L'integrazione
dell'allievo disabile nella scuola superiore
Web
Scuola - 5 giugno 2003
05/06/03 - Intervista
a Dario D'Andrea - Dirigente I.P.S.C.T. "E.Falck"
- Sesto San Giovanni
Cosa è emerso dal corso Anfass (Associazione Nazionale
di Famiglie di Disabili Intellettivi e
Relazionali) dedicato ai problemi
dell’integrazione degli allievi disabili nelle
scuole superiori che lei ha frequentato insieme a
docenti e non docenti della realtà milanese?
E’ stata un’ottima idea riunire intorno a un
tavolo i diversi soggetti che interagiscono in
modo forte con i disabili nella scuola.
Non esiste infatti nella scuola un momento
di incontro tra gli tutti gli operatori
per riflettere sulla loro attività con i
disabili, se non in parte nel consiglio di
istituto e nel Glh (Gruppo di
lavoro sull'handicap), che comunque rischia spesso
di essere un organo formale e non operativo.
Inoltre non si sono riprodotte le solite dinamiche
corporative in cui ciascuno parla “ai propri
simili”, e anche per merito degli operatori
Anfass che sono intervenuti, nemmeno nella
disposizione intorno al tavolone. Non c’erano i
docenti da una parte altre figure professionali
dall’altra.
Eravamo tutti intorno a un tavolo non tanto per
ragionare sul singolo caso, ma per esprimere le nostre
percezioni: difficoltà e punti di forza rispetto
all’integrazione dei ragazzi disabili.
C’è stato un rapporto molto più paritario e
interattivo in cui emerse tutte le differenze
e quelle cose che si dicono solo a mezza
voce nei corridoi.
Ad esempio?
Penso al collaboratore scolastico
che vede il ragazzo disabile o come destinatario
di solidarietà affettuosa o come elemento
problematico che è costretto ad accompagnare in
bagno o che gira per i corridoi, se è
portatore di disabilità psichiche. Il personale
di segreteria che se ne occupa come
pratiche da trattare e vorrebbe capirci qualcosa
di più, ma i docenti sostengono che non sia
affar loro.
Come si può far tesoro di un’esperienza come questa
all’interno del proprio istituto?
All’interno della scuola va ripresa questa idea di mettere a
confronto le diverse componenti uscendo da un
modello di adempimento burocratico. Probabilmente
la soluzione di mediazione è costituita dal fatto
di “rigenerare” il Gruppo di lavoro
sull’ handicap (Glh) previsto dalla legge
104/92, trasformandolo
in un organismo funzionale e non
pro-forma.
Il Glh
d’istituto è una struttura che si
potrebbe benissimo potenziare e forzare rispetto
alle rappresentatività formali. Si potrebbe
cominciare l’anno scolastico con un incontro
aperto a tutte le componenti, con l'obiettivo di
creare un gruppo che parta da una rilevazione
della situazione ad inizio anno e si faccia carico
di elaborare collettivamente proposte su come
utilizzare le risorse e su come calibrare gli
interventi. Questo gruppo allargato potrebbe avere
l’incarico di riformulare il Pof per
quanto concerne il segmento dell’integrazione.
Comunque credo che nel momento in cui il mugugno
del collaboratore scolastico anzi che restare
confinato nel corridoio venga fuori, nel
contempo venga metabolizzato da una rappresentanza
significativa degli operatori della scuola e anche
delle famiglie. Forse c’è la necessità di
forzare questa struttura che esiste nella
normativa. Trasformandola in un gruppo di lavoro
realmente operativo. Su questo versante il
corso ha aperto orizzonti interessanti.
Come ripensare la didattica per favorire
l’integrazione degli studenti disabili?
La soluzione più intelligente è quella di usare la presenza degli
studenti disabili come ariete per far emergere nei
consigli di classe un’attenzione ad una
didattica nuova. Significa spostare il centro
dell’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento.
Cioè?
Penso a docenti professionalmente e personalmente
onestissimi, presenti soprattutto nei licei,
convinti di aver fatto il proprio lavoro
quando sono entrati in aula per fare una bella
conferenza: corretta, organica, chiara.
Le ricadute sugli studenti non riguardano in
quel momento gli insegnanti. Il docente verificherà
poi i contenuti con le
interrogazioni e i compiti in classe. C’è lo
scollamento tra una fase in cui trasmetto il
messaggio e un’altra in cui ne verifico la
comprensione. Questo modo di fare scuola è ancora
molto diffuso. Non dovremmo assumere a scelta
l’atteggiamento dell’attore sul palcoscenico o
del sindacalista in un’assemblea, che si avvale
della capacità di convincere per far
arrivare il messaggio. Serve una maggiore
attenzione agli stili comunicativi
da parte del docente, una maggiore attenzione ai feedback
non verbali che gli studenti ti mandano.
