Dalla Relazione del
prof. Antonio Angino relatore dell'Opera.
ANTONIO
ANGINO, nato a Montaguto il
3 agosto 1945, laureato in Lettere e Filosofia con una tesi su Vincenzo
Gioberti e la reazione gesuitica, insegnante di Materie letterarie nella
scuola media.
Autore
di numerosi scritti di carattere storico su Montaguto e di una
voluminosa ricerca dal titolo “STORIA DI MONTAGUTO – Economia
Politica Società”.
Di
prossima pubblicazione un nuovo lavoro intitolato “MONTAGUTO – Una
piccola comunità tra rivoluzione e conservazione”.
PRESENTAZIONE
DEL LIBRO
L’impossibilità
del professore Francesco Barra dell’Università di Salerno ad essere
presente a questa manifestazione, fa cadere su di me il compito e
l’onere di presentare e relazionare su questo lavoro realizzato, come
già è stato anticipato da chi mi ha preceduto, nell’ambito della
sperimentazione dell’autonomia scolastica.
Un lavoro che ha come oggetto la storia di Villanova del Battista vista
nella triplice valenza storica, economica e sociale.
Non è la prima storia di Villanova e, non sarà l’ultima, mi auguro,
perché c’è ancora tanto da scoprire e da valorizzare: gli archivi
sono miniere che attendono di essere sfruttate.
La ricerca storica è un campo inesauribile, basta avere la volontà e
la costanza di percorrerlo,
di rovistare e cercare nei piccoli archivi parrocchiali e comunali o nei
grandi archivi dello Stato e in quelli notarili.
Chi si immerge nella ricerca storica, prima o poi vedrà il suo impegno
premiato, perché una volta che il ricercatore si è abituato a
convivere con la polvere, sfogliando registri e documenti che da secoli
giacciono sepolti e indisturbati negli scaffali, riporterà alla luce
notizie inedite e interessanti.
La ricerca che la scuola ha fatto va proprio nella direzione di
stimolare e suscitare l’interesse e la curiosità di qualche,valente
giovane villanovese ad allargare l’orizzonte delle conoscenze e degli
eventi del proprio paese, a cercare di colmare i tanti vuoti che ancora
permangono nella storia di questo paese.
Questo lavoro ha colmato alcuni vuoti, ha permesso di trovare altri
tasselli di un mosaico che attende di essere completato.
Non mi soffermerò sulla bontà o meno di questa iniziativa, perché
come insegnante di questa scuola sono parte in causa, per cui potrei
apparire agli occhi di chi mi sta ascoltando come un Cicero pro domo
sua.
Passo, quindi, subito ad illustrare i punti salienti del libro la cui
impostazione si fonda su alcuni aspetti nodali essenziali alla
comprensione del processo storico, economico e sociale villanovese.
Intanto c’è da notare che forse per nessun altro paese si sono
coniati nel corso dei secoli tanti nomi: Pulcarino, Polcarino, Porcarino,
Purcarino, Palumbinum, Villanova, Villanova del Battista.
Come mai? E’ l’interrogativo che ci poniamo e che altri si sono
posto prima di noi.
In effetti alcuni nomi sono solo lievi varianti formali, dovute
evidentemente alla mano dei copisti, degli amanuensi, di quelli che, con
terminologia ufficiale erano detti scrivani e che operavano nelle Corti
dei Principi e dei Re e che mal interpetando le parole scritte a mano
da altri, cercavano di trascriverle con la migliore approssimazione
possibile.
Altre varianti sono sostanziali e sono da giustificare col fatto che,
come con autorevolezza sostiene il professore Barra nella prefazione, il
paese prendeva nome dall’attività prevalente dei suoi abitanti, che
era quella di allevatori di porci.
Quando tra la fine del 1500 ed i primi anni del 1600 il numero degli
abitanti aumenta ed il paese si ingrandisce, nasce Villanova, il paese
nuovo che si distingue da quello vecchio, nato nei secoli precedenti.
Gli abitanti del luogo in pratica, stanchi di essere chiamati
porcarinesi o purcarinesi termini che facilmente si prestavano allo
scherno da parte degli abitanti dei paesi circostanti, diventano
villanovesi: questo avviene quando signori di Villanova sono i
Magnacervo.
La fede dei Villanovesi in San Giovanni Battista poi fa il resto.
