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LA FAMIGLIA ROMANO

di Scala,Tramonti, Cava, Sorrento,

Tropea, Lecce, Castelnuovo della Daunia

 

Bibliografia

 

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Renata OREFICE, Le pergamene dell’Archivio vescovile di Ravello, Napoli 1983.

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Giovanni RICCIO, Storia e topografia antica della Lucania, Napoli 1876.

Catello SALVATI- Rosaria PILONE, Gli Archivi dei monasteri di Amalfi, Amalfi 1986.

Francesco SERGIO, Chronologica collectanea de civitate Tropea eiusque territorio (stampa anastatica dell'originale manoscritto del 1720 a cura di Pasquale RUSSO), Napoli 1988.

Vittorio SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. V, Milano 1936.

            Sono risultati inoltre utili, in fase di controllo dei dati, vari siti internet comunali e dinastici.

 

Premessa

 

            Vari autori hanno trattato di questa famiglia (Ricca 1865, Candida Gonzaga 1879, Di Crollalanza 1886, Bonazzi di Sannicandro 1902, Mannucci 1932, Spreti 1936, Autori vari, Albo nazionale 1965, Guelfi Camajani 1992) ma le loro trattazioni sono talora imprecise – a causa della confusione con altre famiglie omonime[1] , oppure eccessivamente stringate, sicché è necessaria un’indagine che parta dalle fonti, risalendo, quanto più possibile, lontano nel tempo, o, nell’impossibilità, dare come attendibili le notizie riportate da più di uno studioso.

            E’ noto che una famiglia Romano è attestata a Napoli fin dal X secolo, insignita del titolo comitale[2], ma non sembra vi siano rapporti fra questa famiglia e quella in questione. Nel territorio della repubblica amalfitana è stato possibile rintracciare le sue origini. Il Codex diplomaticus Cavensis, da un lato, e le pergamene custodite ad Amalfi e Ravello, tramandano i nomi di parecchi individui dal cognome Romano.

 

I Romano del ramo amalfitano

 

            Tralasciando alcuni casi dubbi[3]mi limito a citare gli individui di cui è certa l’origine da Scala, Tramonti, Cava.

            Fra i Regesta Neapolitana pubblicati da Bartolomeo Capasso troviamo un atto del 958 (imperatori di Bisanzio Costantino VII Porfirogenito e Romano I) in cui compare un Romano figlio di Basilio per una vendita di alcuni terreni a Cava. Più tardi, i registri della cancelleria angioina citano un Romano vescovo di Cava nel 1279. Si tratta però di testimonianze comunque imprecise.

            Una prima menzione dei Romano a Cava emerge dal Codex diplomaticus Cavensis , che attesta, nel 1020 e nel 1023, un Marino fliglio di Pietro Romano (“ Marinus filius Petri Romani”). La datazione è dunque molto alta, ancor di più di quella dei Romano di Scala e Tramonti.

            Una pergamena del 1273 cita i “ Romani de Scala”, in un atto notarile rogato per una tale Thomasia, figlia di Cosma, per la vendita di una vigna e di una selva site ad Agerola. Qualche anno più tardi (1279) in un’altra pergamena è attestato un Brundusio R. giudice di Tramonti. In due atti del 1325, sotto re Roberto d’Angiò, è citato un Rainaldo R., anch’egli giudice di Tramonti. Sotto Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona (1469), Gabriele R. vende i suoi beni siti a Tramonti a tale Giorgio Cardamone. Nel 1494, infine, regnando Alfonso II d’Aragona, un Mazzeo R., con atto notarile, si riconosce debitore di Marco Confalone di Ravello.

            A questo ramo appartenne Ambrogio R., di Tramonti, vescovo di Minori (1509-1511). Nella chiesa di S.Francesco in Polvica di Tramonti (FIG 1)

 

 

 

ne è custodito il sarcofago, con la lapide sulla quale è inciso lo scudo col leone rampante accantonato nel capo da due rose ( FIG.2).

