La storia
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LA FAMIGLIA ROMANO
di Scala,Tramonti, Cava, Sorrento,
Tropea, Lecce, Castelnuovo della Daunia
Bibliografia
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cura di Pasquale RUSSO), Napoli 1988.
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Sono
risultati inoltre utili, in fase di controllo dei dati, vari siti internet
comunali e dinastici.
Premessa
Vari
autori hanno trattato di questa famiglia (Ricca 1865, Candida Gonzaga 1879, Di
Crollalanza 1886, Bonazzi di Sannicandro 1902, Mannucci 1932, Spreti 1936,
Autori vari, Albo nazionale 1965,
Guelfi Camajani 1992) ma le loro trattazioni sono talora imprecise – a causa
della confusione con altre famiglie omonime[1] , oppure
eccessivamente stringate, sicché è necessaria un’indagine che parta dalle
fonti, risalendo, quanto più possibile, lontano nel tempo, o,
nell’impossibilità, dare come attendibili le notizie riportate da più di uno
studioso.
E’
noto che una famiglia Romano è attestata a Napoli fin dal X secolo, insignita
del titolo comitale[2], ma non sembra vi siano
rapporti fra questa famiglia e quella in questione. Nel territorio della
repubblica amalfitana è stato possibile rintracciare le sue origini. Il Codex diplomaticus Cavensis, da un lato,
e le pergamene custodite ad Amalfi e Ravello, tramandano i nomi di parecchi
individui dal cognome Romano.
I
Romano del ramo amalfitano
Tralasciando alcuni casi dubbi[3]mi limito
a citare gli individui di cui è certa l’origine da Scala, Tramonti, Cava.
Fra
i Regesta Neapolitana pubblicati da
Bartolomeo Capasso troviamo un atto del 958 (imperatori di Bisanzio Costantino
VII Porfirogenito e Romano I) in cui compare un Romano figlio di Basilio per
una vendita di alcuni terreni a Cava. Più tardi, i registri della cancelleria
angioina citano un Romano vescovo di Cava nel 1279. Si tratta però di
testimonianze comunque imprecise.
Una
prima menzione dei Romano a Cava emerge dal Codex
diplomaticus Cavensis , che attesta, nel 1020 e nel 1023, un Marino fliglio
di Pietro Romano (“ Marinus filius Petri Romani”). La datazione è dunque molto
alta, ancor di più di quella dei Romano di Scala e Tramonti.
Una
pergamena del 1273 cita i “ Romani de Scala”, in un atto notarile rogato per
una tale Thomasia, figlia di Cosma, per la vendita di una vigna e di una selva
site ad Agerola. Qualche anno più tardi (1279) in un’altra pergamena è
attestato un Brundusio R. giudice di Tramonti. In due atti del 1325, sotto re
Roberto d’Angiò, è citato un Rainaldo R., anch’egli giudice di Tramonti. Sotto
Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona (1469), Gabriele R. vende i suoi beni siti a
Tramonti a tale Giorgio Cardamone. Nel 1494, infine, regnando Alfonso II
d’Aragona, un Mazzeo R., con atto notarile, si riconosce debitore di Marco
Confalone di Ravello.
A
questo ramo appartenne Ambrogio R., di Tramonti, vescovo di Minori (1509-1511).
Nella chiesa di S.Francesco in Polvica di Tramonti (FIG 1)
ne è custodito il sarcofago, con la
lapide sulla quale è inciso lo scudo col leone rampante accantonato nel capo da
due rose ( FIG.2).
Questa è la prima blasonatura; un’altra è costituita da uno scudo di nero, col leone d’oro coronato e con lambello a tre pendenti (FIG.3).
Certo è
che questa famiglia ebbe la dignità di “nobile” in Scala e Tramonti, assieme
a quelle dei Geta, De Maio, Fontanella,
Giordano, Marciano, Palumbo, Conte, Cesarano, Pisacane, Citarella, Fierro, De
Rosa, Vitagliano, Pisano. Tale è
l’origine di questo titolo.