Tra i tanti nomi c’è anche Palumbinum, in effetti ancora oggi c’è
la Contrada di Serro Palumbo, ma ciò non giustificherebbe il supposto
primitivo nome dato al paese, anche se un Palumbo è realmente esistito,
ma nei documenti lo troviamo solo a cominciare dai primi anni del
‘600, quando Villanova esiste da secoli.
Tanti sono gli argomenti affrontati nel libro: si parte dalla situazione
attuale con la descrizione della natura del territorio, della
popolazione, delle caratteristiche dell’economia e si va alle origini
per avanzare nel tempo di feudatario in feudatario; si parla delle
abitazione e della vita sociale senza trascurare la figura della donna
la cui opera è spesso considerata marginale e ininfluente ai fini
storici; della formazione del catasto onciario del 1740-42 che insieme
alle decisioni della Commissione Feudale sulla divisione del demanio
occupa numerose pagine, perché la sentenza della Commissione feudale
del 24 maggio 1809 e la conseguente, successiva transazione del 1811 tra
il Marchese Giovanni Battista Ossorio ed il Comune sono la madre di
tutti i guai di Villanova.
Anche la chiesa locale svolge un ruolo determinante nella storia del
paese, sia dal punto di vista spirituale che economico, in quanto essa
usufruisce di una dote costituita da Pirro del Balzo e poi rimpinguata
da un altro Principe, dote che consiste in una cospicua somma di danaro
e in 63 tomoli di terreno ubicati in diverse contrade.
Questo sarà motivo di scontri e dispute che vedranno protagonisti
arcipreti, feudatari e popolo, ognuno teso a reclamare strenuamente i
propri diritti veri o supposti che siano.
Di rilievo sono anche le pagine relative al trasferimento di un buon
numero di contadini a Stornarella, in Provincia di Foggia, e quelle
sugli eventi degli ultimi 200 anni.
Il lavoro si chiude con una ricerca sul dialetto e con una raccolta di
ninne nanne, canti, indovinelli e giochi.
Pochi, ma sostanziali, sono i punti chiave della storia villanovese, uno
di questi risale al 1459, quando un suo signore, il già citato Pirro
del Balzo, essendosi il paese quasi completamente spopolato a causa di
un violento terremoto di qualche anno prima, decide di accogliere nel
suo feudo una colonia di Schiavoni provenienti dalle coste della
Dalmazia.
Non è la prima volta che popolazioni balcaniche sono costrette a
fuggire dalle loro terre.
La Penisola Balcanica è da sempre una terra tormentata e sconvolta,
perché strategicamente appetibile nello scacchiere dell’Europa sud
orientale e compressa tra cristiani, musulmani e slavi.
Il fenomeno dell’emigrazione forzata di massa non è di oggi e nemmeno
di ieri, è un fenomeno che trova la sua giustificazione sia nella
natura e nella cultura di quel groviglio di popoli diversi per fede,
tradizioni, lingue, in lotta perenne fra di loro, sia nelle mire
espansionistiche di potenze imperialistiche europee ed asiatiche.
Nascono, risorgono, si incrementano così tanti paesi del Meridione
d’Italia, Greci, Ginestra degli Schiavoni, Piana degli Albanesi,
Villanova.
Pirro del Balzo non è un benefattore, come si potrebbe immaginare, che
magnanimamente apre le porte del suo feudo agli Schiavoni, dietro il suo
gesto c’è un motivo economico, e l’economia è uno dei motori della
storia. Pirro del Balzo, dichiarandosi padrone di tutto il tenimento di
Villanova, pretende dai nuovi arrivati decima, terraggio e casalinaggio.
Ma Pirro del Balzo non è nemmeno un principe qualsiasi, nemmeno sua
moglie, Maria Donata Del Balzo Orsini, che tra i tanti feudi possiede
dal 1454 anche quello di Montaguto, è una principessa qualsiasi: ha due
cognomi non perché uno proprio ed uno acquisito con il matrimonio, ma
perché appartiene ad una famiglia che da secoli ha il privilegio di
fregiarsi del nome illustre degli Orsini e dei Del Balzo, due lignaggi
potenti, signori della guerra, assegnatari di
feudi, di castelli, di terre in cui vivono genti che essi non
conoscono, che non hanno mai visto prima e forse non vedranno mai, ma
delle quali sanno tutto attraverso i loro esosi ed esigenti
amministratori ed agenti.