 

 

 

 

Questa è la prima blasonatura; un’altra è costituita da uno scudo di nero, col leone d’oro coronato e con lambello a tre pendenti (FIG.3).

 

 

           

Certo è che questa famiglia ebbe la dignità di “nobile” in Scala e Tramonti, assieme a  quelle dei Geta, De Maio, Fontanella, Giordano, Marciano, Palumbo, Conte, Cesarano, Pisacane, Citarella, Fierro, De Rosa, Vitagliano, Pisano.  Tale è l’origine di questo titolo.

            Nel 1127 la repubblica amalfitana fu sottomessa dai Normanni. Per Amalfi, e, con essa, Tramonti, e  gli altri centri della costiera, iniziò un periodo di decadenza. Dai Normanni Amalfi passò agli Svevi, poi agli Angioini, poi agli Aragonesi di Alfonso I. Nel 1460 il re Ferrante I d’Aragona fu sconfitto a Nola, presso il fiume Sarno, da Giovanni d’Angiò, che tentava di restaurare il dominio angioino. E’ storicamente accertato che il re si rifugiò proprio a Tramonti e quivi fu accolto e nascosto. Per graziosa sua concessione, le famiglie di Tramonti che l’avevano ospitato furono dichiarate nobili. Poi le forze aragonesi si riorganizzarono e gli angioini furono ancòra sconfitti nella battaglia di Troia di Puglia. La nobiltà di questo ramo ebbe così, con “motu proprio” del re di Napoli, la sua legittimazione.

            Anche Cava dei Tirreni è legata alle vicende del re Ferrante. Nello stesso anno 1460, i capitani di Cava Giosuè e Marino Longo mossero contro gli Angioini a sostegno del re. Scampato il pericolo, il sovrano inviò al municipio di Cava, di cui era sindaco Onofrio Scannapieco, una pergamena bianca, sulla quale la città avrebbe potuto indicare qualunque sua richiesta. Tale pergamena restò bianca, ed è tuttora conservata nel Palazzo di Città. Il re, allora, riconoscente comunque, le concesse il titolo di “fedelissima”.

            Fra i discendenti di questo ramo dei Romano, dopo il periodo dei regni di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, rimase memoria delle origini, come dimostra il fatto che, a tutt’oggi, famiglie R. di Cava, ovvero originarie di Cava e trasferitesi altrove, facciano uso del blasone di cui sopra[4].

            Non saprei se a questo ramo della famiglia appartenne Giuseppe R., sacerdote canonico della Cattedrale e vicario della Diocesi (1855-1934). Per oltre 40 anni fu direttore della biblioteca “ Aniello Avallone” di Cava; un suo manoscritto sulla biblioteca è custodito presso la “Società Napoletana di Storia Patria”.

 

I Romano del ramo sorrentino.

 

            Dal ramo amalfitano discese, nel XIII secolo, il ramo sorrentino della famiglia R. Secondo Candida Gonzaga e Di Crollalanza, un Pietro R. barone della Rotonda , ricevette dall’imperatore Federico II alcuni prigionieri lombardi da tenere in custodia (1239). Successivamente, Marino e Bartolomeo R. furono fra i nobili di Sorrento che prestarono denaro al re Carlo I d’Angiò. Sempre secondo gli stessi studiosi, un Alatrino R. fu capitano della città di Napoli nel 1286. Riccardo e Landolfo R. da Sorrento sono citati dai registri della cancelleria angioina come ostaggi a Melfi nel 1289/90.

 Ancòra altri membri di questo ramo furono Pietro R., maestro razionale e giudice della Gran Corte nel 1374 e Luca R., luogotenenente del protonotario del regno nel 1466. Il ramo si estinse nel 1850, nella persona di Andrea R., deceduto senza eredi.

            A questo ramo della famiglia sono da ascriversi (vedi oltre) le baronie di Rotonda, Laino, Torchiara e Copersito.

