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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

Relazioni umane a scuola

 

Web Scuola -  27 febbraio 2003

27/02/03 - La relazione nella scuola d'oggi. Le ripercussioni dei modelli organizzativi a sistema aperto su un'istituzione che deve interagire in un sistema integrato.

La centralità delle relazioni costituisce per la scuola un elemento qualificante.
In primo luogo perché lo richiede tanto la dimensione educativa quanto quella didattica. In secondo luogo per l’importanza che assume sempre di più il rapporto tra istituzione scolastica e territorio. Infine perché il processo di modernizzazione della pubblica amministrazione impone un salto qualitativo nei rapporti con il cittadino basato sulla trasparenza, l’efficienza e il rispetto del cliente.

 L'importanza della dimensione relazionale

Tra tutte le teorie dell’organizzazione, comparse in tempi più o meno recenti, merita particolare attenzione la Teoria delle relazioni umane per le ripercussioni che essa può assumere nella pubblica amministrazione, nel campo dei servizi alla persona e nell’educazione.
Com’è noto, infatti, tradizionalmente, la pubblica amministrazione  presentava  quasi ovunque una struttura rigidamente gerarchica e verticistica che privilegiava gli elementi formali e procedurali sulle relazioni umane, tendendo ad accentrare i processi decisionali. Tale impostazione solo negli ultimi anni è un po’ venuta meno e ha  consentito l’emergere di una consapevolezza dell’importanza strategica dell’elemento umano.

 Modelli organizzativi tra assimilazione e rigetto di corpi estranei

Nella scuola di oggi si è, almeno in parte, attenuata la dicotomia tra una struttura che presenta una notevole  rigidità a livello burocratico-amministrativo e  che richiede però, per sua natura intrinseca, un notevole grado di flessibilità per rispondere alle esigenze del soggetto che apprende.
La centralità del discente, come nota Luca Caimi, costituisce un’importante eredità pedagogica del Novecento ed è strettamente legata alla dimensione relazionale del rapporto insegnante-allievo.
Vi è però il rischio attuale che pezzi di paradigmi organizzativi aziendali entrino in maniera acritica nel sistema dell’istruzione, o che indicazioni utili alla scuola sperimentate in altri campi vengano rifiutate a priori perché appaiono aliene al contesto scolastico. Ciò può avvenire, ad esempio, nella valutazione della qualità del servizio scolastico, in assenza di un dibattito serio tra tutti gli attori coinvolti sui parametri di misurazione e su cosa valutare. Una distanza che da un lato non riflette una condizione di splendido isolamento, ma che segnala dall'altro un ritardo culturale della scuola nel confronto con altre realtà lavorative. Tuttavia tale lontananza denota anche tutti i limiti di un modello unico di stampo aziendalista, che male si accorda con la ricchezza e la pluralità della scuola italiana.
Il nostro sistema dell’istruzione  ha conosciuto, in anni di immobilismo istituzionale, una stagione di  sperimentazioni vitalissime che hanno prodotto forme di riforma strisciante, non adeguatamente recepite dal centro nei loro progetti di sistematizzazione per cambiare la scuola.
Anche per questo motivo la teoria delle relazioni umane presenta spunti di riflessione che, forse, possiamo estendere al di là dell’ambito in cui sono sorte.

 Teoria  delle relazioni umane

Al fine di attenuare gli effetti negativi del Taylorismo sul piano delle motivazioni e del clima aziendale, si afferma la Scuola delle Relazioni Umane, grazie alle idee pionieristiche di Elton Mayo, considerato il fondatore della sociologia industriale, in particolare del “Human Relations Movement”.
Mayo capovolge la prospettiva tayloristica, che basava i suoi assunti sugli incentivi economici, perché secondo la sua concezione, nei lavoratori prevale la “logica dei sentimenti”. Infatti, pur ritenendo valida l’organizzazione scientifica del lavoro, Mayo stempera le affermazioni di Taylor, sostenendo che “osservazione, skill, esperimento e logica, vanno considerati come le tre fasi di avanzamento”.

I temi fondamentali che rappresentano il contenuto teorico della scuola delle Human Relations, sono principalmente tre:
· il riconoscimento dell’importanza del fattore human
· il ruolo di istituzione che può portare armonia e ordine nella società industriale che l’azienda può assumere
· l’importanza attribuita agli aspetti informali di un’organizzazione

A differenza dello scientific management, Elton Mayo evidenzia la necessità di una visione più completa del rapporto uomo-azienda, che recuperi il cosiddetto fattore umano, ossia l’insieme dei fattori psicologici che influenzano il comportamento dei soggetti, dato che molti aspetti della condotta umana non possono essere spiegati razionalmente, bensì spesso scaturiscono dalla sfera emozionale. Applicando questo principio al lavoro, ne consegue che una maggiore attenzione dell’azienda alle esigenze psicologiche dei soggetti può essere più efficace per il rendimento lavorativo del semplice aumento della remunerazione.

