TORAH.IT

Parashat Tazria 5763


E nel compimento dei giorni della sua purità per un figlio o per una figlia, porterà un agnello nel suo anno per olocausto ed un colombo o una tortora per chattat, alla porta della Tenda della Radunanza al Coen. E lo presenterà dinanzi al Signore ed espierà su di essa, ed essa sarà pura dalla fonte del suo sangue; questa è la Torà della partoriente, per il maschio e per la femmina." (Levitico XII, 6 –7)

"nel suo anno: se non fosse per la tradizione chi ci avrebbe spiegato ‘nel suo anno’?: se un anno completo, non più o meno o un aggiunta? E c’è chi dice che il senso dell’agnello di olocausto e per via del dubbio che abbia avuto qualche pensiero [improprio] nel momento del parto per via del gran dolore, ed il chattat per via del dubbio che lo abbia pronunciato con la sua bocca." (Ibn Ezra in loco)

Dopo averci spiegato le regole della purità ed impurità legate alla kasherut che vertono essenzialmente sul mondo animale, la Torà ci introduce nelle regole della purità ed impurità legate al mondo umano. Si tratta proprio di quelle regole che per quanto complesse nei loro particolari e nella loro comprensione concettuale rappresentano proprio la discriminante che innalza il mondo umano su quello animale. Ed il mondo ebraico sul mondo umano in generale.

Rashì sceglie di iniziare il suo commento a questa parashà con una citazione del midrash (Vajkrà Rabbà XIV,1) : ‘così come la creazione dell’uomo avviene dopo quella degli animali domestici, dei viventi e dei volatili nell’Opera della Creazione, così anche la sua Torà è stata spiegata dopo quella degli animali domestici dei viventi e dei volatili."

Sin dalla Creazione l’uomo è stato discriminato dagli animali ed è stato dotato di ‘uno spirito vivente, spirito che Onkelos nella sua traduzione aramaica rende come ‘ruach memallelà’, spirito parlante. La facoltà verbale è la prima caratteristica umana. Proprio la capacità di parlare e prima ancora di capire sono necessarie all’uomo per ricevere il primo precetto ‘crescete e moltiplicatevi: il precetto della procreazione. Da notare che il Talmud, nell’imparare i sette precetti noachidi associa il divieto di avere rapporti sessuali proibiti alla parola ‘lemor’, dicendo. E così anche la Mishnà nel trattato di Avot ammonisce l’uomo di non parlare troppo con la donna al fine di non giungere al peccato. C’è un nesso profondo dunque tra la sfera sessuale e quella della parola.

Con il peccato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male la natura femminile viene mutata, così come abbiamo approfondito nella derashà di Shabbat Bereshit di quest’anno. Il senso è che la donna con la gravidanza insegna al mondo il concetto di processo.

Infatti prima del peccato, concepimento e parto coincidevano: Cain, Evel e le loro sorelle gemelle nascono istantaneamente dopo il rapporto prima del peccato "salirono in due dal letto, scesero in tre". Solo dopo il peccato compare la gravidanza.

Ci vogliono nove mesi e tante cure ed attenzioni per creare la vita. Proprio la donna che ha corrotto il processo di trasmissione e della comunicazione trasgredendo la prima regola ricevuta da Adam suo genitore e maestro, deve educarsi ed educare il mondo alla centralità del processo.

Ed ecco che dopo questo lungo processo, la donna arriva al momento del parto. In ebraico: yoshevet all’ammashber, siede sulla rottura. È pronta alla rottura delle acque anche e soprattutto dal punto di vista spirituale. Rav Mordechai Elon shlita sottolinea spesso che la parola shever, rottura significa anche alimento: Jacov vede che c’è shever in Egitto, alimentazione, c’è di che da mangiare. Questa è la natura di ogni momento di rottura. La rottura e la crisi porta con se un’opportunità di rinascita. E pensiamo alla prima gestazione dice il Rav.

Chavvà ha visto il suo ventre gonfiarsi sempre più, ed i dolori aumentare sempre. Chi avrebbe mai detto che dopo tanto dolore, tutt’assieme essa sarebbe divenuta creatrice?

