POLCHERINO

TRATTO DAL LIBRO "Villanova del Battista itinerario storico economico e sociale". Opera dell'Istituto Comprensivo di Scuola Materna, Elementare e Media "F. De Sanctis".

Presentato Sabato 9 giugno 2001.

  1. Relazione del prof. Antonio Angino
  2. Saluto del parroco sac don Antonio Biondi

Dalla Relazione del prof. Antonio Angino relatore dell'Opera.

 

ANTONIO ANGINO, nato a Montaguto il 3 agosto 1945, laureato in Lettere e Filosofia con una tesi su Vincenzo Gioberti e la reazione gesuitica, insegnante di Materie letterarie nella scuola media.

Autore di numerosi scritti di carattere storico su Montaguto e di una voluminosa ricerca dal titolo “STORIA DI MONTAGUTO – Economia Politica Società”.

Di prossima pubblicazione un nuovo lavoro intitolato “MONTAGUTO – Una piccola comunità tra rivoluzione e conservazione”.

 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

  

L’impossibilità del professore Francesco Barra dell’Università di Salerno ad essere presente a questa manifestazione, fa cadere su di me il compito e l’onere di presentare e relazionare su questo lavoro realizzato, come già è stato anticipato da chi mi ha preceduto, nell’ambito della sperimentazione dell’autonomia scolastica.

Un lavoro che ha come oggetto la storia di Villanova del Battista vista nella triplice valenza storica, economica e sociale.

Non è la prima storia di Villanova e, non sarà l’ultima, mi auguro, perché c’è ancora tanto da scoprire e da valorizzare: gli archivi sono miniere che attendono di essere sfruttate.

La ricerca storica è un campo inesauribile, basta avere la volontà e la costanza di  percorrerlo, di rovistare e cercare nei piccoli archivi parrocchiali e comunali o nei grandi archivi dello Stato e in quelli notarili.

Chi si immerge nella ricerca storica, prima o poi vedrà il suo impegno premiato, perché una volta che il ricercatore si è abituato a convivere con la polvere, sfogliando registri e documenti che da secoli giacciono sepolti e indisturbati negli scaffali, riporterà alla luce notizie inedite e interessanti.

La ricerca che la scuola ha fatto va proprio nella direzione di stimolare e suscitare l’interesse e la curiosità di qualche,valente giovane villanovese ad allargare l’orizzonte delle conoscenze e degli eventi del proprio paese, a cercare di colmare i tanti vuoti che ancora permangono nella storia di questo paese.

Questo lavoro ha colmato alcuni vuoti, ha permesso di trovare altri tasselli di un mosaico che attende di essere completato.

Non mi soffermerò sulla bontà o meno di questa iniziativa, perché come insegnante di questa scuola sono parte in causa, per cui potrei apparire agli occhi di chi mi sta ascoltando come un Cicero pro domo sua.

Passo, quindi, subito ad illustrare i punti salienti del libro la cui impostazione si fonda su alcuni aspetti nodali essenziali alla comprensione del processo storico, economico e sociale villanovese.

Intanto c’è da notare che forse per nessun altro paese si sono coniati nel corso dei secoli tanti nomi: Pulcarino, Polcarino, Porcarino, Purcarino, Palumbinum, Villanova, Villanova del Battista.

Come mai? E’ l’interrogativo che ci poniamo e che altri si sono posto prima di noi.

In effetti alcuni nomi sono solo lievi varianti formali, dovute evidentemente alla mano dei copisti, degli amanuensi, di quelli che, con terminologia ufficiale erano detti scrivani e che operavano nelle Corti dei Principi e dei Re e che mal interpetando le parole scritte a mano da altri, cercavano di trascriverle con la migliore approssimazione possibile.

Altre varianti sono sostanziali e sono da giustificare col fatto che, come con autorevolezza sostiene il professore Barra nella prefazione, il paese prendeva nome dall’attività prevalente dei suoi abitanti, che era quella di allevatori di porci.

Quando tra la fine del 1500 ed i primi anni del 1600 il numero degli abitanti aumenta ed il paese si ingrandisce, nasce Villanova, il paese nuovo che si distingue da quello vecchio, nato nei secoli precedenti.

Gli abitanti del luogo in pratica, stanchi di essere chiamati porcarinesi o purcarinesi termini che facilmente si prestavano allo scherno da parte degli abitanti dei paesi circostanti, diventano villanovesi: questo avviene quando signori di Villanova sono i Magnacervo.

