Leadership
e organizzazione scolastica
Web
scuola
- 6
febbraio 2003
06/02/03
- Come esercitare la leadership a scuola?
Quanto pesano i vissuti personali? Esiste una
leadership al femminile?
La precarietà del posto di lavoro, sempre più frequente in tutti
i campi, comporta difficoltà crescenti anche nei
rapporti tra dirigente e personale della scuola.
Il luogo di lavoro perde così la funzione
di argine contro le ansie che le relazione sociali
producono negli individui. Tale ruolo di barriera
era stato individuato da Elliott Jacques negli
anni ’50, ma nell’attuale situazione del
mercato del lavoro essa non sembra valere nemmeno
in quelle realtà tradizionalmente più
legate al concetto di posto fisso. Il rischio per
tutti è quello di restare fortemente invischiati
nelle componenti emotive delle relazioni
con le altre figure professionali e gli
utenti. Oppure c'è il pericolo di ridurre
il lavoro ai suoi aspetti formali.
In entrambi i casi il dirigente, investito da un’onda emotiva che
non riesce più a gestire né a contenere, ha la
tentazione di defilarsi per fronteggiare
l’agitazione che serpeggia tra il personale, una
tensione talvolta connotata da una certa
aggressività. Può emergere così una tendenza
latente a spersonalizzare i
rapporti con il corpo docente, frapponendo tra la
propria ansia legata al compito e quella altrui
una serie di figure intermedie (amministrative e
dello staff dei collaboratori) chiamate a fare da
filtro più che a garantire, attraverso un
esercizio responsabile della delega, una migliore
organizzazione della scuola.
Orientamento della leadership
L’esercizio della leadership si orienta al compito o
alla relazione. Il primo caso
è più efficace quando la situazione è al
massimo o al minimo controllo situazionale; nei
gradi intermedi, invece, è preferibile
adottare il secondo. Gli studiosi, tuttavia,
ritengono che non esista un
modello unico e valido per tutte le
situazioni, ma che sia importante esercitare
diversi stili a seconda delle circostanze. Ne
consegue che nell’esercizio della leadership la
capacità di adattamento e quella
di “saper leggere” le
situazioni assumono un’importanza fondamentale.
Stili di leadership
Esiste una classificazione che individua tre stili di
leadership: democratico, permissivo ed
autoritario. Per certi versi, lo stile orientato
al compito può coincidere con lo stile autoritario
e quello orientato alla relazione con
quello democratico, ma a causa
delle implicazioni di natura sociopolitica ed
emotiva dei termini autoritario e democratico,
sono possibili ambiguità di
interpretazione. Rispetto alla produzione di
risultati, alcuni studi sembrano indicare
come più efficace lo stile
democratico.
Leadership e dirigente scolastico
Gli studi di psicologia del lavoro si
sono occupati poco del mondo
della scuola e quasi mai delle
questioni legate ai dirigenti.
Esistono, però, studi stranieri che hanno messo
in luce i fattori di stress legati a ruoli e
compiti. Dagli anni ’80 in poi, Favretto
ed altri studiosi hanno analizzato dapprima il disagio
avvertito dagli insegnanti italiani
nello svolgimento del loro lavoro, per poi passare
a quello dei dirigenti.
Particolare attenzione è stata rivolta alla
dimensione del vissuto personale.
Significativamente, infatti, se per gli insegnanti
uno dei motivi di insoddisfazione era costituito
dal rapporto con il management della scuola, gli
stessi disagi venivano avvertiti anche dai
presidi, nell’esercizio di compiti per
i quali spesso si sentivano inadeguati
A fronte di una realtà lavorativa sempre più complessa e di un
ruolo dirigenziale particolarmente impegnativo,
infatti, veniva, e viene tuttora, lamentata la
mancanza di adeguati strumenti e di discrezionalità.
E occorre anche ricordare che, indipendentemente
dal ruolo ricoperto, a partire dal ’68 chi
lavora nella scuola ha perso progressivamente
di prestigio agli occhi della
società.
La scelta dello stile appropriato
La scelta del modello di leadership da adottare si confronta con
difficoltà che derivano dalla funzione stessa
della scuola e dalla sua struttura organizzativa.
Uno stile orientato al compito può
incontrare ostacoli perché non sempre
compiti e finalità dell’organizzazione sono chiari:
più indefiniti sono, più aumentano le difficoltà.
Chi è il cliente della scuola? A chi bisogna
rendere conto? Quali perfomance privilegiare? E
come misurarle? Qual è il punto di equilibrio tra
i valori collaborativi e quelli competitivi?