Ed ecco che dopo il parto essa diviene impura. Ossia si trova in una condizione che non le consente l’accesso al Sacro, al Santuario. Essa necessita di un nuovo periodo di purificazione (variabile a seconda di parto di maschio o femmina) prima di potersi presentare nuovamente al Santuario accompagnata da una duplice offerta e completare quel ciclo che ha reso lei e suo marito partecipi dell’opera Creativa del Signore al suo più alto livello, la Creazione della vita.

Ma perché la donna deve portare un’offerta espiatrice? Che cos’ha da espiare? Questa domanda è stata posta dagli alunni a Rabbì Shimo Bar Yochai (TB Niddà 35a). E risponde il Maestro:

"Nell’ora in cui sta per partorire si contorce [per il dolore] e giura di non avere più rapporti sessuali con il marito."

Ibn Ezra, lo abbiamo visto all’inizio, dice che in questo senso va intesa la duplicità dell’offerta: l’olocausto espia per il pensiero come generalmente avviene, mentre il chattat espia per l’eventuale pronuncia di questo giuramento. Notevole il fatto che tutte le donne debbono portare questa offerta nel dubbio che abbiano pensato o pronunciato questo giuramento. Il Ramban sottolinea che non si tratta di una regola legata ai giuramenti, sia per via del fatto che l’eventuale giuramento viene strappato dal dolore e quindi è invalido, sia per via del fatto che concerne anche il marito ed è quindi per definizione un giuramento invalido. Si tratta di altro qui: "ha voluto la Torà espiare il suo spirito, ed i pensieri del Signore sono profondi, e la Sua misericordia è grande che Egli vuole rendere giuste le Sue creature." Dunque per il Ramban, ciò che la Torà vuole è sanare quel conflitto spirituale che è interno alla donna nel momento del parto e guidarla con un apposito processo ad una nuova fase della sua vita. Il momento del parto è un momento particolare nel quale è particolarmente evidente la differenza uomo/donna ed il carico che questa si fa del mutamento del proprio stato successivo al peccato dell’albero. Prima che essa possa ricongiungersi con suo marito la Torà vuole che attraversi un apposito percorso rieducativo.

 

Notevole il fatto che Rabbì Shimon bar Yochai imputa a tutte le donne di giurare di non avere più rapporti sessuali. Il Talmud elenca (TB Eruvin 100b) dieci "maledizioni" che Chavvà ha trascinato sul mondo femminile ed esse concernono in generale la sfera sessuale e più in particolare l’apparato riproduttivo della donna ed il fatto che questa si faccia carico degli aspetti più difficoltosi della procreazione e della crescita dei bambini. Esse coincidono con il mutamento della natura femminile dopo il peccato dell’albero. Secondo il Meshech Cochmà la maledizione legata all’aver dato il frutto ad Adam è "e lui dominerà su di te" ossia il fatto che la donna dipende economicamente dall’uomo. Lei ha peccato nel dare, dovrà educarsi nel ricevere. Quest’ultima "maledizione" il Talmud la rende: "la donna richiede [suo marito nell’atto sessuale] nel cuore e l’uomo con la bocca", ossia che l’uomo esprime chiaramente il proprio desiderio sessuale mentre la donna lo cela nel cuore.

Notevole che abbiamo qui un ribaltamento della situazione. Quel desiderio che generalmente nella donna è tenuto nel cuore viene qui negato con la parola. La donna giura di non avere più rapporti con il marito. C’è dunque non solo un incrinatura del rapporto di coppia, ma anche una distorsione del mondo della parola.