            Il solo Guelfi Camajani riporta che, al 1992, il rappresentante della famiglia ( che denomina “Romano di Rotonda”) era l’avv.” Giuseppe R., fu Vincenzo, conte di Rotonda, nato a Napoli il 10.10.1922, ufficiale dell’Arma Aereonautica, ecc.”. Difficile dire se la notizia sia attendibile, dato che il ramo sorrentino è dato come estinto dagli studiosi sopra citati.

 

Arma: di nero, col leone d’oro, coronato di oro; col lambello di tre pendenti di rosso attraversante sul leone.

 

I Romano del ramo calabrese.

 

            Che il ramo sorrentino della famiglia sia stato trapiantato in Calabria sia stato trapiantato in Calabria è ben accertato. A séguito degli angioini i discendenti dei due R., facoltosi possidenti tanto da prestare denaro al re Carlo I d’Angiò, vennero a Scalea, quasi contemporaneamente alla famiglia Pallamolla, proveniente dalla Provenza. I R. andarono ad abitare nell’attuale palazzo dei principi di Scalea.

            Qui venne alla luce Ademaro R., che, per i suoi meriti in campo militare, fu nominato dal re Roberto d’Angiò grande ammiraglio della flotta (1327) e consigliere regio. Dopo la sua morte (1344), il comando della flotta passò a Leonardo da Vassallo, anche lui di Scalea[5]. Entrambi sono citati in una pergamena dell’Archivio arcivescovile di Amalfi contenente il sansunto di due mandati in favore del monastero di S.Maria di Positano (1326). Nei registri della cancelleria angioina degli anni 1289 e 1290 risultano sia un Ademario R. di Scalea, sia un Leonardo R. di Scalea. Forse quest’ultimo si identifica col Leonardo da Vassallo di cui sopra.

            Il sepolcro di Ademaro R. (FIG 4)

 

 

 

 

 

 

 

 

si trova a Scalea, nella chiesa di S.Nicola in Plateis (FIG 5)

 

 

 

cappella di S.Caterina, opera di un artista della scuola di Tino da Camaino. Verso la metà del XVI secolo la chiesa fu saccheggiata dai pirati del corsaro turco Dragut, che aprirono il sarcofago e lo danneggiarono, rubando la spada dell’ammiraglio. I suoi discendenti, comunque, diramarono ulteriormente la famiglia a Tropea e a Rossano Calabro.

            Un Simone R. fu colonnello al servizio del re Carlo VIII di Francia; ebbe a comandare un reggimento di 1500 fanti in Calabria e poi morì combattendo, nel 1528, sotto il castello di Brindisi, durante la guerra franco-spagnola.

            Gilberto R. è attestato come nobile a Tropea nel 1572, nel seggio di Portercole.

            Gerolamo R. fu sindaco di Tropea, citato da Francesco Sergio.

            Altri componenti della famiglia hanno goduto nobiltà a Monteleone, Castrovillari, Paola e Rossano.

            Tutti gli studiosi concordano nell’assegnare a questo ramo il titolo di patrizi di Tropea[6]. Tale titolo spetta a tutti i membri discendenti, per linea maschile; spetta alle donne della stessa discendenza il titolo di nobile.

            Candida Gonzaga riporta che, al suo tempo, la famiglia era rappresentata a Tropea dal cav. Giuseppe R., ed a Paola da Vincenzo R. Lo Spreti, dal canto suo, afferma che, nel 1936, la famiglia era rappresentata a Tropea da Domenico (n.1907) e Pasquale (n.. 1908), figli di Giuseppe (n. 1878), e da Giuseppe (n. 1908), figlio di Nicola (n.1870).

 

Arma: d’azzurro, alla banda d’oro, sostenente un leone illeopardato e coronato d’oro, armato a lampassato di rosso, accostata nella punta da tre stelle d’oro, ordinate in banda.

 

I Romano del ramo leccese.

