La
rivincita della formazione professionale
Web
Scuola - 3 aprile 2003
03/04/03
- Silvio Fortuna, delegato Education di
Confindustra, ci parla del rapporto tra scuola e
lavoro nella riforma
Continua la nostra inchiesta sulla
riforma Moratti attraverso la voce di un attento
interlocutore del mondo della scuola: Silvio
Fortuna, delegato di Confindustria
per le attività di education e
conoscenza.
Nell'intervista rilasciata a Webscuola,
Fortuna esprime la soddisfazione
dell’associazione degli industriali per il ruolo
più incisivo che la formazione
professionale assumerà nella scuola
italiana: come è noto, il doppio canale, uno dei
punti su cui si concentrano le critiche degli
oppositori alla riforma, piace agli industriali.
Fortuna, però, difende anche uno degli elementi
cardine della tradizione scolastica
italiana: il sistema dei licei,
che la riforma mantiene e potenzia.
Anche secondo i vertici di Confindustria,
tuttavia, ci sono alcuni nodi da
sciogliere e da verificare in
sede di attuazione del progetto. E’ il caso, ad
esempio, di come verrà attuato il rapporto tra scuola
e mondo del lavoro, due realtà spesso
lontane tra loro. Insomma: la riforma è partita
ma, per molti aspetti, il dibattito è più che
mai aperto.
Qual è il
giudizio di Confindustria sulla riforma Moratti?
Abbiamo sempre espresso un parere
positivo sulla riforma della scuola per le innovazioni
che introduce soprattutto nel settore
della formazione professionale.
Concordiamo anche sul principio di mantenere nel
liceo classico e in quello scientifico i pilastri
dell’istruzione: gli imprenditori sostengono
che, prima di tutto, è necessario formare l’uomo
e il cittadino e poi
pensare alla sua professionalità.
Accanto a questi due orientamenti, la riforma
innesta i nuovi licei economico e tecnologico:
l’ultimo, in particolare, permetterà di
recuperare il grande patrimonio di
esperienza accumulato dagli istituti
professionali, serbatoi di quelle risorse
umane qualificate che hanno permesso al nostro
Paese di passare da un’economia agricola ad
un’economia industriale.
Quali altri elementi
interessanti sono presenti nella riforma?
Un altro aspetto innovativo della riforma è
rappresentato dall’alternanza scuola
lavoro, che crea un percorso formativo
nuovo e sconosciuto in Italia, ma utilizzato
all’estero da anni: in effetti tutte le
statistiche evidenziano il ritardo del
nostro Paese su questo versante. Questo tipo di
scelta permetterà a quei giovani a cui l’aula
“sta stretta” di prendere parte ad un percorso
formativo costituito da lezioni teoriche, ma anche
da momenti di “imparar facendo”:
un percorso formativo moderno, basato sul
principio che si possa apprendere attraverso l’esperienza
e non solo con l’attività didattica in classe.
In questo caso, l’esperienza di cui si parla è
quella fatta in un’impresa.
C’è chi chiede una più
precisa definizione dei percorsi
dell’istruzione, della formazione e
dell’avviamento professionale, che andranno a
confluire nel secondo canale. Questi percorsi oggi
costituiscono un universo complesso, modulato al
suo interno, che comprende realtà diverse tra
loro. Lei cosa ne pensa?
Ormai credo che l’esperienza
dell’avviamento professionale sia da
considerarsi superata. Creando le passerelle che
consentono il passaggio dall’istruzione
professionale a quella classica, la riforma
non ghettizza più la
formazione professionale in un limbo di serie
B: al contrario, permette al giovane che
inizia questo percorso di avere delle prospettive
diverse. Una volta entrato in questo canale
formativo, lo studente ha davanti a sé una serie
di opportunità in grado di
rispondere alle sue caratteristiche individuali.
La professionalità non è data solo dal
possesso di una qualifica: è un insieme di
capacità, di attitudini e di valori che una
persona crea prima dentro di sé, e solo dopo
spende nel mondo del lavoro.