Il Meshech Cochmà in loco propone una lettura leggermente diversa della doppia offerta. Il chattat espia effettivamente per il giuramento in questione ed anzi egli sostiene che per questo tutte le donne portano un colombo o una tortora per chattat malgrado che generalmente l’offerta volatile sia una variante economica per chi non può permettersi di meglio. In questo caso anche chi è ricca porta un volatile. Perché la colomba è il simbolo della fedeltà coniugale. Ed in Eruvin 18b troviamo che la principale preoccupazione della colomba è quella del sostentamento economico. Che sia dalla Mano del Signore, che sia kasher. Il colombo si preoccupa di mantenere ‘economicamente’ la colomba ed essi sono simbolo di un rapporto coniugale perfetto. Sono il modello a cui deve guardare la coppia, ed in particolare la donna prima di ricongiungersi al marito dopo una prolungata astensione sessuale. Notevole che lo stesso fa Noach mandando fuori proprio la colomba, quando i rapporti sessuali erano proibiti nell’arca. (Vedi in proposito derashà di Shabbat Noach di quest’anno).

Il hiddush del Meshech Cochmà è per quanto concerne l’olocausto. Secondo il Mesech Cochma la donna si ripresenta per la prima vola dopo tanto tempo al Santuario per ringraziare il Signore di averla fatta partorire e guarire, ma non può venire al Santuario a mani vuote: "e non vedrà/si farà vedere il/dal Suo Volto a mani nude".

Si tratta del precetto di portare in ognuna delle tre feste di pellegrinaggio un olocausto chiamato di "reià". Un olocausto il cui unico motivo è il fatto che la Torà ci impone di portare qualche cosa quando andiamo in pellegrinaggio al Tempio. Si tratta del primo di un ‘set’ di tre sacrifici che ogni ebreo adulto maschio presenta in ognuna delle tre feste: reià, chagghigà e simchà come impariamo all’inizio del trattato di Chagghigà. Notevole il fatto che le donne sono esenti dall’olocausto di reià nel corso delle feste. Dice il Mesech Cochmà: le donne portano il loro olocausto di reià quando tornano al Santuario dopo il parto.

In questo straordinario hidush del Meshech Cochmà si nasconde un grandissimo insegnamento. Il parto è per il mondo femminile quello che le feste di pellegrinaggio sono per il mondo maschile. L’uomo ha l’obbligo di presentarsi al Santuario nel tempo delle feste, moed. Ma le donne sono esenti dai precetti positivi legati al tempo, esse hanno un loro orologio interno collegato al ciclo mestruale ed al loro apparato riproduttivo. L’anno dell’uomo è l’anno solare con i suoi moadim, l’anno della donna è l’anno soggettivo del ciclo mensile del mestruo ma anche del Rosh Codesh. L’appuntamento al Santuario dell’uomo sono i moadim, ma il moed, il tempo della donna è il parto. Il Mesech Cochma porta a conferma il componimento poetico delle Hazarot opera di Rabbì Shelomò ben Gavirol (Spagna 1021-1070) che elenca tutte le mizvot (compare anche nel Machazor Italiano). In esso l’offerta di purificazione della donna è chiamata reià e chattat.

La Torà ci insegna qui la differenza che c’è tra uomo e donna laddove questa differenza deve servire a saper uscire assieme dal mashber e saper trovare assieme il sherver che è in questo. È per questo motivo che la Torà non vuole che l’uomo vada da solo al Santuario per le feste e che la donna vada da sola dopo il parto. L’Halachà li invita di fatto ad andare assieme.

Infatti sebbene la donna non sia tenuta a presentare offerte della festa essa mangia la carne delle offerte di Simchà (la terza categoria). Si tratta di offerte di shelamim che si presentano per avere carne consacrata da mangiare nel corso della festa per poter gioire come prescrive la Torà. Anche la donna deve gioire nella festa. Essa mangia quindi la carne delle offerte di Simchà del marito e prende così parte ai moadim.

Ricordiamo inoltre che le regole della presenza nelle feste vengono paragonate dal Talmud (Tb Chagghigà 3b) a quelle dell’Hakel, l’adunata settennale nel Santuario obbligatoria tanto per gli uomini che per le donne ed i bambini. In tale occasione è detto che se è vero che gli uomini vengono a studiare e mettere in pratica il precetto positivo della Torà dello studio della Torà (solo maschile), le donne vengono ad ascoltare: pur non avendo l’obbligo di studiare Torà lishmà (fine a se stessa) le donne hanno l’obbligo di studiare le regole relative alle mizvot che anche loro debbono mettere in pratica.