Mayo non mette quindi in discussione l’assunto di Taylor, secondo cui è necessaria l’adozione di un'organizzazione del lavoro di tipo razionale, ma aggiunge che in questa organizzazione occorre considerare anche due importanti elementi: l’aspetto psicologico del lavoro e la dimensione sociale.
Di conseguenza, la Scuola delle Relazioni Umane colma le lacune della scuola classica, trattando i rapporti interpersonali e integrando la teoria esposta da Taylor con la dimensione psico-sociale.

In sintesi i principi organizzativi sui quali si fonda sono:
· tutti i lavoratori devono prendere l'iniziativa
· tutti i lavoratori devono essere motivati (per fare questo devono essere adeguatamente responsabilizzati)
· tutti i lavoratori devono partecipare alle decisioni

 Teoria del campo

Secondo Kurt Lewin l'organizzazione è un sistema composto da numerose parti in correlazione tra loro e in grado di incidere sull’insieme nel suo complesso. I flussi di comunicazione permettono un adeguato  scambio di informazioni, necessario alla sopravvivenza del sistema stesso.

La teoria del campo pone davanti all’esigenza di valutare le variabili dipendenti costituite dagli umori del gruppo che condizionano notevolmente i processi decisionali della scuola che presentano almeno a livello informale una forte dimensione assembleare. Le forze in campo condizionano le decisioni del gruppo l’individuo è parte di un sistema più ampio di relazioni che vanno analizzate nella loro complessità per spiegare le vicissitudini a cui vanno incontro i nostri processi decisionali

Teoria sistemica

Un ulteriore contributo alla dimensione relazionale proviene dai successivi sviluppi della teoria sistemica che focalizza la propria attenzione sull’interazione di più sistemi integrati, come il personale, la dotazione economica e tecnologica. Elementi che agiscono in contemporanea e si influenzano a vicenda secondo modalità non prevedibili in modo lineare (e quindi  facilmente quantificabili), ma che possono essere avvicinati solo seguendo un metodo probabilistico e accettando la presenza di elementi imponderabili come il fattore caso.

Chi si trova ad assumere un ruolo direttivo all’interno di un sistema complesso è chiamato quindi  a fronteggiare stati d’ansia che deve essere in grado di padroneggiare; deve cercare di considerare, muoversi e se possibile calibrare le diverse variabili verso gli scopi che si prefigge, mettendo in conto le difficoltà di percorso e cercando di trasformare i vincoli in risorse, trasformando  i constraint, i colli di bottiglia, in opportunità. Ancora una volta, però, per ottenere risultati tangibili il dirigente deve puntare su uno stile di leadership attento alle relazioni, per far leva sulla capacità di comunicare le proprie ragioni e motivare il personale. Una prospettiva ottimistica che forse non si basa su valutazioni realistiche della capacità degli individui di resistere alla frustrazione. Tuttavia uno sguardo complessivo sugli elementi che entrano in gioco nel sistema si impone per evitare pericolosi errori di prospettiva e clamorosi insuccessi. 

 Qualche esempio

Per capirci, basta forse qualche semplice esempio tratto dall’esperienza quotidiana a scuola. Non si può motivare il personale se l’organizzazione complessiva dell’istituzione  mortifica costantemente le aspettative di chi ci lavora e non basta dotare le scuole di nuovi strumenti tecnologici se non si creano le competenze e le condizioni necessarie al loro utilizzo. Uno sforzo complessivo teso ad individuare e rimuovere gli ostacoli risulterebbe certamente più produttivo.

Per comprendere una possibile applicazione della teoria del campo vi invitiamo ad una lettura del testo di Domenico Lipari su come portare  elementi dell’indagine sociologica e psicologica nell’ analisi dell’organizzazione scolastica, partendo dall’assunto di Lewin che non c’è nulla di più concreto di una teoria. Le modalità di indagine proposte da Dewey, Lewin e altri sono state applicate all’analisi di una segreteria di una scuola elementare. Il dirigente si trovava davanti a dilemmi che possono essere affrontati meglio seguendo la prospettiva sistemica. Il capo d’istituto di una scuola con più plessi non sapeva infatti quali strategie adottare  “per migliorare le prestazioni dei singoli e la performance dell’insieme”.

 La relazione e i suoi problemi.