La fede dei Villanovesi in San Giovanni Battista poi fa il resto.

Tra i tanti nomi c’è anche Palumbinum, in effetti ancora oggi c’è la Contrada di Serro Palumbo, ma ciò non giustificherebbe il supposto primitivo nome dato al paese, anche se un Palumbo è realmente esistito, ma nei documenti lo troviamo solo a cominciare dai primi anni del ‘600, quando Villanova esiste da secoli.

Tanti sono gli argomenti affrontati nel libro: si parte dalla situazione attuale con la descrizione della natura del territorio, della popolazione, delle caratteristiche dell’economia e si va alle origini per avanzare nel tempo di feudatario in feudatario; si parla delle abitazione e della vita sociale senza trascurare la figura della donna la cui opera è spesso considerata marginale e ininfluente ai fini storici; della formazione del catasto onciario del 1740-42 che insieme alle decisioni della Commissione Feudale sulla divisione del demanio occupa numerose pagine, perché la sentenza della Commissione feudale del 24 maggio 1809 e la conseguente, successiva transazione del 1811 tra il Marchese Giovanni Battista Ossorio ed il Comune sono la madre di tutti i guai di Villanova.

Anche la chiesa locale svolge un ruolo determinante nella storia del paese, sia dal punto di vista spirituale che economico, in quanto essa usufruisce di una dote costituita da Pirro del Balzo e poi rimpinguata da un altro Principe, dote che consiste in una cospicua somma di danaro e in 63 tomoli di terreno ubicati in diverse contrade.

Questo sarà motivo di scontri e dispute che vedranno protagonisti arcipreti, feudatari e popolo, ognuno teso a reclamare strenuamente i propri diritti veri o supposti che siano.

Di rilievo sono anche le pagine relative al trasferimento di un buon numero di contadini a Stornarella, in Provincia di Foggia, e quelle sugli eventi degli ultimi 200 anni.

Il lavoro si chiude con una ricerca sul dialetto e con una raccolta di ninne nanne, canti, indovinelli e giochi.

Pochi, ma sostanziali, sono i punti chiave della storia villanovese, uno di questi risale al 1459, quando un suo signore, il già citato Pirro del Balzo, essendosi il paese quasi completamente spopolato a causa di un violento terremoto di qualche anno prima, decide di accogliere nel suo feudo una colonia di Schiavoni provenienti dalle coste della Dalmazia.

Non è la prima volta che popolazioni balcaniche sono costrette a fuggire dalle loro terre.

La Penisola Balcanica è da sempre una terra tormentata e sconvolta, perché strategicamente appetibile nello scacchiere dell’Europa sud orientale e compressa tra cristiani, musulmani e slavi.

Il fenomeno dell’emigrazione forzata di massa non è di oggi e nemmeno di ieri, è un fenomeno che trova la sua giustificazione sia nella natura e nella cultura di quel groviglio di popoli diversi per fede, tradizioni, lingue, in lotta perenne fra di loro, sia nelle mire espansionistiche di potenze imperialistiche europee ed asiatiche.

Nascono, risorgono, si incrementano così tanti paesi del Meridione d’Italia, Greci, Ginestra degli Schiavoni, Piana degli Albanesi, Villanova.

Pirro del Balzo non è un benefattore, come si potrebbe immaginare, che magnanimamente apre le porte del suo feudo agli Schiavoni, dietro il suo gesto c’è un motivo economico, e l’economia è uno dei motori della storia. Pirro del Balzo, dichiarandosi padrone di tutto il tenimento di Villanova, pretende dai nuovi arrivati decima, terraggio e casalinaggio.

Ma Pirro del Balzo non è nemmeno un principe qualsiasi, nemmeno sua moglie, Maria Donata Del Balzo Orsini, che tra i tanti feudi possiede dal 1454 anche quello di Montaguto, è una principessa qualsiasi: ha due cognomi non perché uno proprio ed uno acquisito con il matrimonio, ma perché appartiene ad una famiglia che da secoli ha il privilegio di fregiarsi del nome illustre degli Orsini e dei Del Balzo, due lignaggi potenti, signori della guerra, assegnatari di  feudi, di castelli, di terre in cui vivono genti che essi non conoscono, che non hanno mai visto prima e forse non vedranno mai, ma delle quali sanno tutto attraverso i loro esosi ed esigenti amministratori ed agenti.

