Appunti per il lavoro degli Animatori territoriali | ||
Che cosa ci è chiesto?Il compito da svolgere in questa fase sarà di realizzare
una vasta azione di sensibilizzazione in tutta la diocesi, ricordando
che caratteristiche del progetto sono proprio la popolarità e la
distribuzione territoriale. Che cosa fare, concretamenteIniziamo a parlare del progetto dei "Percorsi" con
altre persone che hanno incarichi ecclesiali a vari livelli
(responsabili di AC, responsabili di altri gruppi ecclesiali, parroci,
responsabili di settori pastorali, uffici diocesani, ecc.), cominceremo,
così, a svolgere quella azione di animazione della comunità diocesana
che ci è stata chiesta dall'Arcivescovo. Naturalmente, come ci siamo
detti al primo incontro, conviene iniziare con persone amiche, per poi
estendere gradualmente il raggio di azione. Cosa dire alle persone che contattiamo?-
Presentiamo
il progetto dei "Percorsi" (dopo aver riletto noi gli
"Appunti"), precisando che non si parla di una cosa in più da
fare, ma di un modo nuovo di caratterizzare le cose che già si fanno
(catechesi ai ragazzi, riunioni per giovani e adulti, formazione dei
catechisti o degli operatori pastorali, azioni missionarie della
parrocchia...) -
Chiediamo
di iniziare un ragionamento su come la realtà di cui hanno la
responsabilità potrebbe essere coinvolta nei "Percorsi" e su
quale aiuto potrebbe essere necessario -
Annotiamo
mentalmente eventuali rilievi, obiezioni, considerazioni che i nostri
interlocutori ci offrono, perché se ne possa tenere conto in fase di
definizione delle iniziative. L’obiettivo primario della fase di sensibilizzazione: porre le domandeSappiamo bene come spesso capiti che le proposte formative
(anche quelle ben elaborate) non raggiungano il successo. Frequentemente
questo avviene perché, concentrati sui contenuti da comunicare, ci si
dimentica di un metodo adeguato e, soprattutto, si forniscono risposte a
domande mai poste! Il problema principale, dunque, è di suscitare interesse
intorno al progetto, non attraverso la predisposizione di contenuti
preconfezionati, ma attraverso occasioni che facciano nascere domande,
quelle domande che chiederanno delle risposte e che renderanno
significative le proposte formative previste dai “Percorsi”. Tanto per esemplificare, se si propone ad un gruppo di
giovani di fare una riflessione sul rapporto tra etica ed economia,
probabilmente all’incontro si presenterà il 2-3% degli invitati
(quelli a cui dispiace “bidonare” il responsabile del gruppo!). Ma
se si pone una domanda precisa (per esempio, “è giusto per un
cristiano cercare di arricchirsi giocando al superenalotto?”),
superata la fase delle risposte ovvie potrebbe nascere l’esigenza di
approfondire le questioni, fino a giustificare anche il ricorso ad un
incontro “ad hoc”. Qualche idea sui tempiQuella della prima sensibilizzazione è una fase che dovrà
impegnarci in modo prioritario per i prossimi due mesi circa (fino, cioè,
alla prima iniziativa pubblica, prevista, orientativamente, per la fine
di gennaio). Dopo questa fase, sarà necessario agire almeno su tre
direttrici contemporanee: 1)
continuare la sensibilizzazione, contattando chi ancora “ci è
sfuggito” e “coltivando” coloro con i quali abbiamo già parlato
(preti, responsabili di gruppi, catechisti, ecc.) 2)
favorire una ricaduta del tema lanciato nella prima iniziativa
pubblica, attraverso la realizzazione di momenti di approfondimento
promossi da coloro che stiamo “coltivando” (chiederemo ai relatori
di fornire in anticipo delle schede che possano essere utilizzate sia
come preparazione agli incontri che come strumenti di approfondimento in
gruppi) 3)
lavorare per attivare gruppi locali che assumano la responsabilità
di avviare “Percorsi” in singole realtà (parrocchie, paesi, settori
pastorali, associazioni ecclesiali…) I tre punti qui indicati possono essere considerati gli
obiettivi generali per l’anno pastorale in corso (fino a giugno),
considerando che, nel frattempo, saranno programmate altre (poche!)
iniziative pubbliche di rilievo. Può darsi, inoltre, che il gruppo
“pensatoio”, quello che chiamiamo “Laboratorio diocesano di
discernimento”, produca idee e stimoli interessanti che possano
“contaminare” la nostra proposta.
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