Nel
1127 la repubblica amalfitana fu sottomessa dai Normanni. Per Amalfi, e, con
essa, Tramonti, e gli altri centri della
costiera, iniziò un periodo di decadenza. Dai Normanni Amalfi passò agli Svevi,
poi agli Angioini, poi agli Aragonesi di Alfonso I. Nel 1460 il re Ferrante I
d’Aragona fu sconfitto a Nola, presso il fiume Sarno, da Giovanni d’Angiò, che
tentava di restaurare il dominio angioino. E’ storicamente accertato che il re
si rifugiò proprio a Tramonti e quivi fu accolto e nascosto. Per graziosa sua
concessione, le famiglie di Tramonti che l’avevano ospitato furono dichiarate
nobili. Poi le forze aragonesi si riorganizzarono e gli angioini furono ancòra
sconfitti nella battaglia di Troia di Puglia. La nobiltà di questo ramo ebbe
così, con “motu proprio” del re di Napoli, la sua legittimazione.
Anche
Cava dei Tirreni è legata alle vicende del re Ferrante. Nello stesso anno 1460,
i capitani di Cava Giosuè e Marino Longo mossero contro gli Angioini a sostegno
del re. Scampato il pericolo, il sovrano inviò al municipio di Cava, di cui era
sindaco Onofrio Scannapieco, una pergamena bianca, sulla quale la città avrebbe
potuto indicare qualunque sua richiesta. Tale pergamena restò bianca, ed è
tuttora conservata nel Palazzo di Città. Il re, allora, riconoscente comunque,
le concesse il titolo di “fedelissima”.
Fra
i discendenti di questo ramo dei Romano, dopo il periodo dei regni di Giuseppe
Bonaparte e Gioacchino Murat, rimase memoria delle origini, come dimostra il
fatto che, a tutt’oggi, famiglie R. di Cava, ovvero originarie di Cava e
trasferitesi altrove, facciano uso del blasone di cui sopra[4].
Non
saprei se a questo ramo della famiglia appartenne Giuseppe R., sacerdote
canonico della Cattedrale e vicario della Diocesi (1855-1934). Per oltre 40
anni fu direttore della biblioteca “ Aniello Avallone” di Cava; un suo
manoscritto sulla biblioteca è custodito presso la “Società Napoletana di
Storia Patria”.
I
Romano del ramo sorrentino.
Dal ramo amalfitano discese, nel
XIII secolo, il ramo sorrentino della famiglia R. Secondo Candida Gonzaga e Di
Crollalanza, un Pietro R. barone della Rotonda , ricevette dall’imperatore
Federico II alcuni prigionieri lombardi da tenere in custodia (1239).
Successivamente, Marino e Bartolomeo R. furono fra i nobili di Sorrento che
prestarono denaro al re Carlo I d’Angiò. Sempre secondo gli stessi studiosi, un
Alatrino R. fu capitano della città di Napoli nel 1286. Riccardo e Landolfo R.
da Sorrento sono citati dai registri della cancelleria angioina come ostaggi a
Melfi nel 1289/90.
Ancòra altri membri di questo ramo furono
Pietro R., maestro razionale e giudice della Gran Corte nel 1374 e Luca R.,
luogotenenente del protonotario del regno nel 1466. Il ramo si estinse nel
1850, nella persona di Andrea R., deceduto senza eredi.
A
questo ramo della famiglia sono da ascriversi (vedi oltre) le baronie di
Rotonda, Laino, Torchiara e Copersito.
Il
solo Guelfi Camajani riporta che, al 1992, il rappresentante della famiglia (
che denomina “Romano di Rotonda”) era l’avv.” Giuseppe R., fu Vincenzo, conte
di Rotonda, nato a Napoli il 10.10.1922, ufficiale dell’Arma Aereonautica,
ecc.”. Difficile dire se la notizia sia attendibile, dato che il ramo
sorrentino è dato come estinto dagli studiosi sopra citati.
