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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

 Una riforma a misura di studente

Web Scuola - 1 aprile 2003  


01/04/03 - Intervista all'On. Valentina Aprea, sottosegretario di Stato all'Istruzione, sui contenuti, le sfide e le finalità della riforma della scuola.


Apriamo il nostro viaggio tra i protagonisti della riforma della scuola con un'intervista telefonica all'On. Valentina Aprea, sottosegretario di Stato all'Istruzione, all'Università e alla Ricerca scientifica, gentilmente rilasciata a Webscuola la settimana scorsa.

Onorevole Aprea, ora che la delega è approvata quali saranno le prossime tappe della riforma? Quali saranno i primi decreti attuativi e con quali tempi verranno emanati?

Aspettiamo la promulgazione della riforma per riaprire le iscrizioni e garantire così la prima applicazione nel prossimo anno scolastico nelle classi prima e seconda della scuola primaria. Il primo atto sarà dunque di natura amministrativa, anche perché abbiamo già le coperture finanziarie previste dall’articolo 7 delle Legge Delega. Subito dopo presenteremo alle Commissioni parlamentari i decreti attuativi per primo ciclo, ovvero la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado. Stiamo anche valutando se predisporre immediatamente altri decreti, come l’alternanza scuola-lavoro, o avviare l’attuazione del decreto della formazione degli insegnanti relativo all’articolo 5.

Programmi, contenuti e sistema di valutazione

Naturalmente procede il lavoro di consultazione sulle indicazioni nazionali delle scuole del primo ciclo, quindi i programmi e i nuovi contenuti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria e secondaria di primo grado. Procede anche l’elaborazione dei contenuti dei nuovi otto licei. C’è poi la preoccupazione di predisporre con altrettanta urgenza un decreto per il Servizio Nazionale di Valutazione, perché vorremmo che l’INValSI avesse nuova legittimità ad operare secondo la riforma.

Istruzione e formazione professionale e sistema degli anticipi

Sicuramente avvieremo il confronto con la Conferenza Stato-Regioni e con l’ANCI (Associazione Nazionale del Comuni Italiani) per tutti gli aspetti che riguardano la complessità e il pluralismo legato al federalismo, quelli legati alla creazione del sistema dell’istruzione e della formazione professionale, alle garanzie che occorrono per gli anticipi nella scuola dell’infanzia. Riguardo a questi ultimi, ricordo che il prossimo anno saranno limitati ai casi in cui saranno soddisfatte alcune condizioni di fattibilità.

La sperimentazione alle elementari è ormai avviata e forse è già possibile tentare un primo bilancio provvisorio. Quali sono le luci e le ombre di questa esperienza?

Per ora conosciamo le luci, nel senso che i monitoraggi nazionali e regionali stanno dando degli esiti estremamente favorevoli a tutte le introduzioni che, ricordiamo, hanno riguardato l’insegnante tutor, la personalizzazione dei piani di studio ovvero il portfolio delle competenze, l’introduzione dell’inglese e dell’informatica fin dal primo anno, ossia tutta l’attività svolta in laboratorio secondo quanto previsto dalle indicazioni nazionali.

Le ombre

Certamente le ombre, se così vogliamo dire, riguarderanno l’estensione di tutti questi istituti alla totalità delle scuole: chi si è candidato alla sperimentazione era già orientato verso questi principi e soprattutto disponeva già delle strutture e delle modalità organizzative necessarie, ma direi anche delle persone giuste al posto giusto. Estendendo principi ed organizzazione alla totalità delle classi prime non c’è dubbio che dovremo prevedere, per esempio, una formazione iniziale per tutti i docenti che andranno ad affrontare da un parte la figura tutoriale e dall’altra l’introduzione del portfolio delle competenze. Non meno problematico sarà anche dover estendere, fornendo garanzie, l’insegnamento dell’inglese e dell’informatica.

Le prospettive

Sappiamo che potremo andare incontro a delle difficoltà, ma le stiamo studiando e prevedendo. Lo scopo delle attuali operazioni congiunte Ministero e Istituti nazionali della formazione (INDIRE e IRRE), è garantire ai docenti la giusta serenità per poter applicare la riforma già dal prossimo settembre.

Tra le novità presenti nella delega vi è l'istituzione dei licei economico, tecnologico e musicale. Si sa già quali discipline caratterizzeranno i piani di studio dei nuovi licei?

Per il momento no: la commissione dei 260 esperti chiamati dal Ministro Moratti, l’Amministrazione e i vari Istituti che insieme a noi stanno lavorando su questa ipotesi, fino ad ora hanno prodotto solo il profilo in uscita unitario e il profilo degli otto licei. Comincia ora il lavoro di elaborazione degli obiettivi generali e specifici, che saranno anche disciplinari. L’individuazione delle discipline ed il numero di ore sarà l’ultima tappa di questo percorso.

