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PERCHÉ
QUESTA SETTIMANA LA SCUOLA SCIOPERA
CULTURA IN SVENDITA
La
Stampa – 15 ottobre 2002
OGGI
si apre una settimana di intensa attività sindacale
della scuola italiana: scioperano i sindacati dei
docenti di varie sigle. E venerdì gli insegnanti della
Cgil parteciperanno allo sciopero generale indetto dalla
loro organizzazione. Al centro delle agitazioni ci sono
rivendicazioni che sarebbe sbagliato trascurare. Sia
perché la scuola è, come la giustizia e la sanità,
una questione di interesse così generale da non dover
lasciare indifferente nessun altro cittadino; sia perché,
con la crisi che colpisce la più grande industria
italiana, la questione della scuola, dell'università,
della ricerca, non è fuori tema, non è meno urgente
(se non altro perché è molto più cronica), e si svela
in tutta il suo peso fondamentale. I 77 rettori di tutte
le università statali italiane che hanno annunciato le
loro dimissioni se la legge finanziaria non cambierà, i
15.000 ricercatori che hanno protestato contro i tagli
ai fondi per la ricerca, il Cnr che ha annunciato di
dover ridurre drasticamente i suoi programmi
(praticamente limitandosi a far fronte alle spese
obbligatorie), e ora i docenti delle scuole di ogni
ordine e grado che - senza distinzione di opinioni
politiche - manifestano la loro opposizione alla
politica scolastica del governo, non parlano d'altro
rispetto alla crisi della Fiat. Ne toccano solo uno dei
punti più rilevanti e davvero concernenti tutta la
società nazionale. Chi si preoccupa giustamente di non
lasciare «andare via» l'industria dell'automobile dal
nostro Paese non pensa soltanto, com'è ovvio, al
destino delle decine di migliaia di lavoratori che
vedono messo in pericolo il loro posto e il loro
salario; ma insiste anche sul significato traente che
l'industria dell'auto ha sempre avuto e ha per la
ricerca e per l'innovazione tecnologica di tutti i
settori della nostra vita associata. Quello che è in
gioco nella difesa dell'industria come nella
rivendicazione di maggiori fondi per la scuola, la
ricerca, l'università è la stessa cosa, cioè il
futuro del nostro Paese che, senza una potente ripresa
della scolarizzazione e della ricerca, rischia di cadere
nel baratro dei paesi in via di (sotto)sviluppo.
Diventeremo un paese di mano d'opera sussidiaria,
dequalificata, e potremo attrarre investimenti solo
offrendo salari sempre più bassi, facendo così
concorrenza alla Cina, all'India (che peraltro si stanno
attrezzando molto più di noi sul piano delle produzioni
di qualità), a quel terzo mondo da cui ci sentiamo
(ancora per quanto?) abissalmente lontani. Che cosa
insegneranno i nostri licei che, con la parificazione di
una massa di istituti privati, sono ormai nella
condizione di vendere i diplomi a chi ha i soldi per
comprarli, alla faccia della qualità? E per quanto
tempo ancora i nostri ricercatori, come il professor
Giaccone premio Nobel per la fisica, dovranno andare a
lavorare all'estero, mettendo a disposizione di
istituzioni e industrie straniere i risultati anche
tecnologici delle loro ricerche? Bisognerà pure che,
tra una legge sulla depenalizzazione del falso in
bilancio e una per salvare Previti dal suo processo, il
governo ci pensi.
Gianni
Vattimo
europarlamentare
Ds
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