 

            Secondo Di Crollalanza, dalla famiglia R. di Sorrento, un ramo fu trapiantato a Lecce nei primi anni del XVI secolo. Un Cesario R. fu poeta dotto nel XVII secolo; un Pasquale R. fu giureconsulto, poeta, socio dell’Accademia dei Trasformati e principe, nel 1731, di quella degli Speculatori. Un Luigi R. fu anch’egli giureconsulto, e caporuota provinciale a Lecce. Un Damiano R. fu uditore giudiziario a L’Aquila nel 1736 e poi avvocato fiscale nel 1740 della Reale Udienza di Lecce; fu anche autore di opere a stampa. Un Giuseppe R. fu giudice della gran corte della Vicaria nel 1735, giudice fiscale ivi nel 1736, reale consigliere e poi governatore di Capua nel 1754, caporuota del S.R. Consiglio nel 1758 e poi presidente dello stresso; e ancòra presidente della R. Camera di S.Chiara nel 1754.

            I Romano di Lecce acquistarono, nel 1819, la Torre del Parco procedendo ad estesi lavori di ristrutturazione.

Candida Gonzaga riferisce che, al suo tempo, capo casata del ramo leccese era il cavalier Pasquale R., inquisitore del R.Ordine Costantiano di S.Giorgio.

            Con Breve del 9.XII.1884 del pontefice Leone XIII lo stesso capo casata Pasquale R. fu nominato conte, con titolo trasmissibile ai suoi discendenti, nella linea di primogenitura maschile.

            La summenzionata Torre del Parco, nel 1992, fu venduta dai conti Romano ad una società di moda, che procedette ad ulteriori lavori di ristrutturazione[7].

 

Arma: d’azzurro con tripode d’argento, dal quale escono fiamme d’oro, con un destrocherio d’oro, movente dal cantone destro del corpo, vestito d’oro sino al gomito e tenente la mano appalmata fra le fiamme.

 

I Romano del ramo di Castelnuovo della Daunia.

 

            Bonazzi e Spreti ci informano che, dal ramo sorrentino della famiglia, un Agostino R. si trasferì, prima a Campobasso, poi a Castelnuovo della Daunia, verso la fine del “700. Questo ramo della famiglia, nella persona del R. ambasciatore Camillo R., con R.D. del 3.V.1900, ottenne il titolo baronale.

            Al 1936 – secondo lo Spreti- questo ramo era rappresentato dal barone Camillo Furio R., di Giandomenico; ricoprì le cariche di ambasciatore di S.M. negli USA e poi in Francia, fu cav. di gran croce dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, cav. della Legion d’Onore, decorato della medaglia di bronzo al valor militare[8] .

 

Arma: identica a quella dei R. di Sorrento.

 

La questione dei feudi.

 

            Come si è visto, il conte Candida Gonzaga, nella sua trattazione sui feudi della famiglia R., assegna erroneamente a quest’ultima il marchesato di Alliano, che è invece da assegnare ai Colonna di Stigliano.

            Lo stesso studioso enumera i feudi della famiglia, senza distinguere i vari rami:

 

            << Agristino- Baglio- Boseo- Boleto- Copersito- Crepacore- Cugna- Forana- Florentino- Laino – Montalbano- Pietramorella- Rimano- Roccaimperiale- Rotonda- Sandonaci- Santalessio- Striaccardo – Stretto del fiume Salso – Tinturia – Torchiara – Vigianello>>.

 

            Alcuni toponimi sono sono tuttora identificabili. Certo è che i feudi di Sicilia sono da ascrivere ai Romano Colonna: il Baglio Ruffo, presso Tindari (?), Montalbano Elicona ( XIV-XV secolo), Sant’Alessio Siculo.

            Un confronto con altri dati reperiti consente di attribuire, verisimilmente al ramo sorrentino solo i feudi seguenti:

R o t o n d a (PZ), feudo di Pietro R. attorno al 1239, poi passato ai Sanseverino, verso il 1400.

L a i n o B o r g o di Calabria, feudo di Ruggero R.  attorno al 1265, poi passato ai de Cardenas (XV-XVI secolo)[9].