Dicevo: Pirro del Balzo e la consorte non sono principi qualsiasi, sono
ambedue potenti ed i loro beni spaziano dalla Puglia alla Campania. Il
loro matrimonio è allietato dalla nascita di due leggiadre bambine,
Isabella ed Isotta Ginevra: Isotta va sposa a Pietro de Guevara, conte
di Ariano e Gran Siniscalco del Regno, Isabella sposa Federico
D’Aragona, figlio del re Ferdinando I e futuro re di Napoli.
Ed è proprio Federico d’Aragona ad ereditare nel 1487 il feudo di
Polcarino e quello di Montaguto insieme a numerosi altri della Baronia
di Flumeri.
Si tratta di feudi piccoli, ma strategicamente importanti, perché con
le loro posizioni dominanti ed i loro castelli fortificati costituiscono
ottimi punti di avvistamento, di controllo e di difesa del territorio
vallivo.
Passano gli anni, punteggiati e segnati da calamità di ogni genere,
guerre, epidemie, terremoti, carestie.
Tremenda è l’epidemia del 1656 che segna un secondo crollo, dopo
quello del 1456, della popolazione residente che si riduce al censimento
del 1669 a 17 fuochi, poco più di 80 abitanti, i quali miracolosamente
scampati alla peste, impauriti e disarmati si nascondono nei boschi e si
interrogano sulla loro sorte e sul loro futuro.
Ma la paura non è solo quella delle guerre e delle pestilenze, è anche
quella degli esattori rapaci e degli amministratori incontentabili: c’è
da fare i conti con una quarantina di tipi di imposte, tra quelle
dirette e quelle indirette, in pratica il signore locale è padrone di
tutto ed a lui si paga, si potrebbe dire, anche l’aria che si respira.
A Villanova la situazione è ancora più tragica perché, come ho
accennato, al Principe spetta sia il terraggio, sia la decima che
gravano sui terreni concessi ai contadini, sia ancora il casalinaggio o
jus solari che grava sui suoli edificabili.
Che cosa fanno i Governanti a livello nazionale o periferico per
risollevare o alleviare la triste sorte delle masse contadine e
proletarie è facile immaginarlo: assolutamente niente in quanto il
Regno di Napoli è solo una inesauribile riserva di uomini e di animali
per le continue guerre che depauperano ulteriormente una terra per tanti
versi già penalizzata dalla mancanza di industrie, dallo scarso slancio
commerciale e dalle condizioni di abbandono delle campagne.
I Governanti pensano soltanto ad imporre tasse e dogane, a concedere ed
a revocare privative, a manipolare le monete e ad alterare i cambi, a
fissare donativi per le spese più futili e frivole.
La condizione di semischiavitù in cui per secoli sono costretti a
vivere i Villanovesi sembra cessare nel 1811, quando gli Amministratori
Comunali (il sindaco Pietro Paolo Iorizzo ed i
Decurioni) vengono a quella che essi ritengono una onorevole
convenzione con il Marchese Giambattista Ossorio.
Il Marchese si impegna a liberare i cittadini villanovesi dal peso
esorbitante della decima e del terraggio, il Comune in cambio rinuncia a
vantaggio del Marchese ai suoi diritti sul Bosco di 243 tomoli e su
altri terreni che gli sono stati assegnati dalla Commissione Feudale
appena due anni prima.
A vantaggio di chi è andato questo accordo?
Apparentemente a vantaggio di tutti i Villanovesi, in realtà a
vantaggio delle sole persone più facoltose e benestanti sulle quali
gravava il terraggio e la decima, essendo esse sole concessionarie delle
terre del Principe.
Ciò sarà motivo di dispute aspre e accese che di tanto in tanto
riesplodono, come avviene durante il Fascismo quando un altro Iorizzo,
il notaio Federico presenta al Sottoprefetto di Ariano una denuncia in
cui si afferma che, a suo giudizio, il Comune ha consegnato al Marchese
il Bosco in cambio di niente, dato che le decime ed i terratici ceduti
dallo stesso Marchese al Comune, legalmente non potevano essere
trasferiti, in quanto con altro atto notarile di quasi duecento anni
prima un altro Marchese se ne era già spogliato assegnandoli alla
chiesa parrocchiale nella persona dell’arciprete.
Ne scaturisce un giudizio civile che vede coinvolti cittadini, Comune e
Arcipretura, sul quale il libro che oggi viene presentato, sulla scorta
di documenti di archivio e senza entrare nel merito di questioni
eventualmente ancora aperte e pendenti, cerca di fornire lumi
esclusivamente sotto il profilo storico e dei fatti acclarati e
consacrati in atti pubblici.