Arma: di nero, col leone d’oro, coronato di oro; col lambello di tre
pendenti di rosso attraversante sul leone.
I
Romano del ramo calabrese.
Che
il ramo sorrentino della famiglia sia stato trapiantato in Calabria sia stato
trapiantato in Calabria è ben accertato. A séguito degli angioini i discendenti
dei due R., facoltosi possidenti tanto da prestare denaro al re Carlo I
d’Angiò, vennero a Scalea, quasi contemporaneamente alla famiglia Pallamolla,
proveniente dalla Provenza. I R. andarono ad abitare nell’attuale palazzo dei
principi di Scalea.
Qui
venne alla luce Ademaro R., che, per i suoi meriti in campo militare, fu
nominato dal re Roberto d’Angiò grande ammiraglio della flotta (1327) e
consigliere regio. Dopo la sua morte (1344), il comando della flotta passò a
Leonardo da Vassallo, anche lui di Scalea[5].
Entrambi sono citati in una pergamena dell’Archivio arcivescovile di Amalfi
contenente il sansunto di due mandati in favore del monastero di S.Maria di
Positano (1326). Nei registri della cancelleria angioina degli anni 1289 e 1290
risultano sia un Ademario R. di Scalea, sia un Leonardo R. di Scalea. Forse
quest’ultimo si identifica col Leonardo da Vassallo di cui sopra.
Il
sepolcro di Ademaro R. (FIG 4)
si trova a Scalea, nella chiesa
di S.Nicola in Plateis (FIG 5)
cappella di S.Caterina, opera di
un artista della scuola di Tino da Camaino. Verso la metà del XVI secolo la
chiesa fu saccheggiata dai pirati del corsaro turco Dragut, che aprirono il
sarcofago e lo danneggiarono, rubando la spada dell’ammiraglio. I suoi
discendenti, comunque, diramarono ulteriormente la famiglia a Tropea e a
Rossano Calabro.
Un
Simone R. fu colonnello al servizio del re Carlo VIII di Francia; ebbe a
comandare un reggimento di 1500 fanti in Calabria e poi morì combattendo, nel
1528, sotto il castello di Brindisi, durante la guerra franco-spagnola.
Gilberto
R. è attestato come nobile a Tropea nel 1572, nel seggio di Portercole.
Gerolamo
R. fu sindaco di Tropea, citato da Francesco Sergio.
Altri
componenti della famiglia hanno goduto nobiltà a Monteleone, Castrovillari,
Paola e Rossano.
Tutti
gli studiosi concordano nell’assegnare a questo ramo il titolo di patrizi di
Tropea[6]. Tale
titolo spetta a tutti i membri discendenti, per linea maschile; spetta alle
donne della stessa discendenza il titolo di nobile.
Candida
Gonzaga riporta che, al suo tempo, la famiglia era rappresentata a Tropea dal
cav. Giuseppe R., ed a Paola da Vincenzo R. Lo Spreti, dal canto suo, afferma
che, nel 1936, la famiglia era rappresentata a Tropea da Domenico (n.1907) e
Pasquale (n.. 1908), figli di Giuseppe (n. 1878), e da Giuseppe (n. 1908),
figlio di Nicola (n.1870).
Arma: d’azzurro, alla banda d’oro, sostenente un leone illeopardato e
coronato d’oro, armato a lampassato di rosso, accostata nella punta da tre
stelle d’oro, ordinate in banda.
I
Romano del ramo leccese.