Allo stesso tempo anche l’uomo è tenuto ad andare con la donna giacché è lui che "le ha causato" ed è lui che presenta di fatto le sue offerte. Questa è l’opinione di Rabbì Jeudà in Nedarim 35b e così viene codificata dal Rambam, giacché questo è il senso della responsabilità che il marito prende sulla moglie con la Ketubà. Si tratta della responsabilità economica di cui si diceva prima e che è così legata al modo in cui uomo e donna hanno desiderio reciproco.

È dunque evidente che quello che la Torà vuole è che la coppia affronti assieme il parto/mashber e tragga alimento/shever dalla comune esperienza.

Il Maram di Rottenburg in loco associa la parola "uvimloot" (e nel compimento) ad un altro uvimloot, che si trova nella Meghillà di Ester. È infatti "al compimento di quei gioni" che Assuero fa il banchetto che è l’inizio della storia di Purim. Si tratta del compimento, secondo il calcolo di Assuero della profezia di redenzione di Israele. Assuero è convinto che è compiuto il computo dei giorni e non sono stati redenti e quindi non verranno redenti mai più. È per questo che organizza la festa ed estrae gli arredi Sacri del Santuario. Ma il conto di Assuero è sbagliato. Infatti il valore numerico della parola uvimloot è uguale a quello di taut, errore. Non nel testo della Torà però dove la parola è scritta in forma difettiva. Ossia molto prima che Assuero facesse i suoi conti sbagliati le donne ebree erano attente a contare bene i giorni della loro purificazione. E così come Assuero presentò al banchetto un agnello, così anche loro presentavano un agnello. Un agnello nel suo anno.

Possiamo allora capire cosa intendesse Ibn Ezra.

nel suo anno: se non fosse per la tradizione chi ci avrebbe spiegato ‘nel suo anno’?: se un anno completo, non più o menò o un aggiunta?

La Tradizione rabbinica vuole che si tratti di un agnello nel suo primo anno di vita. Ma nella Torà non è scritto espressamente. Allora com’è che si conta? Come si fa a non sbagliare il conto come Assuero? Si deve studiare quanto dicono i Saggi e sapere avere la pazienza e la perseveranza delle donne ebree che passano la loro vita a contare il tempo della loro purità e della loro impurità. Così anche Assuero chiama i Maestri di Israele "i Saggi che conoscono i Tempi". Nell’interpretazione talmudica (Meghillà 12a) sono coloro che sanno stabilire i capimesi e gli anni embolismici. In ebraico si dice letteralmente che sanno mettere incinti mesi ed anni!

Assuero sbaglia il conto perché non si può pensare di battere con il cronometro o il calendario un popolo che ha fatto della sacralizzazione del tempo il pilastro della propria vita, persino di quella coniugale.

Assuero ed Aman ed anche il Faraone verranno risucchiati dal mare del tempo della storia che si chiude su di loro relegandoli nei musei. Noi siamo ancora qui a contare il tempo delle feste e del ciclo mestruale ed a spiegare ai nostri bambini perché questa sera è diversa da tutte le altre.

Con Assuero ed Aman alle spalle noi ci accingiamo ad affrontare nuovamente quel po’ di Faraone ed Egitto che è rimasto in noi nella grande festa di Pesach, nel primo dei mesi che contiamo da uomini liberi, Nissan.

Come la partoriente anche noi siamo presi dai dolori delle doglie, le doglie del re Messia che presto ed ai nostri giorni si rivelerà a noi. E come la partoriente noi sappiamo che c’è una fine alle sofferenze e che il parto si avvicina ogni giorno. E che tanto più cresce il dolore ed il ventre si gonfia nei millenni di angherie suite, tanto più il mashber è prossimo. E con l’aiuto di D-o sapremo fare assieme di questo mashber un momento di shever ed entrare assieme nel Santuario ricostruito per spiegare al mondo come può un popolo mettere incinti mesi ed anni.

Shabbat Shalom e Chodesh Nissan Tov,

Jonathan Pacifici


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