A Carnevale,
si sa, le maschere entrano in scena e, quando lo fanno...
beh...non sai
mai cosa ti aspetta: capriole, risate,
insomma una
sorpresa dopo l'altra.
E allora,
ecco alcune storie buffe...un po' burlone e un po' grottesche,
di alcune
maschere fra le più note e le più amate dai bambini.
Una sera i signori De
Servi chiamarono con urgenza il medico, perché il nonno stava male.
Dopo un'ora, grasso, tronfio, tutto vestito di nero, con un grosso
naso ed un gran cappello,
arrivò il Dottor Balanzone di Bologna.
Si avvicinò con aria solenne al letto del nonno ed incominciò: "Questo
est il paziente, l'ammalato, l'uomo dalla salute cagionevole?". "Sì
Eccellenza..." "Volete che gli parli in italiano,in dialetto
bolognese
o in latino latinorum?". "Ma veramente per noi...". "Desiderate che io
scriva, parli, danzi, faccia smorfie, balbetti? Posso scegliere il
linguaggio che più vi aggrada, poiché io sono dottissimo: ho studiato
alla Accademia degli Asinelli, all'Università dei Merli, alla Grande
Scuola dei Pomodori ripieni. Io sono laureato in Larghezza, Altezza,
Lunghezza. Io sono un grande Dottore, un magno Dottorem. Toh...a
proposito magno anche subito se volete!" "Ma come volete che si pensi
a mangiare in un momento come questo" esclamarono indignati
i signori De Servi. "Non vedete che il nonno é gravissimo?
Presto..."."Calma, calma"replicò Balanzone. Ora mi accingerò a
visitare l'ammalato. Volete che gli tocchi il polso sinistro o destro?
La gamba o il torace? Gli faccio una puntura, cento punture? Volete
che gli tolga il fegato?".
"Il fegato!!!???". "Oppure desiderate che gli tolga la milza, il
cuore, i polmoni, l'orecchio destro, il ginocchio sinistro?". A questo
punto il nonno, stanco di tutti quegli spropositi, si alzò, si vestì e
andò all'osteria a scolarsi una bottiglia di Lambrusco, lasciando il
Dottor Balanzone... in eredità ai parenti!.
La
luna era lassù, più pallida del solito. Si rispecchiava sul
lago,si rompeva con le onde, si ricomponeva e guardava verso un
ponte di legno. Da quel ponte, ogni tanto, cadeva una lacrima,
formando nell'acqua dolci cerchi. Usciva dal ciglio triste di
Pierrot che piangeva in silenzio, per non disturbare nessuno.
Quel giorno aveva già avuto due grossi dispiaceri. Gli si era
stretto il cuore quando un gatto randagio aveva strappato un
petalo da un fiore e aveva ancora sofferto vedendo due nuvole
bianche, esili, leggere, brutalmente spazzate via da un orribile
ventaccio sorto e sparito in un minuto. Dolori, sempre dolori,
nella sua vita. Ma il più grande, il più straziante, quello che
lo portava quasi alla soglia del nulla, era racchiuso in un nome
sublime: Isabella. L'aveva vista solo un attimo, in riva al
lago, tanti anni fa, lontano nel tempo, o forse l'aveva
solamente sognata.
Ed
ora come sempre, l'aspettava sul ponte di legno... Isabella non
lo sapeva, ma il cuore di Pierrot le mandava continui messaggi
appassionati. Quel cuore non faceva come tutti gli altri : "Puf,
pof, puf, pof". Esso ripeteva sommessamente :"Isa-bella,
Isa-bella, Isa..." D'improvviso un canto, delle risa
spensierate: ecco, arrivano i suoi cari amici, Colombina,
Arlecchino, Brighella e tutti gli altri. Le maschere gli corrono
incontro e lo chiamano: "Pierrot, Pierrot é la tua festa, non
ricordi? Vieni ti aspettano tante sorprese!".
Ciondolando la testa, strascicando i piedi, Pierrot si avvia
verso l'allegra brigata, mentre il pallore del suo viso si anima
nella luce di un timido, dolce sorriso.
Pulcinella era la marionetta più irrequieta di tutto il vecchio
teatrino.
Aveva sempre da protestare, o perché all'ora della recita avrebbe
preferito andare a spasso,
o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui
avrebbe preferito una parte
drammatica. "Un giorno o l'altro" egli confidava ad Arlecchino "Taglio
la corda".