La comunità villanovese è messa a dura prova anche da funesti e
ricorrenti eventi calamitosi: oltre a quelli già citati, voglio
ricordare il terremoto del 1930, anno in cui Villanova paga un elevato
tributo in termini umani e materiali.
Morti, macerie, rovine, sfaldamento di sentimenti e di amicizie,
annientamento di intere famiglie, legami per sempre spezzati.
Esaminando in dettaglio la struttura ed il contenuto di questa opera è
possibile rilevare che il lavoro è stato fatto seguendo due precise
direttrici: ricerca e rielaborazione di notizie già raccolte nei secoli
da altri studiosi (Ricca, D’Amato, Silano, De Luca, Vittorio Caruso ed
altri ancora), analisi dei documenti che sono stati reperiti negli
archivi, sia in quelli parrocchiale e comunale, sia in quelli di Stato.
Forse qualche volta ci si è dimenticati di citare la fonte da cui si
sono attinte le notizie, lo faccio adesso, dando il giusto merito ad
ognuno degli studiosi citati.
Del resto la ricerca storica consiste anche in questo: nel seguire e
approfondire strade aperte da
altri e nel tracciare nuovi percorsi su cui altri si incammineranno:
nessuno nel campo della ricerca storica può invocare o vantare diritti
di privativa o di esclusiva, perché le porte degli archivi e delle
biblioteche sono aperte a tutti e gli atti, i documenti e gli scritti
che in essi si conservano sono patrimonio comune.
In questo libro, accanto agli eventi della grande storia, rivivono i
fatti della piccola storia locale, legati alla vita quotidiana delle
persone, delle famiglie e della comunità. In questo libro rivive la
storia dei feudatari e dei vassalli, dei sindaci e dei cittadini comuni,
dei parroci e dei loro fedeli, dei priori e degli iscritti alle
confraternite, dei realisti e dei carbonari, dei rivoluzionari e dei
conservatori, categorie opposte di uomini che, comunque, compiono azioni
spesso interdipendenti che contribuiscono allo sviluppo progressivo
della Universitas di Pulcherino prima e di Villanova poi e al graduale processo attraverso il
quale un popolo da servo della gleba si evolve e si emancipa fino a
conquistare la superiore consapevolezza di essere diventato una comunità
solidale per comunanza di ideali, di principi, di cultura e di diritti
inalienabili.
Piccoli passi fatti da una comunità che si evolve e acquista coscienza
man mano che si sente sempre più solidale di fronte alle prove della
vita, siano esse di ordine politico e sociale, o di ordine naturale.
Noi, cittadini del Terzo Millennio, non riusciamo nemmeno ad immaginare
quanta sofferenza, quanti sacrifici, quanta fatica, quanta laboriosità,
quanta nobiltà, nel senso più elevato del termine, ci siano stati nel
mondo e nella vita dei nostri progenitori che in questo libro tornano a
vivere con i loro volti bruciati dal sole e scavati dalla fatica e dalla
sofferenza.
Sono per la maggior parte contadini e pastori, artigiani e braccianti,
è un’intera comunità che lavora, che soffre, che spera, che si
abbatte, che si rianima e torna a sperare, una comunità che fa il
proprio dovere, pagando le tasse, che ricorre ai Tribunali per
l’affermazione dei propri diritti, che convive con il terraggio, con
il focatico, con le rivele, con il catasto, con gli abusi ed i soprusi.
Uomini
e donne che hanno imparato a condividere nel tempo l’amore per la casa
dei padri, il ricordo struggente della loro patria lontana,
l’attaccamento alla terra, ai boschi, alla loro contrada, alle misere
abitazioni, agli amici, alle tradizioni, ai proverbi, ai canti, ai
sapori, ai colori di questo piccolo angolo di mondo e del cuore.
Un flusso ininterrotto di donne e di uomini è passato per questo luogo
giungendo fino a noi e contribuendo alla costruzione di questa realtà,
di questo edificio umano, sociale, politico, religioso e culturale.
Chi è andato via, ha portato con sé ed ha conservato sempre nel cuore
il desiderio irresistibile e insopprimibile del nostos, del ritorno alla
casa del padre.