C o p e r s i t o  e  T o r c h i a r a, nel Cilento: secondo Giustiniani e del Verme, dal 1598 al 1634, queste baronie furono feudo o suffeudo dei R. Nel 1634 Giuseppe R., alla morte del barone suo avo, cedette le baronie ai De Conciliis di Prignano Cilento, che tuttora portano il titolo di baroni di Torchiara.

 

Altri membri della famiglia, citati da Candida Gonzaga.

 

            Col beneficio del dubbio, non essendo stato possibile un riscontro ulteriore, sono qui citati altri membri della famiglia, in ordine cronologico, secondo la ricognizione di Candida Gonzaga.

            Giovanni R., feudatario al tempo di re Manfredi di Sicilia (1232-1266).

            Gaudio R., ciambellano di re Roberto d’Angiò, capitano generale in Calabria assieme a Roberto di Trentenara (1327).

            Ruggero R., sotto lo stesso re, capitano di galera assieme a Ligorio Boccafingo, Filippo di Sangineto e Crinito di Gaeta.

            Giuseppe R., condottiero di cavalli per il re Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona.

            Innocenzo R., dottore in medicina.

            Virgilio R., capitano della terra di Fiorenza (1531).

            Antonio R., dottore in legge (1571).

            Giuseppe R., maestro di teologia e decano del Collegio di Napoli, Priore e Provinciale del Carmine Maggiore nel 1630.

            Jacopo R., Padre generale dei Minori Osservanti (1639).

            Arcangelo R., teologo e scrittore (1644).

            Quanto a un Tommaso R., citato da Candida Gonzaga come capitano nella terra di S.Alessio Siculo nel 1550, appare senz’altro da ascrivere alla famiglia dei Romano Colonna di Sicilia.

 

APPENDICE

 

I Romano Colonna di Sicilia.

 

            Come già accennato, un Federico R., capitano al tempo dell’imperatore Federico II di Svevia, dato da Candida Gonzaga come uno dei più antichi rappresentanti della famiglia R., fu invece il capostipite dei Colonna Romano di Sicilia. Figlio di Giordano Colonna, signore di Zagarolo,  tenne la carica di capitano generale di Federico II in Sicilia, essendosi trasferito col fratello Giovanni, prima arcivescovo di Messina, poi cardinale di S.R.Chiesa.

            La storia dei Colonna Romano ( o Romano Colonna, o anche semplicemente Romano di Sicilia) è alquanto complicata. Tratterò qui, per motivi di spazio, solo quella dei Colonna Romano di Cesarò e di quelli di Fiumedinisi.

 

C e s a r ò

Baronia.

 

            1° Cristoforo (dal 1334 al 1347), già comandante di Messina ( 1320-1328), poi protomedico del Regno di Sicilia.

            2° Giovanni Antonio, fu anche feudatario di Salina e Pantano di Rovetto.

            3° Tommaso, fu anche 1° barone di Fiumedinisi ( vedi oltre), di Caltabiano ( dal 1395 al 1396), poi di Montalbano. Signore di Savoca, Santalessio, ecc., gran giustiziere di Sicilia dal 1398. Morì nel 1413.

            4° Cristoforo, anch’egli signore di Savoca e Santalessio ( dal 1420). Morì nel 1453.

            5° Giovanni Antonio. Morì nel 1455.

            6° Tommaso, dal 1455 fino all’investitura del

            7° Giovanni Antonio, fino al 1514.

            8° Paola, sposò Gian Giacomo Colonna Romano, barone di Fiumedinisi. A questo punto i due rami della famiglia vengono a fondersi.

            9° Nicolò ( = 7° di Fiumedinisi).

            10° Antonio (= 8° di Fiumedinisi).

            11° Mario (= 9° di Fiumedinisi).

            12° Antonino (= 10° di Fiumedinisi).

            13° Placido (= 11° di Fiumedinisi).

            14° Giuseppe (= 12° di Fiumedinisi).

            15° Tommaso (= 13° di Fiumedinisi).

            16° Calogero Gabriele (= 14° di Fiumedinisi). Primo duca di Cesarò.