Dicevo: Pirro del Balzo e la consorte non sono principi qualsiasi, sono ambedue potenti ed i loro beni spaziano dalla Puglia alla Campania. Il loro matrimonio è allietato dalla nascita di due leggiadre bambine, Isabella ed Isotta Ginevra: Isotta va sposa a Pietro de Guevara, conte di Ariano e Gran Siniscalco del Regno, Isabella sposa Federico D’Aragona, figlio del re Ferdinando I e futuro re di Napoli.

Ed è proprio Federico d’Aragona ad ereditare nel 1487 il feudo di Polcarino e quello di Montaguto insieme a numerosi altri della Baronia di Flumeri.

Si tratta di feudi piccoli, ma strategicamente importanti, perché con le loro posizioni dominanti ed i loro castelli fortificati costituiscono ottimi punti di avvistamento, di controllo e di difesa del territorio vallivo.

Passano gli anni, punteggiati e segnati da calamità di ogni genere, guerre, epidemie, terremoti, carestie.

Tremenda è l’epidemia del 1656 che segna un secondo crollo, dopo quello del 1456, della popolazione residente che si riduce al censimento del 1669 a 17 fuochi, poco più di 80 abitanti, i quali miracolosamente scampati alla peste, impauriti e disarmati si nascondono nei boschi e si interrogano sulla loro sorte e sul loro futuro.

Ma la paura non è solo quella delle guerre e delle pestilenze, è anche quella degli esattori rapaci e degli amministratori incontentabili: c’è da fare i conti con una quarantina di tipi di imposte, tra quelle dirette e quelle indirette, in pratica il signore locale è padrone di tutto ed a lui si paga, si potrebbe dire, anche l’aria che si respira.

A Villanova la situazione è ancora più tragica perché, come ho accennato, al Principe spetta sia il terraggio, sia la decima che gravano sui terreni concessi ai contadini, sia ancora il casalinaggio o jus solari che grava sui suoli edificabili.

Che cosa fanno i Governanti a livello nazionale o periferico per risollevare o alleviare la triste sorte delle masse contadine e proletarie è facile immaginarlo: assolutamente niente in quanto il Regno di Napoli è solo una inesauribile riserva di uomini e di animali per le continue guerre che depauperano ulteriormente una terra per tanti versi già penalizzata dalla mancanza di industrie, dallo scarso slancio commerciale e dalle condizioni di abbandono delle campagne.

I Governanti pensano soltanto ad imporre tasse e dogane, a concedere ed a revocare privative, a manipolare le monete e ad alterare i cambi, a fissare donativi per le spese più futili e frivole.

La condizione di semischiavitù in cui per secoli sono costretti a vivere i Villanovesi sembra cessare nel 1811, quando gli Amministratori Comunali (il sindaco Pietro Paolo Iorizzo ed i  Decurioni) vengono a quella che essi ritengono una onorevole convenzione con il Marchese Giambattista Ossorio.

Il Marchese si impegna a liberare i cittadini villanovesi dal peso esorbitante della decima e del terraggio, il Comune in cambio rinuncia a vantaggio del Marchese ai suoi diritti sul Bosco di 243 tomoli e su altri terreni che gli sono stati assegnati dalla Commissione Feudale appena due anni prima.

A vantaggio di chi è andato questo accordo?

Apparentemente a vantaggio di tutti i Villanovesi, in realtà a vantaggio delle sole persone più facoltose e benestanti sulle quali gravava il terraggio e la decima, essendo esse sole concessionarie delle terre del Principe.

Ciò sarà motivo di dispute aspre e accese che di tanto in tanto riesplodono, come avviene durante il Fascismo quando un altro Iorizzo, il notaio Federico presenta al Sottoprefetto di Ariano una denuncia in cui si afferma che, a suo giudizio, il Comune ha consegnato al Marchese il Bosco in cambio di niente, dato che le decime ed i terratici ceduti dallo stesso Marchese al Comune, legalmente non potevano essere trasferiti, in quanto con altro atto notarile di quasi duecento anni prima un altro Marchese se ne era già spogliato assegnandoli alla chiesa parrocchiale nella persona dell’arciprete.