Secondo Di Crollalanza, dalla
famiglia R. di Sorrento, un ramo fu trapiantato a Lecce nei primi anni del XVI
secolo. Un Cesario R. fu poeta dotto nel XVII secolo; un Pasquale R. fu
giureconsulto, poeta, socio dell’Accademia dei Trasformati e principe, nel
1731, di quella degli Speculatori. Un Luigi R. fu anch’egli giureconsulto, e
caporuota provinciale a Lecce. Un Damiano R. fu uditore giudiziario a L’Aquila
nel 1736 e poi avvocato fiscale nel 1740 della Reale Udienza di Lecce; fu anche
autore di opere a stampa. Un Giuseppe R. fu giudice della gran corte della
Vicaria nel 1735, giudice fiscale ivi nel 1736, reale consigliere e poi
governatore di Capua nel 1754, caporuota del S.R. Consiglio nel 1758 e poi
presidente dello stresso; e ancòra presidente della R. Camera di S.Chiara nel
1754.
I
Romano di Lecce acquistarono, nel 1819, la Torre del Parco procedendo ad estesi
lavori di ristrutturazione.
Candida
Gonzaga riferisce che, al suo tempo, capo casata del ramo leccese era il
cavalier Pasquale R., inquisitore del R.Ordine Costantiano di S.Giorgio.
Con Breve del 9.XII.1884 del
pontefice Leone XIII lo stesso capo casata Pasquale R. fu nominato conte, con
titolo trasmissibile ai suoi discendenti, nella linea di primogenitura
maschile.
La
summenzionata Torre del Parco, nel 1992, fu venduta dai conti Romano ad una
società di moda, che procedette ad ulteriori lavori di ristrutturazione[7].
Arma: d’azzurro con tripode d’argento, dal quale escono fiamme d’oro, con
un destrocherio d’oro, movente dal cantone destro del corpo, vestito d’oro sino
al gomito e tenente la mano appalmata fra le fiamme.
I
Romano del ramo di Castelnuovo della Daunia.
Bonazzi e Spreti ci informano
che, dal ramo sorrentino della famiglia, un Agostino R. si trasferì, prima a
Campobasso, poi a Castelnuovo della Daunia, verso la fine del “700. Questo ramo
della famiglia, nella persona del R. ambasciatore Camillo R., con R.D. del
3.V.1900, ottenne il titolo baronale.
Al
1936 – secondo lo Spreti- questo ramo era rappresentato dal barone Camillo
Furio R., di Giandomenico; ricoprì le cariche di ambasciatore di S.M. negli USA
e poi in Francia, fu cav. di gran croce dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro,
cav. della Legion d’Onore, decorato della medaglia di bronzo al valor militare[8] .
Arma: identica a quella dei R. di Sorrento.
La
questione dei feudi.
Come si è visto, il conte Candida
Gonzaga, nella sua trattazione sui feudi della famiglia R., assegna
erroneamente a quest’ultima il marchesato di Alliano, che è invece da assegnare
ai Colonna di Stigliano.
Lo
stesso studioso enumera i feudi della famiglia, senza distinguere i vari rami:
<<
Agristino- Baglio- Boseo- Boleto- Copersito- Crepacore- Cugna- Forana-
Florentino- Laino – Montalbano- Pietramorella- Rimano- Roccaimperiale- Rotonda-
Sandonaci- Santalessio- Striaccardo – Stretto del fiume Salso – Tinturia –
Torchiara – Vigianello>>.
Alcuni
toponimi sono sono tuttora identificabili. Certo è che i feudi di Sicilia sono
da ascrivere ai Romano Colonna: il Baglio Ruffo, presso Tindari (?), Montalbano
Elicona ( XIV-XV secolo), Sant’Alessio Siculo.
Un
confronto con altri dati reperiti consente di attribuire, verisimilmente al
ramo sorrentino solo i feudi seguenti:
R o t o n d a (PZ), feudo di
Pietro R. attorno al 1239, poi passato ai Sanseverino, verso il 1400.
L a i n o B o r g o di Calabria,
feudo di Ruggero R. attorno al 1265, poi
passato ai de Cardenas (XV-XVI secolo)[9].