Facciamo un esempio: il liceo economico assomiglierà di più a uno scientifico o a un classico, oppure a un ITC?

Certamente esiste una tradizione in tal senso negli Istituti Tecnici Commerciali, ma è con soddisfazione che posso dire che il Liceo economico è un corso di studi assolutamente nuovo, che crea delle nuove prospettive di formazione iniziale e di formazione superiore ed accademica. Sarà davvero una risorsa in più dei licei italiani.

Quale sarà il destino degli Istituti tecnici? Diversi docenti e dirigenti di queste scuole temono che, con l'istituzione del doppio canale, si perderà la specificità e il patrimonio di esperienze di questo indirizzo di studi. Cosa risponde a chi nutre tali timori?

Rispetto all’istruzione tecnica e professionale stiamo prevedendo un allargamento delle possibilità di formazione dei giovani, prospettando dei percorsi più lunghi e altri più brevi. Questo significa che chi vorrà iniziare un percorso medio-lungo, cioè formato da cinque anni di istruzione liceale e tre o cinque anni di istruzione accademica o di formazione tecnica superiore, avrà davanti a sé la possibilità di scegliere il Liceo tecnologico e prendere la prima qualifica professionale dopo otto anni, con la formazione tecnica superiore o con la laurea.

Il caso Agraria

Facciamo un esempio con il percorso in Agraria: attualmente esiste un Istituto tecnico agrario che dopo cinque anni crea i Periti agrari. Oggi l’Unione Europea afferma che per conseguire il titolo di Perito occorre aver seguito un percorso superiore e uno di formazione tecnica superiore universitaria di tre anni: dunque, non è possibile essere Periti dopo soli cinque anni.

Nel caso specifico, i Licei tecnologici potranno avere una "curvatura" agraria: dopo tre anni di formazione tecnica superiore i ragazzi diventeranno periti, oppure dopo tre anni potranno prendere la prima laurea in Agraria. Così pure, se sono interessati a profili che richiedono percorsi più brevi, potranno confluire nell’istruzione e formazione professionale regionale e conseguire una qualifica dopo tre anni: ciò significa che a 17 anni potranno già “spendere” il loro titolo, sapendo che in qualsiasi momento potranno riprendere a studiare per una qualifica superiore, frequentando il quarto e il quinto anno, e la stessa formazione tecnica superiore.

Allargare le opportunità

Stiamo semplicemente allargando lo spettro delle opportunità, sapendo che non abbiamo bisogno di dare a tutti la stessa formazione e gli stessi percorsi, ma che ciascuno deve poter scegliere il percorso e la dose di impegno più adeguati alle proprie attitudini ed inclinazioni: in una fase della vita si può scegliere di applicarsi in modo più pratico per poi ritornare a studiare, oppure fare il contrario.

Formazione continua

I ragazzi di oggi sono più fortunati di quelli di ieri: l’epoca post-fordista in cui ci troviamo non distingue più un momento della vita in cui si studia ed un altro in cui si lavora. Al contrario, è possibile alternare momenti di lavoro a momenti di studio e viceversa. Per questo la riforma prevede anche l’alternanza scuola-lavoro con una possibilità di passaggi, di reversibilità delle scelte e di orientamento che vale per tutto l’arco della formazione.

Obiettivo studente

Insomma: stiamo semplicemente ampliando le possibilità di formazione e di istruzione. I docenti e i dirigenti possono stare tranquilli, perché le norme transitorie cureranno questo passaggio, tutelando i diritti di chi è già nel sistema vigente. Noi, però, nell’elaborazione della legge e nella sua applicazione, abbiamo voluto e vogliamo tenere al centro lo studente e le sue esigenze di formazione prima, e di inserimento nel mondo del lavoro poi, e adeguare le istituzioni e i luoghi formativi alle esigenze di professionalità e di formazione a tutti i livelli.

In quale modo la riforma intende promuovere la partecipazione delle famiglie e degli alunni alla vita della scuola?

La riforma punta molto sulla responsabilità personale dei ragazzi: infatti, introduce il concetto di personalizzazione dei piani di studio, che vede un protagonismo assolutamente nuovo degli studenti e delle famiglie, che potranno modificare parti di percorso dell’istruzione e della formazione in base alla libertà di scelta di cui disporranno. Mi riferisco alla flessibilità interna ai percorsi, alle quote opzionali facoltative dei piani di studio, che proprio per questo saranno personalizzati, all’orientamento continuo, al sistema dei crediti, alla reversibilità delle scelte e, soprattutto, alla grande rivoluzione che, speriamo, sarà legata al portfolio delle competenze.

La certificazione delle competenze

Non è più soltanto la certificazione della frequenza di un percorso, ma la certificazione personale del percorso, a garantire quello che un ragazzo sa, sa fare o saprà essere. Attraverso il portfolio delle competenze si dirà quello che è legittimo attendersi da quel ragazzo, e solo da lui, dopo la frequenza di un certo numero di anni o di istruzione o di formazione professionale: sarà la certificazione a seguire l’alunno, non l’alunno la scuola.

