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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

La rivincita della formazione professionale

Web Scuola - 3 aprile 2003

03/04/03 - Silvio Fortuna, delegato Education di Confindustra, ci parla del rapporto tra scuola e lavoro nella riforma

 

Continua la nostra inchiesta sulla riforma Moratti attraverso la voce di un attento interlocutore del mondo della scuola: Silvio Fortuna, delegato di Confindustria per le attività di education e conoscenza.

Nell'intervista rilasciata a Webscuola, Fortuna esprime la soddisfazione dell’associazione degli industriali per il ruolo più incisivo che la formazione professionale assumerà nella scuola italiana: come è noto, il doppio canale, uno dei punti su cui si concentrano le critiche degli oppositori alla riforma, piace agli industriali. Fortuna, però, difende anche uno degli elementi cardine della tradizione scolastica italiana: il sistema dei licei, che la riforma mantiene e potenzia.

Anche secondo i vertici di Confindustria, tuttavia, ci sono alcuni nodi da sciogliere e da verificare in sede di attuazione del progetto. E’ il caso, ad esempio, di come verrà attuato il rapporto tra scuola e mondo del lavoro, due realtà spesso lontane tra loro. Insomma: la riforma è partita ma, per molti aspetti, il dibattito è più che mai aperto. 


Qual è il giudizio di Confindustria sulla riforma Moratti?

Abbiamo sempre espresso un parere positivo sulla riforma della scuola per le innovazioni che introduce soprattutto nel settore della formazione professionale. Concordiamo anche sul principio di mantenere nel liceo classico e in quello scientifico i pilastri dell’istruzione: gli imprenditori sostengono che, prima di tutto, è necessario formare l’uomo e il cittadino e poi pensare alla sua professionalità. Accanto a questi due orientamenti, la riforma innesta i nuovi licei economico e tecnologico: l’ultimo, in particolare, permetterà di recuperare il grande patrimonio di esperienza accumulato dagli istituti professionali, serbatoi di quelle risorse umane qualificate che hanno permesso al nostro Paese di passare da un’economia agricola ad un’economia industriale.

Quali altri elementi interessanti sono presenti nella riforma?

Un altro aspetto innovativo della riforma è rappresentato dall’alternanza scuola lavoro, che crea un percorso formativo nuovo e sconosciuto in Italia, ma utilizzato all’estero da anni: in effetti tutte le statistiche evidenziano il ritardo del nostro Paese su questo versante. Questo tipo di scelta permetterà a quei giovani a cui l’aula “sta stretta” di prendere parte ad un percorso formativo costituito da lezioni teoriche, ma anche da momenti di “imparar facendo”: un percorso formativo moderno, basato sul principio che si possa apprendere attraverso l’esperienza e non solo con l’attività didattica in classe. In questo caso, l’esperienza di cui si parla è quella fatta in un’impresa.

C’è chi chiede una più precisa definizione dei percorsi dell’istruzione, della formazione e dell’avviamento professionale, che andranno a confluire nel secondo canale. Questi percorsi oggi costituiscono un universo complesso, modulato al suo interno, che comprende realtà diverse tra loro. Lei cosa ne pensa? 

Ormai credo che l’esperienza dell’avviamento professionale sia da considerarsi superata. Creando le passerelle che consentono il passaggio dall’istruzione  professionale a quella classica, la riforma non ghettizza più la formazione professionale in un limbo di serie B: al contrario, permette al giovane che inizia questo percorso di avere delle prospettive diverse. Una volta entrato in questo canale formativo, lo studente ha davanti a sé una serie di opportunità in grado di rispondere alle sue caratteristiche individuali. La professionalità non è  data solo dal possesso di una qualifica: è un insieme di capacità, di attitudini e di valori che una persona crea prima dentro di sé, e solo dopo spende nel mondo del lavoro.

In questo momento c’è molta preoccupazione per gli Istituti tecnici: si teme che questi indirizzi possano perdere la loro specificità, con il rischio di perdere un patrimonio di esperienze preziose …

Sì, il rischio esiste e ne stiamo discutendo. Noi riteniamo che il futuro Liceo tecnologico non debba perdere il contenuto professionale degli Istituti tecnici. Il Liceo tecnologico potrà diventare un liceo qualificante sul versante dei contenuti e dei saperi che saprà esprimere. D’altro canto dovrà essere in grado di produrre anche gli indirizzi professionalizzanti che sono già stati il vantaggio competitivo di questo Paese. L’Istituto tecnico dovrà crescere all’interno del Liceo tecnologico.

Quindi voi dite no ad una sorta di un Liceo scientifico con l’aggiunta di qualche disciplina tecnologica?

No, altrimenti faremmo male le cose! Non bisogna creare illusioni: meglio offrire ai giovani percorsi chiari, in modo che a quattordici anni possano scegliere. C’è chi sostiene che decidere a questa età anni sia troppo presto, ma dalle esperienze europee risulta che portando questo limite a sedici anni si perde circa il 30% dei giovani per strada. Noi vogliamo ridurre queste perdite ed evitare di trovare, al termine del percorso formativo, studenti sprovvisti di contenuti culturali o professionalizzanti, spendibili nel mondo del lavoro.

Quali sono i vantaggi, e quali gli svantaggi, del passaggio della formazione professionale alle Regioni?

Esiste un rischio di dequalificazione. Ciò detto, non dobbiamo dimenticare che i rischi sono anche opportunità da cogliere lavorando bene, senza contestazioni pregiudiziali, nelle aree di difficoltà che indubbiamente ci sono nella riforma Moratti. L’alternanza scuola-lavoro sarà una di queste sfide, ma nello stesso tempo costituirà una grande occasione per il nostro Paese di recuperare competitività e di creare risorse umane più qualificate. Potranno così sorgere nuove opportunità lavorative per molte persone  e le imprese potranno acquisire una maggiore capacità di competere.

Quali sono le aree su cui, a suo avviso, c’è più da lavorare per definire meglio i contenuti di una buona riforma?

Direi che, a livello di linee guida, i principi della riforma sono condivisibili. Credo che per quanto concerne l’alternanza scuola-lavoro la struttura scolastica debba dotarsi di figure adatte al confronto con le realtà produttive. Servono tutor che sappiano cosa sono le aziende: non si può pensare che l’insegnante con una formazione prevalentemente letteraria o umanistica possa affrontare temi che sono completamente diversi dal contesto da cui proviene. La scuola deve formare tutor che siano in grado di controllare i percorsi formativi dei ragazzi all’interno delle aziende e che sappiano affiancarli: in quest’ottica, quello che conta è il risultato finale, non il percorso.

Abbiamo già parlato dei problemi legati all’introduzione del Liceo tecnologico: un altro aspetto  da considerare è la formazione tecnica superiore degli IFTS. E’ un altro patrimonio che potrebbe creare competenze spendibili sul mercato, formando figure molto qualificate, senza dover  ricorrere al percorso universitario. In questo caso i problemi riguardano la mancanza di dialogo tra scuola e università e tra università e impresa: abbiamo bisogno di costituire dei punti di riferimento che mantengano l’uomo saldamente al centro.

Qual è il suo parere sullo stage?

Mi pare che oggi lo stage rappresenti una realtà acquisita, che ormai pervade il mondo universitario. In alcuni settori ci sono addirittura più aziende che offrono possibilità di stage di quanti siano i giovani disponibili. Si tratta di una prima opportunità, anche se non la più importante, di entrare nel mondo del lavoro.

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