Con
questo Itinerario storico, economico e sociale la Scuola Media di
Villanova ha dato voce ad uomini rimasti muti per secoli, ha dato un
volto ben definito ad ombre che per migliaia o centinaia di anni hanno
vagato incerte per le strade, le vie e le contrade di questo paese che né
guerre, né cataclismi, né pestilenze sono riuscite a demolire, perché
nel cuore e nella mente dei superstiti è prevalsa ogni volta la
consapevolezza dell’appartenenza ad una comunità ben delineata dalla
quale sarebbe stato impossibile staccarsi per andare a mettere radici
altrove.
Un
messaggio di speranza e di fede che dagli antenati è stato trasmesso
alle generazioni di oggi e che queste hanno il dovere di consegnare
immutato alle generazioni future.
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Saluto del parroco
sac don Antonio
Biondi nell'occasione della presentazione del libro, Villanova
del Battista itinerario storico economico e sociale, della Scuola di
Villanova.
E’ con immenso
piacere che partecipo a questo evento, che ritengo sia uno dei più
significativi che la nostra comunità abbia vissuto negli ultimi anni.
Un grazie, dunque va a tutta la Scuola, nelle sue diverse componenti,
per questo lavoro, che ha voluto donare al nostro Paese un altro pezzo
della sua storia.
In
questi anni ci sono state diverse pubblicazioni, che hanno voluto
raccontare il nostro passato, per lo più sconosciuto alle nuove
generazioni. Certo non per colpa loro, ma come giustamente è affermato
nella prefazione del libro, a causa dei terremoti che nel corso dei
secoli hanno distrutto inesorabilmente tutto ciò che c’era da
distruggere, privandoci del nostro passato.
E questo ha comportato
una perdita di “storia”, che pian piano con queste pubblicazioni si
cerca di ricostruire. Ben vengano, dunque persone che amando il loro
Paese ne studiano i suoi aspetti le sue ricchezze i suoi limiti rendendo
a tutti noi un servizio che certamente ne beneficeranno le generazioni
prossime. Per questo non bisogna mai stancarsi di incoraggiare uomini o
donne che si avviano verso queste strade, e oggi vi annuncio, possiamo
rallegrarci sapendo che in un prossimo futuro, spero non lontano, altri
2 lavori che racconteranno altri particolari su Villanova, per lo più
inediti, saranno resi pubblici.
Ma
in questi libri cosa vi dobbiamo cercare? Una serie di eventi così come
sono accaduti, e dunque la Storia o l’interpretazione e dunque
la storiografia? Ognuno potrà parteggiare per l’uno o per
l’altro, ma certamente il divario è talmente irrisorio che
inevitabilmente si fonderanno, l’uno nell’altro, dandoci notizie così
come i nostri Padri le hanno vissute.
Questi
libri, poi, hanno il pregio di stimolare le persone a conoscersi. Se
voglio sapere chi è l’uomo, devo rispondere a domande fondamentali
quali: chi sono, da dove vengo e dove vado? Tanto più, se voglio capire
chi è Villanova, o che cos’è oggi, devo cercare di sapere da dove
veniamo, cosa abbiamo prodotto, quali sono state le intuizioni più
profonde che ne hanno cambiato il volto, dandogli la sua identità e
dunque il suo orgoglio, tanto da far dire al villanovese con una certa
fierezza, sono di Villanova.
Allora
è necessario studiare il passato e forse mi innamorerò di più del mio
presente e cercherò di essere meno egoista lasciando al futuro un
qualcosa di cui esso potrà esserne ancora fiero. Altrimenti
l’ignoranza mi porterà inesorabilmente a disprezzare ciò che
possiedo ritenendo vecchio tutto ciò che è passato, ma non è forse
questa la mentalità di oggi?
Ebbene
grazie a uomini o donne che ritengo paragonabili a delle sentinelle,
noi ci approprieremo di noi stessi facendo del passato una scuola di
modernità che ci permetterà di costruire un mondo migliore.
Un
augurio particolare agli studenti che hanno collaborato con gioia alla
stesura di questo testo, ai professori che hanno seguito stimolato e
curato nei minimi dettagli l’opera. E se c’è un’ultima richiesta
che io, parroco di Villanova faccio, è rendere ancora più interessante
e ricca un’altra opera che la Scuola ha prodotto e cioè Il
Museo; quando sarebbe bello farlo diventare punto di riferimento
della nostra collettività. Del lavoro è stato fatto altro se ne farà
ma per favore fate in modo che non vada nel “dimenticatoio”. Grazie.
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