 

            Ducato.

 

            2° Calogero Gabriele (= 2° di Fiumedinisi).

            3° Giovanni Antonio (= 3° di Fiumedinisi).

            4° Calogero (= 4° di Fiumedinisi).

            5° Giovanni (= 5° di Fiumedinisi).

            6° Calogero Gabriele (= 6° di Fiumedinisi).

            7° Giovanni Antonio (= 7° di Fiumedinisi).

 

F i u m e d i n i s i

 

            Baronia.

 

            1° Tommaso ( = 3° barone di Cesarò), ottenne il feudo nel 1392, in cambio dell’aiuto prestato al re Martino d’Aragona e Sicilia. Fu giustiziere del Regno (1397) e senatore romano.

            2° Filippo, attorno al 1408.

            3° Nicolò.

            4° Tommaso, che fu anche ambasciatore  del re d’Aragona nel 1445.

            5° Giovanni Francesco, dal 1505.

            6° Giovanni Giacomo Mariano (dal 1524); sposò Paola, 8° barone di Cesarò.

            7° Nicolò (= 9° di Cesarò), senatore di Messina.

            8° Antonio (= 10° di Cesarò), capitano  giustiziere di Palermo.

            9° Mario ( = 11° di Cesarò), dal 1583, pretore di Palermo.

            10° Antonino (= 12° di Cesarò), capitano giustiziere di Palermo (1577).

            11° Placido (= 13° di Cesarò).

            12° Giuseppe (= 14° di Cesarò); sposò Maria Antichi figlia del barone di Giancascio. Questa gli espropriò i feudi, divenendo così 15° barone di Cesarò e 13° di Fiumedinisi. Poi Giuseppe recuperò i feudi.

            13° Tommaso ( = 15° di Cesarò), dal 1649.

            14° Calogero Gabriele (= 16° di Cesarò), primo marchese di Fiumedinisi per concessione del re Carlo II (dal 1694), Deputato del Regno di Sicilia dal 1698,  pretore di Palermo.

           

 

            Marchesato.

 

            2° Calogero Gabriele (= 2° di Cesarò), fu conte di Sant’Alessio, barone di Godrano ( fino al 1763), ecc. Cavaliere di Malta dal 1751.

            3° Giovanni Antonio (= 3° di Cesarò), conte di Sant’Alessio, ecc. Morì nel 1793.

            4° Calogero ( = 4° di Cesarò), conte di sant’Alessio, ecc., Pari del Regno di Sicilia nel 1839.

            5° Giovanni (= 5° di Cesarò), duca di Reitano, conte di Sant’Alessio, ecc., fu governatore di Palermo nel 1860, poi senatore del Regno d’Italia, prefetto di Bergamo e poi di Siracusa, Grande Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Morì nel 1869.

            6° Calogero Gabriele (= 6° di Cesarò), duca di Reitano, conte di Sant’Alessio, ecc., fu deputato. Morì nel 1878.

            7° Giovanni Antonio ( = 7° di Cesarò), duca di Reitano, conte di Sant’Alessio, ecc.; fu deputato al Parlamento (1909-1924), Ministro delle Poste. Morì nel 1940.

 

            Con deliberazione del 28.IX. 1854, la R. Commissione dei titoli di nobiltà del Regno delle Due Sicilie riconobbe la nobiltà di questo casato.

 

Arma: di rosso alla colonna d’argento, coronata d’oro, accostata da due giunchi di verde, il tutto uscente dal mare azzurro.

 

Motto: flectimur, non frangimur undis.

 

Prof. ROBERTO ROMANO

Università degli Studi

<<  Federico II >>

di Napoli.