Status e ruolo delle varie componenti
dell’istituzione scolastica sono
adeguatamente definiti?
Lo stile relazionale non
pone meno problemi: gestire una situazione tenendo
conto di istanze affettive è complesso. Una
situazione di confusione, in cui sono molti i
bisogni a cui far fronte, ma poche le risorse,
genera grandi ansie nel dirigente che si trova
spesso solo a decidere, soprattutto se opera in un
contesto che scansa le responsabilità
e che il Capo d’istituto percepisce
come un gruppo compatto. Un insieme di persone
impegnato a formulare richieste senza
però farsi carico fino in fondo delle conseguenze
delle proprie scelte.
Il contributo della psicoanalisi delle istituzioni
La psicoanalisi delle istituzioni, teorizzata da Franco
Fornari intorno agli anni Sessanta,
trova nella presenza di alcuni codici
affettivi una sorta di DNA che orienta il
nostro comportamento in maniera del tutto
inconscia. Ad esempio, Fornari individua
l’esistenza di un codice materno,
ovvero di una modalità di comportamento propria
della madre, che è innata e del tutto funzionale
alla sopravvivenza del bambino.
Dopo aver identificato i codici, Fornari dà origine ad un metodo
attraverso il quale cercare di individuare se e
come questi codici siano presenti nelle istituzioni.
In caso affermativo, in presenza, ad esempio, del
codice materno ci troveremmo di fronte ad una
situazione in cui l’istituzione cerca di
accogliere tutti, dedicando più spazio all’appartenenza
che alla competenza, tenendo in
gran conto la relazione.
Di converso, il valore dell’area paterna attiene
ad un codice che, per definizione, cerca di
favorire l’indipendenza e l’autonomia:
rispetto alla diade madre-bambino, infatti, il
padre si trova su un versante che deve favorire la
separazione e la crescita. Inoltre, essendo
escluso dalla diade, il padre porta dei valori
diversi che introducono nella realtà l’elemento
competitivo e l’elemento della separazione. E’
evidente che i termini paterno e materno usati in
questo contesto sono ambigui e
che possono portare ad un’eccessiva
semplificazione. Fornari, tuttavia, afferma che
entrambi i codici appartengano in
ogni caso a tutte le persone,
indipendentemente dal loro sesso.
Psicoanalisi e istituzione scolastica
Tornando allo specifico dell’istituzione scolastica, i valori di
riferimento dell’area paterna sarebbero entrati
in crisi perché è in crisi il concetto di
autorità che si fonda più sulla gerarchia
e meno sulla dimensione affettiva.
In misura analoga, la componente materna
sarebbe in difficoltà perché una scuola
che deve rispondere a mille bisogni non
riesce a tenere il ritmo delle richieste, dovendo
comunque far fronte al problema della selezione,
ovvero ad un valore tradizionalmente attribuito
all’area paterna.
In questo contesto, poi, sorge il
problema di una "scuola seduttiva".
La capacità di sedurre, quindi la capacità di
condurre a sé, è tradizionalmente attribuita al codice
femminile. La scuola di oggi, però, ha
un problema: da un lato deve essere selettiva
perché le viene richiesto di non puntare solo
sull’appartenenza ma anche di certificare
delle competenze. Nel
contempo, ogni istituto è costretto a sviluppare
una capacità seduttiva in periodo di iscrizioni,
perché in regime di autonomia e di concorrenza è
necessario attrarre alunni e famiglie. In un tale
contesto, le due dimensioni risultano
contraddittorie.
Fornari prospettava per le istituzioni sane un equilibrio basato
sulla “buona famiglia interna”
costituita da padre, madre e figli, in cui le
istanze del codice del bambino, che vuole tutto e
subito, vengono mediato dalle figure genitoriali.
Secondo Fornari, infatti, ogni codice serve in una
data situazione, ma il suo uso
all’infuori di essa comporta dei problemi:
alcuni codici, ad esempio, non favoriscono l’individuazione
perché si fondano più
sull’appartenenza che sulla competenza, come nel
caso del codice materno o di quello dei fratelli,
che sta alla base di molte esperienze di gruppo.
Di converso, un eccesso di codice paterno potrebbe
portare a forme di autoritarismo.
La confusione dei ruoli
Nella scuola, esiste forse una crisi
dell’istituzione prodotta alla confusione
dei ruoli, una situazione che, d’altro canto,
riflette la confusione dei ruoli presente nella società.
