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Ora
si preparano a chiudere 2000 scuole. La spiegazione? Ci
costano troppo
di
Mariagrazia Gerina
L’Unità – 6 settembre 2002
Ogni
dieci alunni, anzi ogni 9,5 per l’esattezza, un posto
di lavoro e non uno di più. È questo il nuovo
parametro che a Viale Trastevere stanno mettendo a punto
in vista della prossima Finanziaria e di nuovi tagli. In
piena estate, 2003 scuole sparse per la penisola si sono
ritrovate sulla lista nera che il ministero ha
commissionato per evidenziare sprechi e diseconomie
della scuola italiana. Si tratta di istituti per
sordomuti, scuole isolate tra i monti nate per garantire
il diritto allo studio ad un pugno di studenti, istituti
professionali, scuole all’avanguardia nelle
sperimentazioni dell’autonomia scolastica. Tutte
accomunate dal mancato rispetto di un criterio finora
inedito (il rapporto puramente numerico tra alunni e
docenti) e che per questo potrebbero rischiare se non la
chiusura, almeno il ridimensionamento. La campanella
comunque, quest’anno, suonerà anche per loro. Fino ad
oggi, il ministero si è limitato a consegnare
l’elenco alle singole direzioni regionali, con la
richiesta di procedere ad ulteriori verifiche. Eppure il
tam tam, prima ancora della riapertura dell’anno
scolastico, ha già fatto il giro di tutta la penisola.
«Se a certe realtà togli la scuola non resta più
nulla», dice allarmato uno dei tanti presidi sardi che
al ritorno dalle vacanze si sono ritrovati sotto esame.
L’istituto comprensivo che dirige è dislocato tra
Busachi, Ulatirso, Fordungianus, tre paesini dell’oristanese
che contano tutti insieme poche migliaia di abitanti. «La
mia scuola ha già subito una razionalizzazione alcuni
anni fa e infatti. Ora non c’è più nulla da ridurre:
i bambini di Ulatirso sono già costretti a spostarsi
pulmino fino a Busachi per frequentare la media. Per
arrivare a Oristano dovrebbero fare cinquanta
chilometri. Senza la scuola ribadisce a Busachi non
resterà più nulla, solo una grande caserma e un
carcere mai entrato in funzione». Prospero Cascini,
invece, è preside di un istituto comprensivo che sorge
nel parco del Pollino, nel cuore della montuosa
Basilicata. La sua scuola è la seconda della lista. «Ma
il calcolo matematico non tiene conto della realtà»,
si ribella: «I centri più vicini, Lagonegro e Lauria,
sono ad oltre 40 Km e con una strada tortuosa da
percorrere. La scuola di Castelsaraceno è nata
all’interno di un progetto di valorizzazione e tutela
del territorio montano. Se questo spirito è finito
diciamolo e chiudiamo oggi la scuola, domani l’ufficio
postale e trasferiamoci tutti a valle. Non è pensabile
fare come per l’ospedale, che per trovarne uno devi
passare il valico dell’Armizzone». Le realtà di
montagna, in Basilicata come nel Carso o nel Trentino,
sarebbero tra le più penalizzate se il parametro
fissato da viale Trastevere, dovesse diventare
operativo. Così come le scuole speciali, le scuole di
lingua slovena e tutti gli istituti tecnici, iscritti in
massa tra le scuole da sottoporre a verifica. «Abbiamo
una spada di Damocle sulla testa e non so immaginare con
quale spirito organizzeremo il nostro lavoro nei
prossimi giorni», confessa il preside dell’istituto
tecnico nautico di Cagliari, il più importante della
Sardegna. «Mi sembra assurdo dice dover giustificare
l’importanza di un istituto nautico in una città di
mare come Cagliari, una delle poche scuole che dà
immediatamente lavoro e che impiega un numero più
elevato di insegnanti per organizzare percorsi
articolati in laboratori, lezioni, stage finalizzati al
lavoro». Si ritrovano nell’elenco, i mega-istituti di
città, come l’Iti Malignani di Udine che con 2158
alunni è il più grande d’Italia, oppure scuole più
piccole che alle spalle hanno uno storia non
riconducibile ai grandi numeri. È il caso
dell’Istituto d’Arte di Deruta, cittadina che conta
8mila abitanti e una tradizione nella produzione della
ceramica. «Quarant’anni fa la nostra scuola, con
l’indirizzo in ceramica, è nata proprio in rapporto a
questa realtà e oggi scopriamo che conta di più essere
dentro a parametri numerici piuttosto che in sintonia
con il territorio, perché riprendesse vita
l’artigianato, l’arte e per formare nuovi artigiani
che fossero anche teste pensanti», spiega la
vicepreside, Tonina Cecchetti. Al destino della sua
scuola, sono accomunati quasi tutti gli istituti
d’arte della penisola, compreso lo storico liceo
artistico di Via Ripetta a Roma. «Si tratta solo di uno
studio preliminare», rassicurano dal ministero. Eppure
il sottosegretario Valentina Aprea, in un’intervista
estiva al Mattino di Napoli ha detto chiaramente che in
gioco c’è «la definizione degli organici per il
prossimo anno», precisando che si interverrà laddove
«il numero superiore di docenti non è giustificato».
Il criterio, in ogni caso, spiegano i direttori
regionali, alle prese in questi giorni con le verifiche
richieste dal ministero, è del tutto inedito e finora
l’indagine ha dato esito negativo. In ogni caso,
ricordano, «l’istituzione, l’aggregazione, la
soppressione delle scuole è competenza delle Regioni e
degli enti locali».
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