           

 

 

 

 

 

 

 

                      

 

 

 

 



[1] Solo un paio di esempi. CANDIDA GONZAGA cita come primo personaggio illustre un “ Federico, capitano dello imperatore Federico II”: in realtà trattasi di Federico figlio di Giordano Colonna signore di Zagarolo, che, dal Lazio, portò un ramo della nobile famiglia Colonna in Sicilia, insieme al fratello Giovanni, e ivi tenne la carica di capitano generale dell’imp. Federico II. Questo Federico, detto appunto “ il Romano”, fu capostipite dei Romano Colonna (o, meglio, Colonna Romano) di Alcamo e Palermo.- Lo stesso CANDIDA GONZAGA attribuisce alla famiglia Romano in questione il marchesato di Alliano (oggi Aliano di Basilicata); anche qui confonde, e ancor peggio, dato che Alliano fu feudo non dei Romano Colonna, ma dei Colonna principi di Stigliano; la confusione dovrebbe essere stata causata dal fatto che i membri di questa famiglia portavano il titolo di “nobile Romano”. Altri esempi verranno oltre.

[2] Originaria di Somma Massa, ebbe vari suoi membri, dal XII secolo all’età angioina, nella gerarchia della chiesa napoletana. I Romano di Napoli possedevano, in età sveva, una grande torre che difendeva Portanova, detta appunto “torre dei Romano”. Incerto è se da questa famiglia discese quella che DI CROLLALANZA chiama dei “ Romano di Napoli”, che ebbe i seguenti rappresentanti. Nel XVII secolo, un Salvatore R., presidente della R.Camera della Sommaria; Cataldo R., vescovo in partibus e vicario dell’arcidiocesi di Napoli; Niccolò R. nato nel 1760, ufficiale del Regno di Napoli, poi della Repubblica Cisalpina e Italiana, del Regno d’Italia napoleonico, decorato nel 1815 della medaglia d’onore e morto col grado di tenente colonnello e presidente del consiglio di guerra della provincia del Principato Ultra; Gabriello, figlio del precedente, generale d’artiglieria e cavaliere della Legion d’onore.

                Ancòra, secondo DE’SANTI, una nobile famiglia Romano era fiorente a Pagani e si era imparentata con i Rapicano o Rapuano di Nocera, quando si erano sposati, attorno al “500, Ascanio Rapicano e Lucida Romano.

[3] Es. “ Ursus de Romanu”(985), Benedetto R. (998); Stefano R. (998); Maria figlia di Palombo R. (1033); Romano presbitero (1172); Gregorio R. (1259); Giovanni figlio di Stefano R. (1278 e 1282); Giovanni R. ( 1292, forse lo stesso); Orlando R. giudice (1307 e 1311); Francesco R. (1313); Filippo R. (1333); Zurlo R. ( 1364); Battista R. notaio (1458); Giuseppe R. (1743).

[4] Fra esse, la famiglia dello scrivente, il cui trisavolo, Gennaro R. da Cava, fu padre di Pasquale, da cui nacquero Roberto, Enrico ed Oreste R. Quest’ultimo, colonnello di cavalleria e medaglia d’argento della Grande Guerra, ripristinò il blasone col leone senza  lambello.

5 Nella stessa Scalea, nel 1245, era nato Ruggiero di Lauria o Loria, grande ammiraglio delle flotte angioina e aragonese.

[6] Come risulta anche dal “ Registro delle famiglie patrizie appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse”, citato da BONAZZI DI SANNICANDRO, e dall’ “ Elenco Ufficiale della nobiltà italiana” del 1922.

[7] Non saprei dire se a questo ramo della famiglia appartenne il sergente borbonico Pasquale R., che guidò la resistenza degli ex militari delle Due Sicilie in terra di Bari, dopo il 1860, assieme a Carmine Donatelli e Michele Caruso.

[8] Estinto il ramo maschile della famiglia materna (Avezzano) il barone Camillo Furio R. ne aggiunse il cognome al proprio.

[9] A titolo di aneddoto, riporto che durante la guerra franco-spagnola, il 4.VII.1529, un Simone Tebaldi Romano, capitano al servizio del re di Francia, attaccò Laino; ne fu respinto anche per il coraggio della marchesa Sidonia Caracciolo, vedova di Ferrante de Cardenas.