Altre novità riguardano la formazione e il reclutamento dei docenti. Il mondo della scuola sembra ancora scosso dalla vicenda delle abilitazioni, con lotte combattute a colpi di ricorsi. Creare un nuovo canale di reclutamento non equivale ad aprire un nuovo fronte di battaglia, con nuovi contenziosi tra coloro che detengono abilitazioni conseguite secondo modalità così diverse?

Innanzitutto, questa è la terza legge che interviene sul reclutamento universitario dei docenti: le prime tracce risalgono addirittura al 1974 quando, col Decreto delegato 517, si era già affermato il principio che la formazione dovesse essere universitaria anche per gli insegnanti di scuola materna ed elementare e che dovesse esistere una specializzazione all’insegnamento. In realtà, questa legge ha trovato applicazione soltanto dopo vent’anni quando, col Decreto 509 - Ministro Berlinguer, sono partite le prime Scuole di specializzazione all’insegnamento ed i primi corsi di Scienza della formazione primaria. Sono quindi state create le SSIS e sono state conferite le prime abilitazioni proprio attraverso la formazione universitaria.

Cosa cambia con la riforma

La nuova legge interviene su questo filone e ribadisce che la prima formazione dev’essere universitaria: abbiamo solo adeguato la formazione e la specializzazione all’insegnamento alla nuova articolazione universitaria. Anziché esserci la laurea più la specializzazione, prevediamo la prima laurea più la laurea specialistica (3+2) anche per gli insegnanti.

Armonizzarsi con l’Europa

Sappiamo che ci sarà una lunga fase transitoria che vedrà i docenti privi di questa abilitazione universitaria andarla ad acquisire, magari con percorsi abbreviati. Ciò detto, sappiamo anche che non avevamo scelta: la necessità di armonizzare il nostro sistema educativo con i sistemi educativi europei ci ha indotto a percorrere con decisione questa strada, anzi, a prevedere anche il tirocinio obbligatorio nelle scuole prima della immissione in ruolo. Siamo consapevoli delle difficoltà a cui andiamo incontro ma, come già detto, la strada che abbiamo imboccato non aveva alternative.

Il successo di una riforma passa anche dal consenso che riscuote presso il personale della scuola. I tagli di organico previsti e la prospettiva che, con la formula del 4+1, si riducano i posti nelle classi quinte dei professionali, non favoriscono l'ostilità verso la riforma? Non si rafforza così l'idea di una riforma finanziata con il sacrificio del posto di lavoro di molti insegnanti e Ata?

Innanzitutto io mi auguro che il consenso passi nel Paese rispetto alle prospettive che stiamo creando per i ragazzi, e non per chi è già nel sistema che, ripeto, sarà coperto dalle norme transitorie e non vedrà quindi calpestati i diritti acquisiti.

Gli interventi previsti con leggi finanziarie, invece, attengono all'ambito della macroeconomia: attualmente siamo sovradimensionati, secondo tutte le statistiche e parametri comparativi internazionali. Si sta tentando un'opera di ri-qualificazione e ottimizzazione della spesa, sulla base del numero di studenti e sulla base delle esigenze effettive delle scuole. Nel tempo, infatti, sono stati creati meccanismi di determinazione degli organici che hanno portato ad avere una scarsa coerenza tra risorse umane assegnate ed esigenze formative, creando così - oltre ad inefficienza- pure inefficacia.

Il turnover

Detto questo, esiste un discorso che attiene al turnover. Noi sappiamo che tra qualche anno molti insegnanti, quasi il 50%, andranno in pensione: prevediamo, quindi, un grande momento di rinnovo del personale docente.

Quantità o qualità?

Sappiano anche che dobbiamo lavorare per garantire una presenza di qualità e non soltanto di quantità, perché l'equazione "più docenti = più qualità" non funziona e non ha funzionato in questi anni, se valutiamo il tipo di conoscenza dei nostri studenti che, come ci dicono le rilevazioni internazionali, è tra i peggiori. I nostri ragazzi sono classificati tra il 23° e il 26° posto su 32 Paesi economicamente avanzati nella conoscenza di materie quali la prima lingua, quindi l'italiano, la matematica e le scienze. Questo può non significare nulla se non si vuol dare importanza alle rilevazioni statistiche internazionali, oppure costringe a ripensare all'uso sin qui fatto delle risorse, quasi totalmente impiegate in personale, docente e non.

Per questo io vorrei veramente che il dibattito pubblico cominciasse ad occuparsi della qualità dell'insegnamento, e quindi degli insegnanti e dell'efficacia educativa dell'insegnamento, e non più o non soltanto di quanti insegnanti vengono occupati e degli organici che saranno rivisti.
   

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