E' necessaria una riproposizione in chiave diversa
dei temi affrontati e una maggiore interattività.
E questo come può avvenire, secondo lei?
Io
ero un insegnante di geografia. In un liceo
posso stare 25 minuti a parlare delle
caratteristiche della Francia, indicando ogni
tanto con la bacchetta sulla carta geografica gli
elementi da considerare. In un istituto
professionale, invece, ottengo forse gli stessi
obiettivi cognitivi se parto dalle fotografie
sul libro di testo, dalla carta e da qualche grafico. E
con questi strumenti comincio a fare un po’ di brain
storming con i ragazzi. Se questa modalità
non viene diffusa è evidente che non si
fa molta strada.
Quale ruolo riveste lo studente disabile in questo
processo di cambiamento?
La figura del disabile e quella dell’insegnante
di sostegno assolvono una funzione di apripista,
costringono i docenti curricolari a prestare una
maggiore attenzione alla relazione e a
riconcettualizzare alcuni contenuti. Gli studenti
disabili sono gli unici giuridicamente
tutelati in modo forte e possono favorire
il successo formativo degli altri, perché quando
un insegnante di matematica si rende conto che
servono 4-5 modalità didattiche
differenti per far acquisire certe abilità agli
allievi; poi mette in pratica queste strategie con
tutti i suoi alunni.
Ovviamente, le tecniche da considerare sono molte,
esse sono in parte possedute da una quota
significativa di docenti e possono essere
condivise con i colleghi. Si tratta di individuare
momenti di discussione e di formazione.
Spesso lo scambio di informazioni tra colleghi
passa con modalità polemica. Se
si riuscisse ad abbassare questa competizione
latente e questo fortissimo individualismo si
otterrebbero risultati migliori.
In che modo può essere gestita la risorsa
dell’insegnante di sostegno?
I
docenti di sostegno rivestono un ruolo importante
nel consiglio di classe, in primo luogo perché,
se sono specializzati, hanno
lavorato molto sul tema dell’importanza e sulla
gestione delle relazioni interpersonali.
E quindi diventano dei consulenti per i colleghi
su questi temi. Inoltre sono presenti nella classe
per diverse ore e durante le
lezioni di discipline diverse. E,
con tutte le cautele del caso, sono in grado di
fornire un feed back su come sono stati affrontati
determinati problemi didattici nelle varie
discipline e possono aiutare i colleghi a
correggere gli eventuali errori di approccio con
gli allievi.
Non è facile però...
In questo caso svolge un ruolo chiave chi
coordina il dipartimento di materia, ma anche il
consiglio di classe. Non mi riferisco
necessariamente al dirigente, ma al coordinatore
di classe che deve riuscire a rendere il meno
burocratici possibile questo momenti e
fare qualche provocazione che non ingeneri risposte
difensive, far uscire questi messaggi
soprattutto da parte dei docenti di sostegno,
evitando che si scada nella polemica
sull’operato dei colleghi. Si tratta di piccole
tattiche che vanno valorizzate.
E come può essere valorizzata la figura del docente di
sostegno?
Nella nostra scuola 5 o 6 anni fa abbiamo
deciso di affidare il coordinamento di
classe agli insegnanti di
sostegno, in tutti i casi in cui questo sia
possibile.
Una scelta dirompente...
Una scelta che ha avuto numerose ricadute: in
primo luogo una forte legittimazione.
Di solito molti insegnanti nemmeno sanno che si
tratta di un docente di classe. In secondo luogo
esercitano quella funzione di mappatura delle
reazioni degli studenti che
presentano qualche disagio, certificato o meno.
E’ chiaro che viene esercitata con più facilità
da chi sta in classe per più ore. In terzo luogo
un docente di sostegno che in molti casi ha buone
competenze e governa meglio di altri i processi
relazionali per gestire tutte le
tattiche di cui si parlava prima.
In altre realtà il docente di sostegno è visto male,
spesso non è specializzato ed è visto come un docente
di materia riciclato, a cui spesso sono richieste
competenze disciplinari molto ampie che non
possiede...
Lo
so, però ormai c’è da considerare un dato:
quello quantitativo. In questa scuola su 90
docenti 19 sono di sostegno e sono una
lobby potente.
