Relazioni
umane a scuola
Web Scuola - 27 febbraio 2003
27/02/03
- La relazione nella scuola d'oggi. Le
ripercussioni dei modelli organizzativi a sistema
aperto su un'istituzione che deve interagire in un
sistema integrato.
La centralità delle relazioni
costituisce per la scuola un elemento
qualificante.
In primo luogo perché lo richiede tanto la
dimensione educativa quanto quella didattica. In
secondo luogo per l’importanza che assume sempre
di più il rapporto tra istituzione scolastica e
territorio. Infine perché il processo di
modernizzazione della pubblica amministrazione
impone un salto qualitativo nei rapporti con il
cittadino basato sulla trasparenza, l’efficienza
e il rispetto del cliente.
L'importanza della
dimensione relazionale
Tra tutte le teorie
dell’organizzazione, comparse in tempi più o
meno recenti, merita particolare attenzione la Teoria
delle relazioni umane per le
ripercussioni che essa può assumere nella
pubblica amministrazione, nel campo dei servizi
alla persona e nell’educazione.
Com’è noto, infatti, tradizionalmente, la
pubblica amministrazione presentava
quasi ovunque una struttura rigidamente gerarchica
e verticistica che privilegiava gli elementi
formali e procedurali sulle relazioni umane,
tendendo ad accentrare i processi decisionali.
Tale impostazione solo negli ultimi anni è un
po’ venuta meno e ha consentito
l’emergere di una consapevolezza
dell’importanza strategica dell’elemento
umano.
Modelli
organizzativi tra assimilazione e rigetto di corpi
estranei
Nella scuola di oggi si è, almeno in parte,
attenuata la dicotomia tra una struttura che
presenta una notevole rigidità a livello
burocratico-amministrativo e che richiede
però, per sua natura intrinseca, un notevole
grado di flessibilità per rispondere alle
esigenze del soggetto che apprende.
La centralità del discente, come nota Luca
Caimi, costituisce un’importante
eredità pedagogica del Novecento ed è
strettamente legata alla dimensione relazionale
del rapporto insegnante-allievo.
Vi è però il rischio attuale che pezzi di
paradigmi organizzativi aziendali entrino in
maniera acritica nel sistema dell’istruzione, o
che indicazioni utili alla scuola sperimentate in
altri campi vengano rifiutate a priori perché
appaiono aliene al contesto scolastico. Ciò può
avvenire, ad esempio, nella valutazione della
qualità del servizio scolastico, in assenza di un
dibattito serio tra tutti gli attori coinvolti sui
parametri di misurazione e su cosa valutare. Una
distanza che da un lato non riflette una
condizione di splendido isolamento, ma che
segnala dall'altro un ritardo culturale della
scuola nel confronto con altre realtà lavorative.
Tuttavia tale lontananza denota anche tutti i
limiti di un modello unico di stampo aziendalista,
che male si accorda con la ricchezza e la pluralità
della scuola italiana.
Il nostro sistema dell’istruzione ha
conosciuto, in anni di immobilismo istituzionale,
una stagione di sperimentazioni vitalissime
che hanno prodotto forme di riforma strisciante,
non adeguatamente recepite dal centro nei loro
progetti di sistematizzazione per cambiare la
scuola.
Anche per questo motivo la teoria delle relazioni
umane presenta spunti di riflessione che, forse,
possiamo estendere al di là dell’ambito in cui
sono sorte.
Teoria delle
relazioni umane
Al fine di attenuare gli effetti
negativi del Taylorismo sul
piano delle motivazioni e del clima aziendale, si
afferma la Scuola delle Relazioni Umane, grazie
alle idee pionieristiche di Elton Mayo,
considerato il fondatore della sociologia
industriale, in particolare del “Human Relations
Movement”.
Mayo capovolge la prospettiva tayloristica, che
basava i suoi assunti sugli incentivi economici,
perché secondo la sua concezione, nei lavoratori
prevale la “logica dei sentimenti”. Infatti,
pur ritenendo valida l’organizzazione
scientifica del lavoro, Mayo stempera le
affermazioni di Taylor, sostenendo che
“osservazione, skill, esperimento e logica,
vanno considerati come le tre fasi di
avanzamento”.
I temi fondamentali che rappresentano il
contenuto teorico della scuola delle Human
Relations, sono principalmente tre:
· il riconoscimento dell’importanza del fattore
human
· il ruolo di istituzione che può portare
armonia e ordine nella società industriale che
l’azienda può assumere
· l’importanza attribuita agli aspetti
informali di un’organizzazione
A differenza dello scientific
management, Elton Mayo evidenzia la necessità
di una visione più completa del rapporto
uomo-azienda, che recuperi il cosiddetto fattore
umano, ossia l’insieme dei fattori psicologici
che influenzano il comportamento dei soggetti,
dato che molti aspetti della condotta umana non
possono essere spiegati razionalmente, bensì
spesso scaturiscono dalla sfera emozionale.
