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QUEL
TRISTE BALLETTO DELLE CIFRE
Il
Messaggero – 21 ottobre 2002
di
CLAUDIO ALO’
Quello che più colpisce dello sciopero generale messo
in atto ieri dalla sola Cgil (non succedeva da
quarant’anni) è la pesante venatura di reciproco
risentimento che ha caratterizzato le dichiarazioni dei
leader della Cisl e della Uil da una parte e del
successore di Cofferati dall’altra. Probabilmente era
inevitabile, dopo tanti mesi di polemiche e di
reciproche accuse, ma fa ugualmente una certa
impressione sentire Pezzotta e Angeletti che, non solo
definiscono nuovamente lo sciopero di ieri «inutile e
dannoso», ma tagliano addirittura drasticamente le
cifre delle adesioni dichiarate dalla Cgil come fanno di
solito la Confindustria e le forze dell’ordine. E
stupisce, quantomeno, che Guglielmo Epifani, al quale si
attribuiscono grandi capacità di mediazione e obiettivi
di ricucitura, torni a rimproverare duramente alle altre
Confederazioni l’errore di aver firmato il Patto per
l’Italia. A cose fatte una maggiore diplomazia da ambo
le parti non avrebbe guastato e avrebbe forse reso meno
difficile un riavvicinamento delle tre componenti
sindacali in un momento drammatico per l’economia e
per il mondo del lavoro.
Detto questo lo sciopero generale di ieri presenta
aspetti singolarmente contraddittori. Vediamo subito
perché.
Al di là delle reali cifre degli scioperanti è stata
una indubbia manifestazione di forza, di unità, di
capacità organizzativa di quello che resta il più
forte sindacato italiano. La Cgil di Cofferati e di
Epifani ha dimostrato ancora una volta di essere in
grado, anche da sola, di costituire un solido punto di
riferimento per una gran parte dei lavoratori e per una
bella fetta degli elettori del centro sinistra nel suo
attacco alla politica del governo. Di essere capace,
insomma, di svolgere proprio quel ruolo politico che la
maggioranza e gli altri sindacati gli rimproverano da
tempo. Ma la manifestazione di forza politica della Cgil
si è anche rivelata una manifestazione di debolezza
sindacale delle tre Confederazioni che, ad uno degli
appuntamenti più difficili degli ultimi decenni, si
presentano oggi ancora più spaccate e incapaci di
spingere la politica economica e occupazionale del
governo verso soluzioni comuni e concertate.
Le
motivazioni con le quali quattro mesi fa Cofferati
decise di usare l’arma fatale dello sciopero generale
erano forti e di grande presa sul popolo di sinistra e
forse non solo di quello. Si puntava a difendere i
lavoratori dal rischio di essere licenziati senza giusta
causa e dal pericolo di una successiva erosione di altre
consolidate conquiste sindacali. Si combatteva contro la
saldatura di un fronte fra il governo di centro - destra
e la Confindustria di D’Amato e soprattutto contro il
tentativo di questo fronte di isolare la Cgil
tagliandola fuori dal dialogo con gli altri sindacati.
Era dunque, allora, una decisione forse discutibile ma
con solide argomentazioni. Difficile dire se più
politiche o sindacali. A distanza di quattro mesi, però,
lo scenario è completamente cambiato. L’articolo 18
dello Statuto dei lavoratori è finito in naftalina e
forse ci resterà, il fronte governo - Confindustria è
andato in frantumi, la Finanziaria è contestata dai
sindacati, dagli industriali, dall’opposizione e anche
da una parte della maggioranza, il quadro economico si
è andato deteriorando giorno per giorno mandando per
aria i progetti, le speranze e le promesse di Berlusconi
e di Tremonti. Fare ugualmente lo sciopero in queste
condizioni, riempiendolo ogni giorno di nuove
motivazioni, è stato probabilmente inevitabile, visto
il prolungato impegno personale di Cofferati, ma anche
inutile e privo di effetti pratici. Come a dire: lo
sciopero della Cgil è riuscito ma adesso?
Che senso e che logica sindacale hanno, quale disegno
strategico mostrano, a sciopero ormai fatto e
archiviato, le asprezze da nemici di classe che si sono
scambiati ieri i leader confederali? Come pensano, su
questo terreno di rovine fumanti, Epifani, Pezzotta e
Angeletti di affrontare l’esplosione della crisi alla
Fiat, la crescita dell’economia quasi vicina allo
zero, la progressiva perdita di competitività
dell’industria italiana, l’inflazione che cresce più
della media Ue, la nuova emarginazione che minaccia il
Sud? La loro statura sindacale, da oggi, si misurerà
proprio dalla capacità di fare dimenticare in fretta le
contraddizioni e le inutili contrapposizioni del 18
ottobre.
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