In questo momento c’è
molta preoccupazione per gli Istituti tecnici: si
teme che questi indirizzi possano perdere la loro
specificità, con il rischio di perdere un
patrimonio di esperienze preziose …
Sì, il rischio esiste e ne stiamo
discutendo. Noi riteniamo che il futuro Liceo
tecnologico non debba perdere
il contenuto professionale degli Istituti
tecnici. Il Liceo tecnologico potrà
diventare un liceo qualificante sul versante dei
contenuti e dei saperi che saprà esprimere.
D’altro canto dovrà essere in grado di produrre
anche gli indirizzi professionalizzanti che sono
già stati il vantaggio competitivo di questo
Paese. L’Istituto tecnico dovrà crescere
all’interno del Liceo tecnologico.
Quindi voi dite no ad una
sorta di un Liceo scientifico con l’aggiunta di
qualche disciplina tecnologica?
No, altrimenti faremmo male le cose! Non
bisogna creare illusioni: meglio offrire ai
giovani percorsi chiari, in modo che a quattordici
anni possano scegliere. C’è chi sostiene
che decidere a questa età anni sia troppo
presto, ma dalle esperienze europee risulta
che portando questo limite a sedici
anni si perde circa
il 30% dei giovani per strada.
Noi vogliamo ridurre queste perdite ed
evitare di trovare, al termine del percorso
formativo, studenti sprovvisti di
contenuti culturali o professionalizzanti,
spendibili nel mondo del lavoro.
Quali sono i vantaggi, e
quali gli svantaggi, del passaggio della
formazione professionale alle Regioni?
Esiste un rischio di dequalificazione.
Ciò detto, non dobbiamo dimenticare che i rischi
sono anche opportunità da
cogliere lavorando bene, senza contestazioni pregiudiziali,
nelle aree di difficoltà che
indubbiamente ci sono nella riforma Moratti.
L’alternanza scuola-lavoro sarà una di queste
sfide, ma nello stesso tempo costituirà una
grande occasione per il nostro Paese di recuperare
competitività e di creare
risorse umane più qualificate.
Potranno così sorgere nuove opportunità
lavorative per molte persone e le imprese
potranno acquisire una maggiore capacità di
competere.
Quali sono le aree su cui, a
suo avviso, c’è più da lavorare per definire
meglio i contenuti di una buona riforma?
Direi che, a livello di linee guida, i
principi della riforma sono condivisibili. Credo
che per quanto concerne l’alternanza
scuola-lavoro la struttura scolastica debba
dotarsi di figure adatte al confronto
con le realtà produttive.
Servono tutor che sappiano cosa sono le
aziende: non si può pensare che l’insegnante
con una formazione prevalentemente
letteraria o umanistica possa
affrontare temi che sono completamente diversi dal
contesto da cui proviene. La scuola deve formare tutor
che siano in grado di controllare i percorsi
formativi dei ragazzi all’interno delle aziende
e che sappiano affiancarli: in quest’ottica,
quello che conta è il risultato finale,
non il percorso.
Abbiamo già parlato dei problemi legati
all’introduzione del Liceo tecnologico: un altro
aspetto da considerare è la formazione
tecnica superiore degli IFTS.
E’ un altro patrimonio che potrebbe creare competenze
spendibili sul mercato, formando figure
molto qualificate, senza dover ricorrere al
percorso universitario. In questo caso i problemi
riguardano la mancanza di dialogo
tra scuola e università e tra università
e impresa: abbiamo bisogno di costituire dei punti
di riferimento che mantengano
l’uomo saldamente al centro.
Qual è il suo parere sullo
stage?
Mi pare che oggi lo
stage rappresenti una realtà acquisita,
che ormai pervade il mondo universitario. In
alcuni settori ci sono addirittura più aziende
che offrono possibilità di stage
di quanti siano i giovani disponibili.
Si tratta di una prima opportunità, anche se non
la più importante, di entrare nel mondo del
lavoro.
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