Applicando questo principio al lavoro, ne consegue
che una maggiore attenzione dell’azienda alle
esigenze psicologiche dei soggetti può essere più
efficace per il rendimento lavorativo del semplice
aumento della remunerazione.
Mayo non mette quindi in discussione
l’assunto di Taylor, secondo cui è necessaria
l’adozione di un'organizzazione del lavoro di
tipo razionale, ma aggiunge che in questa
organizzazione occorre considerare anche due
importanti elementi: l’aspetto psicologico del
lavoro e la dimensione sociale.
Di conseguenza, la Scuola delle Relazioni Umane
colma le lacune della scuola classica, trattando i
rapporti interpersonali e integrando la teoria
esposta da Taylor con la dimensione psico-sociale.
In sintesi i principi organizzativi sui
quali si fonda sono:
· tutti i lavoratori devono prendere l'iniziativa
· tutti i lavoratori devono essere motivati (per
fare questo devono essere adeguatamente
responsabilizzati)
· tutti i lavoratori devono partecipare alle
decisioni
Teoria del campo
Secondo Kurt
Lewin l'organizzazione è un
sistema composto da numerose parti in correlazione
tra loro e in grado di incidere sull’insieme
nel suo complesso. I flussi di comunicazione
permettono un adeguato scambio di
informazioni, necessario alla sopravvivenza
del sistema stesso.
La teoria del campo pone davanti
all’esigenza di valutare le variabili dipendenti
costituite dagli umori del gruppo che condizionano
notevolmente i processi decisionali della scuola
che presentano almeno a livello informale una
forte dimensione assembleare. Le forze in campo
condizionano le decisioni del gruppo l’individuo
è parte di un sistema più ampio di relazioni che
vanno analizzate nella loro complessità per
spiegare le vicissitudini a cui vanno incontro i
nostri processi decisionali
Teoria sistemica
Un ulteriore contributo alla dimensione
relazionale proviene dai successivi sviluppi
della teoria sistemica che focalizza la propria
attenzione sull’interazione di più sistemi
integrati, come il personale, la dotazione
economica e tecnologica. Elementi che agiscono in
contemporanea e si influenzano a vicenda secondo
modalità non prevedibili in modo lineare (e
quindi facilmente quantificabili), ma che
possono essere avvicinati solo seguendo un metodo
probabilistico e accettando la presenza di
elementi imponderabili come il fattore caso.
Chi si trova ad assumere un ruolo
direttivo all’interno di un sistema complesso è
chiamato quindi a fronteggiare stati
d’ansia che deve essere in grado di
padroneggiare; deve cercare di considerare,
muoversi e se possibile calibrare le diverse
variabili verso gli scopi che si prefigge,
mettendo in conto le difficoltà di percorso e
cercando di trasformare i vincoli in risorse,
trasformando i constraint,
i colli di bottiglia, in opportunità. Ancora una
volta, però, per ottenere risultati tangibili il
dirigente deve puntare su uno stile di leadership
attento alle relazioni, per far leva sulla capacità
di comunicare le proprie ragioni e motivare il
personale. Una prospettiva ottimistica che forse
non si basa su valutazioni realistiche della
capacità degli individui di resistere alla
frustrazione. Tuttavia uno sguardo complessivo
sugli elementi che entrano in gioco nel sistema si
impone per evitare pericolosi errori di
prospettiva e clamorosi insuccessi.
Qualche esempio
Per capirci, basta forse qualche
semplice esempio tratto dall’esperienza
quotidiana a scuola. Non si può motivare il
personale se l’organizzazione complessiva
dell’istituzione mortifica costantemente
le aspettative di chi ci lavora e non basta dotare
le scuole di nuovi strumenti tecnologici se non si
creano le competenze e le condizioni necessarie al
loro utilizzo. Uno sforzo complessivo teso ad
individuare e rimuovere gli ostacoli risulterebbe
certamente più produttivo.
Per comprendere una
possibile applicazione della teoria del campo vi
invitiamo ad una lettura del testo di Domenico
Lipari su come portare elementi
dell’indagine sociologica e psicologica nell’
analisi dell’organizzazione scolastica, partendo
dall’assunto di Lewin che non c’è nulla di più
concreto di una teoria. Le modalità di indagine
proposte da Dewey, Lewin e altri sono state
applicate all’analisi di una segreteria di una
scuola elementare. Il dirigente si trovava davanti
a dilemmi che possono essere affrontati meglio
seguendo la prospettiva sistemica. Il capo
d’istituto di una scuola con più plessi non
sapeva infatti quali strategie adottare
“per migliorare le prestazioni dei singoli e la
performance dell’insieme”.
La relazione e i suoi
problemi.
La relazione nasconde spesso insidie. Secondo
l’assunto centrale della scuola di Palo Alto,
negli Usa, non possiamo non
comunicare. Il testo di Watzlawick
del 1967 Pragmatica della comunicazione
umana delinea i tratti fondamentali di
questa teoria. Tutte le comunicazioni contengono
in sé una forte ambivalenza di cui spesso non
siamo consapevoli, non esistono comunicazioni
neutre o che non dicono nulla.
