembra emergere più chiaramente a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, e poi si manifesta nei decenni successivi.

“In questa seconda fase, con la sconfitta di don Luigi Nicoletti, si afferma esplicitamente ed autonomamente il partito, con l’emergere dei nuovi leaders e attraverso un crescente distacco dal mondo ecclesiale. Ma, nello stesso tempo, è un partito che cresce sull’abbinamento ideologia-clientela-potere, su basi familiari. Il partito cresce ma cresce anche la sua debolezza nei confronti delle parentele. Esso è un elemento decisivo ma è meno importante di quanto appare, fino a diventare un involucro vuoto da riempire a piacimento su basi familistiche, al di là di ogni ideologia di facciata. Tant’è che la vera discriminante, in sostanza, è tra chi il potere ce l’ha e chi non ce l’ha. Uno degli scontri più forti, in questa città, si è realizzato negli anni '70-'80 tra le famiglie forti e le famiglie provenienti dal basso, guardate con disprezzo da parte di una certa società cosentina. Uno scontro di potere tra familismo popolare e familismo elitario. La stessa massoneria, a Cosenza, non è altro che una clientela occulta, trasversale a tutti i partiti. A parte quel poco che ha di ideologico, che si estrinseca, poi, in un anticlericalismo ormai fuori tempo, essa si presenta sostanzialmente come una forma di familismo: siamo “fratelli” e come tali ci intendiamo, parliamo tutti lo stesso linguaggio, l’essenziale è mirare al potere e riprodurre quel potere in un circuito chiuso”.

Gli anni ottanta registrano un arresto della crescita urbana e, a livello politico, una crescente frantumazione dei partiti …

“Si arriva ad una vera e propria paralisi amministrativa, a causa dell’estrema frammentazione e della elevata litigiosità dei partiti, che sono ormai dei veri e propri aggregati clientelari, fino alle soglie di “tangentopoli”, che ne provocherà l’esplosione. Si registra quello che è stato definito come il fenomeno della “onniclientelizzazione”, che produce anche una totale ingovernabilità. E mi sembra che la Chiesa non riesca a leggere questa situazione. C’è una cattiva lettura dell’autonomia della politica: la politica “fai da te”. La concezione dei due regni diventa, qui, una cattiva lettura dell’autonomia della politica, come separazione completa. Per altro verso, come effetto di questa separazione abbiamo una Chiesa che sembra diventare, sempre più, “istituzione”: la Chiesa dialoga coi poteri civili in quanto istituzione. E’ una istituzione tra le altre, che viene invitata alle manifestazioni e svolge determinate funzioni. La Chiesa percepita come istituzione diventa, cioè, una “funzione”. La testimonianza viva del Vangelo sembra ridursi, appare meno forte: credo che questa sia stata la caratteristica degli anni '80-'90”.

Questa ruolo “istituzionale” della Chiesa cosentina è il risultato di una scelta o è stato, in qualche modo, anche “subìto”?

“Direi innanzitutto subìto, perché c’è una pressione sociale molto forte in questo senso. La Chiesa come istituzione efficiente (vedi gli asili, le scuole cattoliche, le associazioni parrocchiali …) viene vista come una funzione utile ma strumentale in un sistema non cristiano: la religione cattolica come una sorta di religione civile! Questo è il pericolo maggiore che noi viviamo: è il pericolo dello svuotamento del Vangelo e della capacità di evangelizzare, pur non negando gli aspetti positivi di questo bisogno sociale nei confronti della Chiesa, sul quale, però, non bisogna farsi illusioni, effettuando letture sbagliate”.

Qual è stato, in questi decenni, il ruolo dell’associazionismo cattolico in rapporto alla politica?

“Ci sono stati momenti diversi, con una maggiore e diretta presenza nel primo decennio di questo dopoguerra. In generale, però, direi che l’associazionismo non ha avuto molto peso rispetto ai vertici del partito cattolico. Sicuramente ha avuto un peso nella coscienza dei cattolici cosentini. Ha avuto influenza sulla base più che sul potere, il quale si è riprodotto su altre basi, come abbiamo visto. E’ stato più “strumentale”, l’associazionismo, che “promotivo” del potere. Viceversa, rispetto alla base, ha favorito l’organizzazione del consenso, ma anche una certa formazione culturale, pur se sostanzialmente preconciliare: quella imperniata sui due mondi separati e, quindi, in qualche modo funzionale al binomio ideologia-clientela, magari con le migliori intenzioni. Sostanzialmente mi pare che come promozione di società civile matura, come promozione culturale esterna, come impegno sulle grandi questioni della vita dell’uomo contemporaneo, la presenza, in questi decenni, dell’associazionismo cattolico cosentino sia stata molto marginale. Negli ultimi decenni l’associazionismo sembra aver puntato, quasi esclusivamente, sulla formazione interna, con un progressivo disimpegno nei confronti delle questioni politiche. Fermo restando esperienze associative, magari circoscritte, anche più significative”.

Che cosa significa fare oggi politica, da cristiani, in una città come Cosenza?

“Significa riscoprire la parabola del seminatore. Siamo dentro trasformazioni che non gestiamo, in grande misura, per cui – superando ogni pessimismo esasperato – non ci resta che seminare, perché in queste trasformazioni le radici più profonde di valore possono essere completamente trascurate e dimenticate. E’ necessario riaffermare con forza la centralità del bene collettivo, seminando idee, progetti, che possono anche essere sconfitti, ma possono, invece, lasciare tracce feconde nelle coscienze”.

                                                                              (Ercolino Cannizzaro)

Per approfondire i contenuti di questa intervista, si veda il volume:

Costabile A., Modernizzazione, Famiglia e Politica, Ed. Rubbettino 1996

 

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