Ipocriti da competizione

 

di Giorgio Reineri

  • I francesi hanno scoperto l'acqua calda
  • Lo sportivo d'élite è un malato cronico
  • Ancora resiste l'assurdo concetto che vuole i campioni tutti santi e figli di Maria

In un seminario organizzato a Parigi dal ministero della gioventù e dello sport e dalla missione interministeriale di lotta contro la droga e la tossicomania - intitolato "Pratica sportiva dei giovani e condotte a rischio" - sono stati presentati i risultati di tre ricerche. Due di queste - una condotta da dottor William Lowenstein, dell’Ospedale Laennec di Parigi, e l’altra da Marie Choquet, dell’Inserm (Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica) - hanno concordemente stabilito che lo sport agonistico fa male.
Molto più modestamente, e senza il supporto del governo di Francia, questa banalità era già stata enunciata sedici anni or sono, dal sottoscritto, in una serie di servizi apparsi sull’allora quotidiano "Il Giorno". Già dal titolo d’uno di quegli articoli - "Il campione, questo grande malato" - si poteva facilmente evincere il contenuto: e, cioè, essere l’atleta di alta performance un soggetto a rischio di gravi alterazioni sia sotto l’aspetto bio-fisiologico che sotto quello psicologico. A descrivere alcune delle patologie più comuni del campione era stato il professor Francesco Conconi, oggi Rettore dell’Università di Ferrara che, a dispetto di recenti indagini poliziesche, rimane tra i più seri e onesti studiosi italiani di questa materia.
L’onestà di Conconi consisteva proprio nel non nascondere agli atleti i rischi impliciti della professione, appetto a quanti andavano invece esaltando la fiera bellezza del competere, l’ardimento individuale, la fatica che fortifica lo spirito, la lotta che esalta il senso di lealtà e prepara alle difficoltà della vita.
Oggi, anche gli scienziati francesi hanno finalmente scoperto che quegli aedi - scopiazzatori peraltro maldestri di Pierre De Coubertin - erano, e rimangono, degli impostori. E che una pratica intensa dello sport può portare all’alcoolismo, al fumo,. alla droga - usata per sfuggire allo stress - e a comportamenti violenti in una percentuale maggiore di quella registrata tra la gioventù sedentaria. Stupisce, tuttavia, che a queste conclusioni, frutto di indagine statistica e di osservazioni presso centri di recupero dalle tossicodipendenze (come quello di Chalet du Thianty, ad Alex sopra il lago d’Annecy), i ricercatori di Francia siano arrivati così tardi. Infatti sarebbe bastato leggere qualcosa della vasta letteratura medico-sportiva della deprecata Germania Est per conoscere, ad esempio, la "sindrome da mancato allenamento", e di come si dovesse curare e accudire un campione nel momento del ritorno alla vita "normale".
Ad ogni modo, ripetere aiuta.
E ancor più aiuterebbe se la si smettesse con l’ipocrisia. L’ipocrisia è quella che vorrebbe gli eroi dello sport tutti santi e figli di Maria: non è, invece, proprio così.
Gli eroi dello sport son gente che hanno una genetica d’eccezione, una volontà d’emergere fuori dal comune, una capacità di soffrire unica e, talvolta, un’intelligenza uguale o, seppur di rado, superiore alla media. La moralità, quella, è legata all’istruzione, all’ambiente sociale in cui son cresciuti, alla famiglia e, infine, alle circostanze della vita.
Gli eroi dello sport son gente che rischiano molto, per passione ma, anche, per denaro come in tutte le attività umane. Il rischio è, in effetti, il loro mestiere e scoprire oggi che lo sport agonistico si accompagni a vere e proprie malattie professionali appare ingenuo, se non ridicolo.
Ma lo sport è, e rimane, bello. Esso è uno spazio di conquista del corpo, ed è diritto di ogni individuo scegliere se avventurarsi su questo rischioso terreno o rimanerne, invece, spettatore. Gli Stati devono soltanto garantire questa libertà, senza usarla a propri fini o proibirla per altre pruderie moralistiche.
Gli Stati, e i loro governanti pro-tempore, dovrebbero occuparsi non degli atleti d’élite ma dell’educazione sportiva dei cittadini sedentari. Invece, ondeggiano tra gli uni e gli altri e sempre più spesso in contraddizione con se stessi.
Come il ministro dello sport e della gioventù francese, signora Marie-George Buffet che, nel mentre finanziava ed esaltava la ricerca sui guai del campionismo, sospendeva gli allenatori della nazionale francese d’atletica, rei d’esser tornati a Parigi, da Sydney, senza una medaglia.

(8 DICEMBRE 2000)

 

indietro

torna all'indice