Prendiamo
l’esempio classico: il rapporto genitore-figlio.
Il genitore può dire al figlio “io voglio che
tu sia indipendente, se te ne vai non mi
dispiace” e dirlo con un tono e un gesto che
sottintende in realtà l’intenzione contraria.
Per converso, un figlio può contestare la
famiglia secondo modalità che lo vincolano ancora
di più alle figure parentali e non fanno che
procrastinare ad hoc la condizione di
dipendenza. Queste comunicazioni sono dette a
doppio legame e sono presenti nelle
relazione, rischiando di asfissiare i
soggetti coinvolti.
Garantire l’immobilismo?
L’individuo può
quindi essere concepito come un sistema
aperto che si differenzia gradualmente. La
famiglia è infatti un sistema organizzato di
interazioni, strutturato dalle comunicazioni
presenti al suo interno. Un sistema che pone
numerose trappole: una dimensione di mimesi, ostile
alla crescita e al cambiamento, sempre temuto
elemento destabilizzante e catastrofico. Si
tratta di quell'atteggiamento psicologico ben
evidenziata dal Gattopardo: "Bisogna
che tutto cambi perché tutto resti come prima". Una
tendenza subdola e difficile da contrastare.
La
teoria di Taylor
La psicologia del
lavoro nasce tra la fine del 1800 e l'inizio del
1900, ad opera di FREDERICK WINSLOW TAYLOR
che elabora un modello di «organizzazione
scientifica del lavoro» (scientific
management, 1911). Lo scientific
management è un insieme coerente di
criteri normativi e di regole pratiche secondo i
quali, ai vari livelli di responsabilità,
l'azienda viene organizzata al fine di ottimizzare
l'efficienza economica.
Il metodo ideato da
Taylor si basava su alcuni aspetti fondamentali:
- one best way (comporre il ciclo
di lavoro in elementi analitici e
ricombinarli nel modo più economico e razionale);
- the right man to the right place (scegliere
l'operaio più idoneo a svolgere il lavoro);
- analytic training (addestrare
l'operaio a lavorare secondo le istruzioni sulla
esecuzione e sui tempi di pausa prefissati);
- differential rates (retribuirlo
in misura adeguata ad ottenere il massimo
rendimento, ossia pagare sopra la media abituale
chi lo raggiunge).
Nonostante l'organizzazione scientifica del lavoro
si diffuse largamente, il cosiddetto taylorismo
comportava alcune conseguenze
psicologiche negative:
- il lavoratore viene estraniato dai gesti del
corpo che per lui non hanno un senso soggettivo;
- l'intelligenza non viene utilizzata;
- il ruolo sociale perde di significato;
- il lavoratore vive l'adattamento al lavoro come
una sottomissione, non come un legame;
- il lavoro viene visto come un male necessario a
cui si partecipa il meno possibile;
- il disinteresse verso il lavoro è una forma di
adattamento.
La
teoria del campo
Nel 1957, Kurt
Lewin teorizza il concetto di “campo”.
La caratteristica peculiare di un campo è
che il comportamento degli elementi in esso
presenti dipende dalla sua configurazione
complessiva che viene determinata dalle
inter-relazioni degli stessi. Di conseguenza,
secondo Lewin, il comportamento
di un individuo è funzione del suo ambiente
contingente (eventi, situazioni, persone, ecc.) e
della sua personalità.
Lewin propone di considerare il
mondo psicologico come un campo, composto da
regioni interdipendenti, le cui componenti
principali sono: la persona e l'ambiente. Il modo
in cui l'uomo si costruisce il proprio mondo varia
a seconda del variare delle sue esigenze e dei
suoi scopi personali. Lewin ritiene
che la percezione che il soggetto ha della realtà
costituisce il punto di partenza per avviare
un’analisi dei processi psichici e della
personalità nel contesto fisico-temporale in cui
si manifestano e nella rete di relazioni che li
determinano.
Quindi, il campo non è altro che tutto ciò che
è presente al soggetto in un dato momento e che
ne determina l’agire, il sentire e il conoscere.
All’interno del campo si distinguono 3
aree fondamentali:
SPAZIO DI VITA (caratterizzato
dai bisogni, dalle motivazioni, dalle mete e dagli
ideali del soggetto);
MONDO FISICO E SOCIALE (fenomeni
che non hanno una diretta incidenza sullo spazio
di vita della persona in quel dato momento);
ZONA DI CONFINE (fenomeni che
agiscono sullo spazio di vita della persona in
quel dato momento).
Questo concetto può essere
rappresentato con la seguente formula:
C = f(P;A)
C corrisponde al comportamento
umano, ed è funzione (f)
di P, la personalità
del soggetto, e di A,
ossia l’ambiente nel quale
vive.
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