C o p e r s i t o e T o
r c h i a r a, nel Cilento: secondo Giustiniani e del Verme, dal 1598 al 1634,
queste baronie furono feudo o suffeudo dei R. Nel 1634 Giuseppe R., alla morte
del barone suo avo, cedette le baronie ai De Conciliis di Prignano Cilento, che
tuttora portano il titolo di baroni di Torchiara.
Altri
membri della famiglia, citati da Candida Gonzaga.
Col beneficio del dubbio, non
essendo stato possibile un riscontro ulteriore, sono qui citati altri membri
della famiglia, in ordine cronologico, secondo la ricognizione di Candida
Gonzaga.
Giovanni
R., feudatario al tempo di re Manfredi di Sicilia (1232-1266).
Gaudio
R., ciambellano di re Roberto d’Angiò, capitano generale in Calabria assieme a
Roberto di Trentenara (1327).
Ruggero
R., sotto lo stesso re, capitano di galera assieme a Ligorio Boccafingo,
Filippo di Sangineto e Crinito di Gaeta.
Giuseppe
R., condottiero di cavalli per il re Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona.
Innocenzo
R., dottore in medicina.
Virgilio
R., capitano della terra di Fiorenza (1531).
Antonio
R., dottore in legge (1571).
Giuseppe
R., maestro di teologia e decano del Collegio di Napoli, Priore e Provinciale
del Carmine Maggiore nel 1630.
Jacopo
R., Padre generale dei Minori Osservanti (1639).
Arcangelo
R., teologo e scrittore (1644).
Quanto
a un Tommaso R., citato da Candida Gonzaga come capitano nella terra di
S.Alessio Siculo nel 1550, appare senz’altro da ascrivere alla famiglia dei
Romano Colonna di Sicilia.
APPENDICE
I Romano Colonna di
Sicilia.
Come
già accennato, un Federico R., capitano al tempo dell’imperatore Federico II di
Svevia, dato da Candida Gonzaga come uno dei più antichi rappresentanti della
famiglia R., fu invece il capostipite dei Colonna Romano di Sicilia. Figlio di
Giordano Colonna, signore di Zagarolo,
tenne la carica di capitano generale di Federico II in Sicilia,
essendosi trasferito col fratello Giovanni, prima arcivescovo di Messina, poi
cardinale di S.R.Chiesa.
La
storia dei Colonna Romano ( o Romano Colonna, o anche semplicemente Romano di
Sicilia) è alquanto complicata. Tratterò qui, per motivi di spazio, solo quella
dei Colonna Romano di Cesarò e di quelli di Fiumedinisi.
C e s a r ò
Baronia.
1°
Cristoforo (dal 1334 al 1347), già comandante di Messina ( 1320-1328), poi
protomedico del Regno di Sicilia.
2°
Giovanni Antonio, fu anche feudatario di Salina e Pantano di Rovetto.
3°
Tommaso, fu anche 1° barone di Fiumedinisi ( vedi oltre), di Caltabiano ( dal
1395 al 1396), poi di Montalbano. Signore di Savoca, Santalessio, ecc., gran
giustiziere di Sicilia dal 1398. Morì nel 1413.
4°
Cristoforo, anch’egli signore di Savoca e Santalessio ( dal 1420). Morì nel
1453.
5°
Giovanni Antonio. Morì nel 1455.
6°
Tommaso, dal 1455 fino all’investitura del
7°
Giovanni Antonio, fino al 1514.
8°
Paola, sposò Gian Giacomo Colonna Romano, barone di Fiumedinisi. A questo punto
i due rami della famiglia vengono a fondersi.
9°
Nicolò ( = 7° di Fiumedinisi).
10°
Antonio (= 8° di Fiumedinisi).
11°
Mario (= 9° di Fiumedinisi).
12°
Antonino (= 10° di Fiumedinisi).
13°
Placido (= 11° di Fiumedinisi).
14°
Giuseppe (= 12° di Fiumedinisi).
15°
Tommaso (= 13° di Fiumedinisi).
16°
Calogero Gabriele (= 14° di Fiumedinisi). Primo duca di Cesarò.