E così fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscì ad
impadronirsi di un paio di forbici
dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l'altro i fili che gli
legavano la testa, le mani e i piedi
e propose ad Arlecchino: "Vieni con me." Arlecchino non voleva saperne
di separarsi da Colombina,
ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella
smorfiosa, che in teatro gli
aveva giocato centomila tiri. "Andrò da solo" decise.
Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla. "Che
bellezza" pensava correndo
"non sentirsi più tirare da tutte le parti da quei maledetti fili! Che
bellezza mettere il piede proprio
nel punto dove si vuole". Il mondo, per una marionetta solitaria, é
grande e terribile, e abitato
specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi
cosa che fugge per un topo
cui dare la caccia. Pulcinella riuscì a convincere i gatti che avevano
a che fare con un vero
artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò
contro un muricciolo e si
addormentò. Allo spuntare del sole si destò ed aveva fame. Ma intorno
a lui, a perdita d'occhio,
non c'erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie. "Pazienza" si
disse Pulcinella e colto un
garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza.
Non era come mangiare
una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico; i fiori hanno
molto profumo e poco sapore.
Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo
boccone era sicuro di non aver
mai gustato cibo più delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel
giardino e così fece.
Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non
temevano pioggia né grandine
e si nutriva di fiori; oggi un garofano, domani una rosa.
Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma
non si arrendeva.
Era diventato secco secco, ma così profumato che qualche volta le api
si posavano su di lui
per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver
tentato invano di affondare
il pungiglione nella sua testa di legno. Venne l'inverno, il giardino
sfiorito aspettava la prima
neve e la povera marionetta non aveva più nulla da mangiare.
Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe
di legno non lo
avrebbero portato lontano. "Pazienza" si disse Pulcinella "Morirò qui.
Non é un brutto posto
per morire. Inoltre morirò libero: nessuno potrà più legare un filo
alla mia testa, per farmi
dire sì o no". La prima neve lo seppellì sotto una morbida coperta
bianca. In primavera, proprio
in quel punto, crebbe un garofano.
Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava:"Ecco, sulla mia testa
è cresciuto un fiore.
C'é qualcuno più felice di me?" Ma non era morto, perché le marionette
di legno non possono
morire. E' ancora là sotto e nessuno lo sa. Se sarete voi a trovarlo,
non attaccategli un filo in
testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma
lui non lo può proprio soffrire.
Re
Carnevale, sovrano forte, potente e governava un vasto regno con
saggezza e somma giustizia. Le porte del suo palazzo erano sempre
aperte e chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia, fornite di
cibi prelibati, e saziarsi a volontà.
Ma i sudditi, invece di rallegrarsi di avere un sovrano così generoso,
approfittarono del suo
buon cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza, da costringere
il povero re a non
uscire più dal suo palazzo per non essere fatto oggetto di beffe ed
insulti.
Egli allora,si ritirò in cucina e lì rimase nascosto, mangiando e
bevendo in continuazione.
Ma un brutto giorno, era sabato e, dopo essersi abbuffato più del
solito, cominciò a sentirsi male.
Grasso come un pallone, il volto paonazzo e il ventre gonfio, capì che
stava per morire; la sua ingordigia lo aveva rovinato.
Tutto
sommato era felice per la vita allegra che aveva condotto, ma non
voleva andarsene così, solo, abbandonato da tutti, proprio lui, il
potente Re Carnevale! Si ricordò, allora, di avere una sorella, una
bella donnina fragile, snella e un po'
delicata...eh sì era davvero diversa quella sorella di nome
Quaresima!...che lui, un giorno, aveva cacciato di corte. La mandò a
chiamare e lei, generosa, accorse; gli promise di assisterlo e farlo
vivere altri tre giorni, domenica, lunedì e martedì, ma in cambio
pretese di essere l'erede del regno. Re Carnevale accettò e passò gli
ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile. Morì
la sera del martedì e sul trono, come precedentemente avevano
stabilito, salì Quaresima; prese in mano le redini del regno e governò
il popolo con leggi dure e severe,
ma in fondo benefiche.
Scrivetemi e pubblicherò con immenso
piacere le vostre Poesie, i vostri Pensieri, i vostri Racconti...