I docenti di sostegno di questa scuola si
lamentano come gli altri per le difficoltà che
hanno nel relazionarsi con i rispettivi consigli
di classe. Non credo che esistano paradisi
terrestri, sono tutte situazioni fortemente
dinamiche Si tratta di capire chi riesce a governare
i conflitti e quali direzioni essi
prendono.
A suo
parere, quali opportunità e incognite per i
disabili si presentano con la delega?
Io sono stato un grande sostenitore del
disegno riformatore del precedente Governo. Sono
però sufficientemente laico per non avere
preclusioni nei confronti della
legge 53. L’elemento
preoccupante non è costituito dalla probabile regionalizzazione
del comparto professionale e di buona
parte degli istituti tecnici, perché, tutto
sommato, in Lombardia ci sono progetti di
qualità e, in generale, molte esperienze
europee vanno in questa direzione. Mi
preoccupa invece la connotazione molto
marcata dei due canali. A mio
parere, nemmeno nel cosiddetto modello
berlingueriano le passerelle “in salita”
dall’ipotetico liceo tecnologico ad altri tipi
di licei sarebbero state all’ordine del
giorno.Mi preoccupa che nei futuri licei
venga data una netta priorità
dell’approccio teorico. Il
cosiddetto documento di Fiuggi
va in questa direzione.
E cosa si dovrebbe fare?
Nel Documento dei Saggi, c’era
un intervento di Clotilde Pontecorvo
che invitava a ripartire dal modello delle botteghe
artigiane rinascimentali,
vale a dire da un modello in cui il saper fare e i
modelli teorici ad esso connessi sono fortemente
intrecciati. Io a questo ho creduto molto e questo
elemento, nel riordino dei cicli, nella prima
bozza almeno, era sottolineato più volte e stava
alla base del progetto ’92. Poi il bilancio
del progetto '92 non è stato sempre così
positivo, bisognava infatti intervenire con più
decisione sul modo di lavorare dei
docenti. Per costruire panorami di intreccio tra
teoria e pratica servono da un lato modalità
collaborative tra colleghi e
dall’altro modalità partecipative e interattive
con la classe.
Cosa la lascia perplesso del progetto Bertagna?
Il
progetto Bertagna è apparentemente rispettoso
delle differenze e sembra offrire una
risposta di buon senso difficile
da contrastare. Gli studenti che presentino
una propensione per un approccio teorico
trovano nel liceo la scuola adatta a
loro, invece quelli con una propensione per l’operatività
sono destinati al sistema dell’istruzione e
della formazione professionale che permette anche
di raggiungere orizzonti culturali, ma solo
in un secondo tempo e, forse, nemmeno in tutti i
casi.
E quindi bisogna rinunciare a rilievi di questo tipo?
No.Queste diversità, non occorre scomodare Don Milani,
sono di per sé segni di appartenenze
sociali e culturali diverse. Se le
considera come naturali, la scuola rinuncia
ad operare compensazioni socioculturali.
Questo significa però che i ragazzi prima che
cittadini italiani sono frutto del contesto
socioculturale che li ha prodotti. A volte,
invece, servono misure perequative.
La rinuncia a misure perequative mi sembra molto
presente nel progetto di riforma, anche se viene
introdotta sotto forma di rispetto delle diversità.
Difficilmente un modello che, in generale, rinuncia
in generale ad operare compensazioni, potrà essere
compensativo solo nello
specifico della disabilità.
Lei teme, cioè, che i disabili finiscano
tutti nel canale dell’istruzione e della
formazione professionale?
Beh, intendiamoci, in parte è quello
che avviene anche adesso. Se un ragazzino e una
ragazzina hanno alle spalle una famiglia molto
determinata e consapevole,
metaforicamente frequentatrice di “Mi manda
Raitre”, possono studiare in un
liceo altrimenti non è facilissimo che
questo avvenga.
La direzione che sta prendendo la riforma aggrava
questa situazione.
A proposito di timori diffusi, oggi sulla
riforma girano voci incontrollate e paure
infondate: non crede?
Questo progetto riformatore è poco
pubblico:ci sono gli spot, momenti di promozione e
alcune uscite sintetiche, ma si tratta di slogan.
Io non sarò molto addentro nei salotti
qualificati, ma sono attaccato a internet come
tutti! Non è facile capire cosa
stia succedendo.
Oggi il sito del Miur, nella
sezione news, ci informa di premi letterari,
ci fornisce qualche utile notizia a carattere
normativo, ma dei documenti importanti
come, ad esempio, quello di Fiuggi non
c’è traccia. Se non hai un amico che ti dà la
dritta per andare su un sito che parli di
questi documenti, resti all’oscuro di tutto.
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