Ducato.
2°
Calogero Gabriele (= 2° di Fiumedinisi).
3°
Giovanni Antonio (= 3° di Fiumedinisi).
4°
Calogero (= 4° di Fiumedinisi).
5°
Giovanni (= 5° di Fiumedinisi).
6°
Calogero Gabriele (= 6° di Fiumedinisi).
7°
Giovanni Antonio (= 7° di Fiumedinisi).
F i u m e d i n i s i
Baronia.
1°
Tommaso ( = 3° barone di Cesarò), ottenne il feudo nel 1392, in cambio
dell’aiuto prestato al re Martino d’Aragona e Sicilia. Fu giustiziere del Regno
(1397) e senatore romano.
2°
Filippo, attorno al 1408.
3°
Nicolò.
4°
Tommaso, che fu anche ambasciatore del
re d’Aragona nel 1445.
5°
Giovanni Francesco, dal 1505.
6°
Giovanni Giacomo Mariano (dal 1524); sposò Paola, 8° barone di Cesarò.
7°
Nicolò (= 9° di Cesarò), senatore di Messina.
8°
Antonio (= 10° di Cesarò), capitano
giustiziere di Palermo.
9°
Mario ( = 11° di Cesarò), dal 1583, pretore di Palermo.
10°
Antonino (= 12° di Cesarò), capitano giustiziere di Palermo (1577).
11°
Placido (= 13° di Cesarò).
12°
Giuseppe (= 14° di Cesarò); sposò Maria Antichi figlia del barone di
Giancascio. Questa gli espropriò i feudi, divenendo così 15° barone di Cesarò e
13° di Fiumedinisi. Poi Giuseppe recuperò i feudi.
13°
Tommaso ( = 15° di Cesarò), dal 1649.
14°
Calogero Gabriele (= 16° di Cesarò), primo marchese di Fiumedinisi per
concessione del re Carlo II (dal 1694), Deputato del Regno di Sicilia dal
1698, pretore di Palermo.
Marchesato.
2°
Calogero Gabriele (= 2° di Cesarò), fu conte di Sant’Alessio, barone di Godrano
( fino al 1763), ecc. Cavaliere di Malta dal 1751.
3°
Giovanni Antonio (= 3° di Cesarò), conte di Sant’Alessio, ecc. Morì nel 1793.
4°
Calogero ( = 4° di Cesarò), conte di sant’Alessio, ecc., Pari del Regno di
Sicilia nel 1839.
5°
Giovanni (= 5° di Cesarò), duca di Reitano, conte di Sant’Alessio, ecc., fu
governatore di Palermo nel 1860, poi senatore del Regno d’Italia, prefetto di Bergamo
e poi di Siracusa, Grande Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Morì nel 1869.
6°
Calogero Gabriele (= 6° di Cesarò), duca di Reitano, conte di Sant’Alessio,
ecc., fu deputato. Morì nel 1878.
7°
Giovanni Antonio ( = 7° di Cesarò), duca di Reitano, conte di Sant’Alessio,
ecc.; fu deputato al Parlamento (1909-1924), Ministro delle Poste. Morì nel
1940.
Con
deliberazione del 28.IX. 1854, la R. Commissione dei titoli di nobiltà del
Regno delle Due Sicilie riconobbe la nobiltà di questo casato.
Arma: di rosso alla colonna d’argento, coronata d’oro, accostata da due
giunchi di verde, il tutto uscente dal mare azzurro.
Motto: flectimur, non frangimur undis.
Prof.
ROBERTO ROMANO
Università
degli Studi
<< Federico II >>
di
Napoli.