Ne scaturisce un giudizio civile che vede coinvolti cittadini, Comune e Arcipretura, sul quale il libro che oggi viene presentato, sulla scorta di documenti di archivio e senza entrare nel merito di questioni eventualmente ancora aperte e pendenti, cerca di fornire lumi esclusivamente sotto il profilo storico e dei fatti acclarati e consacrati in atti pubblici.

La comunità villanovese è messa a dura prova anche da funesti e ricorrenti eventi calamitosi: oltre a quelli già citati, voglio ricordare il terremoto del 1930, anno in cui Villanova paga un elevato tributo in termini umani e materiali.

Morti, macerie, rovine, sfaldamento di sentimenti e di amicizie, annientamento di intere famiglie, legami per sempre spezzati.

Esaminando in dettaglio la struttura ed il contenuto di questa opera è possibile rilevare che il lavoro è stato fatto seguendo due precise direttrici: ricerca e rielaborazione di notizie già raccolte nei secoli da altri studiosi (Ricca, D’Amato, Silano, De Luca, Vittorio Caruso ed altri ancora), analisi dei documenti che sono stati reperiti negli archivi, sia in quelli parrocchiale e comunale, sia in quelli di Stato.

Forse qualche volta ci si è dimenticati di citare la fonte da cui si sono attinte le notizie, lo faccio adesso, dando il giusto merito ad ognuno degli studiosi citati.

Del resto la ricerca storica consiste anche in questo: nel seguire e approfondire strade aperte  da altri e nel tracciare nuovi percorsi su cui altri si incammineranno: nessuno nel campo della ricerca storica può invocare o vantare diritti di privativa o di esclusiva, perché le porte degli archivi e delle biblioteche sono aperte a tutti e gli atti, i documenti e gli scritti che in essi si conservano sono patrimonio comune.

In questo libro, accanto agli eventi della grande storia, rivivono i fatti della piccola storia locale, legati alla vita quotidiana delle persone, delle famiglie e della comunità. In questo libro rivive la storia dei feudatari e dei vassalli, dei sindaci e dei cittadini comuni, dei parroci e dei loro fedeli, dei priori e degli iscritti alle confraternite, dei realisti e dei carbonari, dei rivoluzionari e dei conservatori, categorie opposte di uomini che, comunque, compiono azioni spesso interdipendenti che contribuiscono allo sviluppo progressivo della Universitas di Pulcherino  prima e di Villanova poi e al graduale processo attraverso il quale un popolo da servo della gleba si evolve e si emancipa fino a conquistare la superiore consapevolezza di essere diventato una comunità solidale per comunanza di ideali, di principi, di cultura e di diritti inalienabili.

Piccoli passi fatti da una comunità che si evolve e acquista coscienza man mano che si sente sempre più solidale di fronte alle prove della vita, siano esse di ordine politico e sociale, o di ordine naturale.

Noi, cittadini del Terzo Millennio, non riusciamo nemmeno ad immaginare quanta sofferenza, quanti sacrifici, quanta fatica, quanta laboriosità, quanta nobiltà, nel senso più elevato del termine, ci siano stati nel mondo e nella vita dei nostri progenitori che in questo libro tornano a vivere con i loro volti bruciati dal sole e scavati dalla fatica e dalla sofferenza.

Sono per la maggior parte contadini e pastori, artigiani e braccianti, è un’intera comunità che lavora, che soffre, che spera, che si abbatte, che si rianima e torna a sperare, una comunità che fa il proprio dovere, pagando le tasse, che ricorre ai Tribunali per l’affermazione dei propri diritti, che convive con il terraggio, con il focatico, con le rivele, con il catasto, con gli abusi ed i soprusi.

Uomini e donne che hanno imparato a condividere nel tempo l’amore per la casa dei padri, il ricordo struggente della loro patria lontana, l’attaccamento alla terra, ai boschi, alla loro contrada, alle misere abitazioni, agli amici, alle tradizioni, ai proverbi, ai canti, ai sapori, ai colori di questo piccolo angolo di mondo e del cuore.

Un flusso ininterrotto di donne e di uomini è passato per questo luogo giungendo fino a noi e contribuendo alla costruzione di questa realtà, di questo edificio umano, sociale, politico, religioso e culturale.

Chi è andato via, ha portato con sé ed ha conservato sempre nel cuore il desiderio irresistibile e insopprimibile del nostos, del ritorno alla casa del padre.