Se poi consideriamo che i genitori investono
molto sui figli, ma in maniera a volte decisamente contraddittoria,
ne consegue che il preside si trova a dover
gestire tutte le proiezioni delle ansie e delle
difficoltà della famiglia. La scuola, inoltre, ha
il problema di avere una forte vocazione di
accoglienza, tolleranza e
capacità di sopportazione tipicamente materna, ma
di dovere recuperare nel contempo autorità
e autorevolezza. Un
compito decisamente ingrato in un’epoca in cui
sull’Istruzione regna un perenne stato di
incertezza, anche in presenza di regole
teoricamente precise. A dimostrazione di tutto ciò,
basti pensare al reclutamento del personale: le
graduatorie o i concorsi dovrebbero essere
disciplinati da norme certe, eppure sono oggetto
di contenziosi continui ! Le difficoltà di un
dirigente, quindi, hanno a che fare con la
necessità di recuperare una visione più
chiara del ruolo e del contesto in cui svolge le
proprie funzioni.
Governare il cambiamento
Alcuni autori, tra cui Quaglino in Leadership, nuovi
profili di leadership per nuovi scenari
organizzativi, edito da Cortina nel 1999,
sostengono che i modelli di leadership degli anni
’70 e ’80 risultano oggi superati. Ora
si opera costantemente in un quadro di forte
incertezza ed è sempre più necessario acquisire
una capacità di gestire le sfide che emergono
improvvisamente, giorno dopo giorno. Senza
punti fermi, i nuovi leader sono costretti a
muoversi in una dimensione che non favorisce la dimensione
progettuale, soprattutto a lungo termine.
Si tratta, quindi, di realizzare il governo
del cambiamento, senza venirne travolti e
senza cadere, al contrario, in un immobilismo
paralizzante. Un compito che non si presta a
facili soluzioni e che richiede creatività e
capacità di gestire lo stress.
Manager e leader:
concetti diversi
In un lavoro del 1985, Leader, autonomia della leadership
le quattro chiavi della leadership affettiva,
pubblicato in Italia da Franco Angeli (1993),
Bennis e Nanus rilevano che la leadership, come
l’amore, è qualcosa che tutti conoscono ma
che nessuno sa definire con esattezza. I due
autori operano una distinzione tra manager e
leader molto utile in un'epoca in cui si parla di
preside-manager.
Il leader è colui che ha una visione complessiva
del progetto, maturata attraverso un attento
lavoro di ricerca e di ascolto: fissa le mete
e sa spiegare agli altri perché è
importante cercare di raggiungerle. Il manager,
invece, ha il know how e cerca
le soluzioni per realizzare gli obiettivi. Tale
distinzione tuttavia, se attuata sotto forma di
contrapposizione netta tra le due
figure, risulta inattuabile sia
nelle piccole e medie aziende sia in realtà
come la scuola, in cui è la stessa
persona ad assumere su di sé gli
incarichi di tipo dirigenziale.
Leadership e differenza di genere
Esistono modelli maschili e femminili di leadership? Si tratta di
un aspetto della questione che andrebbe
probabilmente studiato con maggiore attenzione.Il
pensiero della differenza sessuale, però,
ha mostrato che finché le donne devono adeguarsi
ad un astratto modello neutro, che in
realtà è un modello maschile,
negano la propria soggettività. Infatti,
invertendo i ruoli, un uomo non sarebbe
mai adeguato se dovesse adattarsi ad un paradigma
femminile e gli sforzi per
aderire a tale stereotipo sarebbero per lui frustranti
ed inutili. Per le dirigenti, la sfida è
quindi complessa: conquistare spazio in un ruolo
tradizionalmente maschile può, in alcuni casi,
comportare ancora oggi una parziale rinuncia
alla proprio modo di sentire le
cose.
Dirigere nella differenza
Nel contempo, però, nella scuola di
oggi è fondamentale la riflessione sul
ruolo genitoriale, e in questo
ambito le donne possono dare un importante
contributo. Infatti, come ha sottolineato a più
riprese la filosofa Luce Irigaray, si
tratta di un problema che la donna,
indipendentemente dalla propria scelta rispetto
alla maternità, è costretta a porsi per il
solo fatto di avere, a differenza dell’uomo, un
corpo capace di generare.
Inoltre, in una società in cui si proiettano
sui figli ansie, desideri e
contraddizioni e in cui la scuola diviene una
sorta di ricettacolo di istanze più diverse, la
figura femminile è importante perché capace di
offrire uno sguardo diverso,
attento a coltivare la relazione e
la mediazione.
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