La relazione nasconde spesso insidie. Secondo l’assunto centrale della scuola di Palo Alto, negli Usa, non possiamo non comunicare. Il testo di Watzlawick del 1967 Pragmatica della comunicazione umana delinea i tratti fondamentali di questa teoria. Tutte le comunicazioni contengono in sé una forte ambivalenza di cui spesso non siamo consapevoli, non esistono comunicazioni neutre o che non dicono nulla.

Prendiamo l’esempio classico: il rapporto genitore-figlio. Il genitore può dire al figlio “io voglio che tu sia indipendente, se te ne vai non mi dispiace” e dirlo con un tono e un gesto che sottintende in realtà l’intenzione contraria. Per converso, un figlio può contestare la famiglia secondo modalità che lo vincolano ancora di più alle figure parentali e non fanno che procrastinare ad hoc la condizione di dipendenza. Queste comunicazioni sono dette a doppio legame e sono presenti nelle relazione, rischiando di asfissiare i soggetti coinvolti.

Garantire l’immobilismo?

L’individuo può quindi  essere concepito come un sistema aperto che si differenzia gradualmente. La famiglia è infatti un sistema organizzato di interazioni, strutturato dalle comunicazioni presenti al suo interno. Un sistema che pone numerose trappole: una dimensione di mimesi, ostile alla crescita e al cambiamento, sempre temuto elemento  destabilizzante e catastrofico. Si tratta di quell'atteggiamento psicologico ben evidenziata dal Gattopardo: "Bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima". Una tendenza subdola e difficile da contrastare.

La teoria di Taylor

La psicologia del lavoro nasce tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, ad opera di FREDERICK WINSLOW TAYLOR che elabora un modello di «organizzazione scientifica del lavoro» (scientific management, 1911). Lo scientific management è un insieme coerente di criteri normativi e di regole pratiche secondo i quali, ai vari livelli di responsabilità, l'azienda viene organizzata al fine di ottimizzare l'efficienza economica.

Il metodo ideato da Taylor si basava su alcuni aspetti fondamentali:
- one best way (comporre il ciclo di lavoro in elementi analitici e
ricombinarli nel modo più economico e razionale);
- the right man to the right place (scegliere l'operaio più idoneo a svolgere il lavoro);
- analytic training (addestrare l'operaio a lavorare secondo le istruzioni sulla esecuzione e sui tempi di pausa prefissati);
- differential rates (retribuirlo in misura adeguata ad ottenere il massimo rendimento, ossia pagare sopra la media abituale chi lo raggiunge).
Nonostante l'organizzazione scientifica del lavoro si diffuse largamente, il cosiddetto taylorismo comportava alcune conseguenze psicologiche negative:
- il lavoratore viene estraniato dai gesti del corpo che per lui non hanno un senso soggettivo;
- l'intelligenza non viene utilizzata;
- il ruolo sociale perde di significato;
- il lavoratore vive l'adattamento al lavoro come una sottomissione, non come un legame;
- il lavoro viene visto come un male necessario a cui si partecipa il meno possibile;
- il disinteresse verso il lavoro è una forma di adattamento.

La teoria del campo

Nel 1957, Kurt Lewin teorizza il concetto di “campo”. La caratteristica peculiare di un campo è che il comportamento degli elementi in esso presenti dipende dalla sua configurazione complessiva che viene determinata dalle inter-relazioni degli stessi. Di conseguenza, secondo Lewin, il comportamento di un individuo è funzione del suo ambiente contingente (eventi, situazioni, persone, ecc.) e della sua personalità.
Lewin propone di considerare il mondo psicologico come un campo, composto da regioni interdipendenti, le cui componenti principali sono: la persona e l'ambiente. Il modo in cui l'uomo si costruisce il proprio mondo varia a seconda del variare delle sue esigenze e dei suoi scopi personali. Lewin ritiene che la percezione che il soggetto ha della realtà costituisce il punto di partenza per avviare un’analisi dei processi psichici e della personalità nel contesto fisico-temporale in cui si manifestano e nella rete di relazioni che li determinano.
Quindi, il campo non è altro che tutto ciò che è presente al soggetto in un dato momento e che ne determina l’agire, il sentire e il conoscere.
All’interno del campo si distinguono 3 aree fondamentali:
SPAZIO DI VITA (caratterizzato dai bisogni, dalle motivazioni, dalle mete e dagli ideali del soggetto);
MONDO FISICO E SOCIALE (fenomeni che non hanno una diretta incidenza sullo spazio di vita della persona in quel dato momento);
ZONA DI CONFINE (fenomeni che agiscono sullo spazio di vita della persona in quel dato momento).

Questo concetto può essere rappresentato con la seguente formula:

C = f(P;A)

C corrisponde al comportamento umano, ed è funzione (f) di P, la  personalità del soggetto, e di A, ossia l’ambiente nel quale vive.

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