Con questo Itinerario storico, economico e sociale la Scuola Media di Villanova ha dato voce ad uomini rimasti muti per secoli, ha dato un volto ben definito ad ombre che per migliaia o centinaia di anni hanno vagato incerte per le strade, le vie e le contrade di questo paese che né guerre, né cataclismi, né pestilenze sono riuscite a demolire, perché nel cuore e nella mente dei superstiti è prevalsa ogni volta la consapevolezza dell’appartenenza ad una comunità ben delineata dalla quale sarebbe stato impossibile staccarsi per andare a mettere radici altrove.

Un messaggio di speranza e di fede che dagli antenati è stato trasmesso alle generazioni di oggi e che queste hanno il dovere di consegnare immutato alle generazioni future.  

Saluto del parroco sac don Antonio Biondi nell'occasione della presentazione del libro, Villanova del Battista itinerario storico economico e sociale, della Scuola di Villanova.

E’ con immenso piacere che partecipo a questo evento, che ritengo sia uno dei più significativi che la nostra comunità abbia vissuto negli ultimi anni. Un grazie, dunque va a tutta la Scuola, nelle sue diverse componenti, per questo lavoro, che ha voluto donare al nostro Paese un altro pezzo della sua storia.

In questi anni ci sono state diverse pubblicazioni, che hanno voluto raccontare il nostro passato, per lo più sconosciuto alle nuove generazioni. Certo non per colpa loro, ma come giustamente è affermato nella prefazione del libro, a causa dei terremoti che nel corso dei secoli hanno distrutto inesorabilmente tutto ciò che c’era da distruggere, privandoci del nostro passato.

E questo ha comportato una perdita di “storia”, che pian piano con queste pubblicazioni si cerca di ricostruire. Ben vengano, dunque persone che amando il loro Paese ne studiano i suoi aspetti le sue ricchezze i suoi limiti rendendo a tutti noi un servizio che certamente ne beneficeranno le generazioni prossime. Per questo non bisogna mai stancarsi di incoraggiare uomini o donne che si avviano verso queste strade, e oggi vi annuncio, possiamo rallegrarci sapendo che in un prossimo futuro, spero non lontano, altri 2 lavori che racconteranno altri particolari su Villanova, per lo più inediti, saranno resi pubblici.

Ma in questi libri cosa vi dobbiamo cercare? Una serie di eventi così come sono accaduti, e dunque la Storia o l’interpretazione e dunque la storiografia? Ognuno potrà parteggiare per l’uno o per l’altro, ma certamente il divario è talmente irrisorio che inevitabilmente si fonderanno, l’uno nell’altro, dandoci notizie così come i nostri Padri le hanno vissute.

Questi libri, poi, hanno il pregio di stimolare le persone a conoscersi. Se voglio sapere chi è l’uomo, devo rispondere a domande fondamentali quali: chi sono, da dove vengo e dove vado? Tanto più, se voglio capire chi è Villanova, o che cos’è oggi, devo cercare di sapere da dove veniamo, cosa abbiamo prodotto, quali sono state le intuizioni più profonde che ne hanno cambiato il volto, dandogli la sua identità e dunque il suo orgoglio, tanto da far dire al villanovese con una certa fierezza, sono di Villanova.

Allora è necessario studiare il passato e forse mi innamorerò di più del mio presente e cercherò di essere meno egoista lasciando al futuro un qualcosa di cui esso potrà esserne ancora fiero. Altrimenti l’ignoranza mi porterà inesorabilmente a disprezzare ciò che possiedo ritenendo vecchio tutto ciò che è passato, ma non è forse questa la mentalità di oggi?

Ebbene grazie a uomini o donne che ritengo paragonabili a delle sentinelle, noi ci approprieremo di noi stessi facendo del passato una scuola di modernità che ci permetterà di costruire un mondo migliore.

Un augurio particolare agli studenti che hanno collaborato con gioia alla stesura di questo testo, ai professori che hanno seguito stimolato e curato nei minimi dettagli l’opera. E se c’è un’ultima richiesta che io, parroco di Villanova faccio, è rendere ancora più interessante e ricca un’altra opera che la Scuola ha prodotto e cioè Il Museo; quando sarebbe bello farlo diventare punto di riferimento della nostra collettività. Del lavoro è stato fatto altro se ne farà ma per favore fate in modo che non vada nel “dimenticatoio”. Grazie.

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