TANTI
DANNI, POCHI BENEFICI
Messaggero
- 6 dicembre 2002
di
GAETANO QUAGLIARIELLO
NELLA
FAVOLA “i vestiti dell’imperatore" è un
bambino ad accorgersi che il re, che tutti
osannavano per la beltà dei suoi vestiti, era, in
realtà, nudo. Nella vicenda politica della
cosiddetta devoluzione è accaduto qualcosa di
simile. Il Presidente della Repubblica Ciampi ha
ricordato i rischi ai quali va incontro un Paese
che rinunci ad una funzione centrale d’indirizzo
nell’ambito dell’istruzione. Il Presidente del
Senato Pera gli ha fatto eco intervenendo
nell’aula di Palazzo Madama, mettendo, per di più,
in evidenza che quei rischi sono già presenti
nella nostra Carta Costituzionale a causa del
terzo comma dell’attuale articolo 116,
approvato, alla fine della scorsa legislatura, con
la riforma del titolo V. Quest’articolo,
infatti, prevede già la devoluzione e, dunque, la
possibilità di forme di autonomia differenziata
tra diverse parti del Paese. Il passaggio è di
tale rilevanza che merita spendere qualche rigo
per parafrasarne il testo legislativo, affinché i
lettori - come il bambino della favola - possano
credere a quel che vedono. L’articolo 116
prevede, infatti, che ogni regione possa chiedere
la competenza legislativa esclusiva per tutte le
materie di legislazione concorrente (tra le quali,
ad esempio, tutela e sicurezza del lavoro; tutela
della salute; grandi reti di trasporto;
armonizzazione dei bilanci pubblici, eccetera)
nonché per alcune materie di legislazione
esclusiva dello Stato tra cui le norme generali
sull’istruzione. E, in questi casi, non serve
neppure una legge costituzionale: basta un
provvedimento approvato a maggioranza assoluta
dopo una sola lettura.
Tra la favola e la realtà vi è, però, una
differenza essenziale. Nella finzione, è
l’ingenuità di un bimbo che scopre la verità e
mette a nudo ciò che i più si rifiutavano
ostinatamente di constatare. Nella realtà,
invece, questo ruolo lo hanno svolto le massime
cariche dello Stato.
Esse hanno assunto sulle loro spalle l’onere
d’indicare alle forze politiche le comuni
responsabilità, dalle quali maggioranza ed
opposizione cercano entrambe di sfuggire. Non è
un buon segnale, perché evidenzia lo iato che
sempre più spesso va aprendosi tra la politica e
la realtà delle cose.
Si
è assistito, in questi giorni, all’ulteriore
fase di una partita che si prolunga ormai da
qualche anno: il tentativo di assumersi la
bandiera del federalismo ad ogni costo, senza
riflettere sugli squilibri istituzionali, le
duplicazioni burocratiche e l’ampliamento della
spesa che tale cambiamento potrebbe arrecare. E,
pertanto, senza porre il problema della riforma
del bicameralismo e la creazione di una Camera
delle regioni, invece indispensabile per evitare
che la riforma federalista si esaurisca in risse e
conflitti. E’ questa una partita tutta quanta
ideologica. I problemi reali - creati dalle
passate riforme non meno che da quelle che si
annunciano - restano sullo sfondo. Non vengono
neppure poste in discussione né vi è alcuna
ricerca di soluzioni ispirate al cosiddetto bene
comune.
Il Senato, in particolare, ha sprecato sei mesi,
durante i quali il provvedimento sulla cosiddetta
devolution è rimasto giacente in Commissione
Affari Costituzionali. Questo lasso di tempo non
è bastato alla maggioranza di ieri, che
solitariamente aveva approvato il titolo V, per
riconoscere i limiti e le necessarie correzioni
della propria riforma. Non è stato, però,
neppure sfruttato dalla maggioranza di oggi per
fare avanzare le proposte di correzione, che pure
aveva annunciato.
E tutto ciò, nonostante i reiterati e pressanti
appelli del Presidente del Senato. In tale
contesto, la considerazione di ben due ministri
che cambiamenti sostanziali vi saranno solo alla
Camera, dopo l’approvazione da parte del Senato
del testo attuale, suona come una messa in mora
ancor più che come un oltraggio al Senato. C’è
d’augurarsi solo che gli interventi delle
massime cariche dello Stato abbiano svegliato
partiti e schieramenti dal sonno della ragione e
sconfitto il riflesso condizionato verso la rissa.
Prima che la riforma venga approvata vi potranno
essere ancora almeno due letture da parte della
Camera ma anche dello stesso Senato. Non vorremmo
proprio che questo tempo fosse ulteriormente
sprecato, per dare corpo e voce ad uno scontro
senza costrutto e senza effettivi contenuti. I
parlamentari - in questo caso senza distinzione di
schieramento - devono tornare ad interpretare
l’alta funzione d’indirizzo che spetta loro.
Glielo impone il bene del Paese; glielo chiedono i
loro elettori.
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