[1] Solo un paio di esempi. CANDIDA GONZAGA cita come primo personaggio illustre un “ Federico, capitano dello imperatore Federico II”: in realtà trattasi di Federico figlio di Giordano Colonna signore di Zagarolo, che, dal Lazio, portò un ramo della nobile famiglia Colonna in Sicilia, insieme al fratello Giovanni, e ivi tenne la carica di capitano generale dell’imp. Federico II. Questo Federico, detto appunto “ il Romano”, fu capostipite dei Romano Colonna (o, meglio, Colonna Romano) di Alcamo e Palermo.- Lo stesso CANDIDA GONZAGA attribuisce alla famiglia Romano in questione il marchesato di Alliano (oggi Aliano di Basilicata); anche qui confonde, e ancor peggio, dato che Alliano fu feudo non dei Romano Colonna, ma dei Colonna principi di Stigliano; la confusione dovrebbe essere stata causata dal fatto che i membri di questa famiglia portavano il titolo di “nobile Romano”. Altri esempi verranno oltre.
[2] Originaria di Somma Massa, ebbe vari suoi membri, dal XII secolo all’età angioina, nella gerarchia della chiesa napoletana. I Romano di Napoli possedevano, in età sveva, una grande torre che difendeva Portanova, detta appunto “torre dei Romano”. Incerto è se da questa famiglia discese quella che DI CROLLALANZA chiama dei “ Romano di Napoli”, che ebbe i seguenti rappresentanti. Nel XVII secolo, un Salvatore R., presidente della R.Camera della Sommaria; Cataldo R., vescovo in partibus e vicario dell’arcidiocesi di Napoli; Niccolò R. nato nel 1760, ufficiale del Regno di Napoli, poi della Repubblica Cisalpina e Italiana, del Regno d’Italia napoleonico, decorato nel 1815 della medaglia d’onore e morto col grado di tenente colonnello e presidente del consiglio di guerra della provincia del Principato Ultra; Gabriello, figlio del precedente, generale d’artiglieria e cavaliere della Legion d’onore.
Ancòra, secondo DE’SANTI, una nobile famiglia Romano era fiorente a Pagani e si era imparentata con i Rapicano o Rapuano di Nocera, quando si erano sposati, attorno al “500, Ascanio Rapicano e Lucida Romano.
[3] Es. “ Ursus de Romanu”(985), Benedetto R. (998); Stefano R. (998); Maria figlia di Palombo R. (1033); Romano presbitero (1172); Gregorio R. (1259); Giovanni figlio di Stefano R. (1278 e 1282); Giovanni R. ( 1292, forse lo stesso); Orlando R. giudice (1307 e 1311); Francesco R. (1313); Filippo R. (1333); Zurlo R. ( 1364); Battista R. notaio (1458); Giuseppe R. (1743).
[4] Fra esse, la famiglia dello scrivente, il cui trisavolo, Gennaro R. da Cava, fu padre di Pasquale, da cui nacquero Roberto, Enrico ed Oreste R. Quest’ultimo, colonnello di cavalleria e medaglia d’argento della Grande Guerra, ripristinò il blasone col leone senza lambello.
5 Nella stessa Scalea, nel 1245, era nato Ruggiero di Lauria o Loria, grande ammiraglio delle flotte angioina e aragonese.
[6] Come risulta anche dal “ Registro delle famiglie patrizie appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse”, citato da BONAZZI DI SANNICANDRO, e dall’ “ Elenco Ufficiale della nobiltà italiana” del 1922.
[7] Non saprei dire se a questo ramo della famiglia appartenne il sergente borbonico Pasquale R., che guidò la resistenza degli ex militari delle Due Sicilie in terra di Bari, dopo il 1860, assieme a Carmine Donatelli e Michele Caruso.
[8] Estinto il ramo maschile della famiglia materna (Avezzano) il barone Camillo Furio R. ne aggiunse il cognome al proprio.
[9] A titolo di aneddoto, riporto che durante la guerra franco-spagnola, il 4.VII.1529, un Simone Tebaldi Romano, capitano al servizio del re di Francia, attaccò Laino; ne fu respinto anche per il coraggio della marchesa Sidonia Caracciolo, vedova di Ferrante de Cardenas.