EDITORIALE N. 4 - 12 giugno 2000

LE NOZZE CON I FICHI SECCHI

di Paolo QUINTAVALLA

Sul "Sole 24 ore" di lunedì 5 giugno 2000 è stato pubblicato un articolo di Andrea Casalegno ("Stipendio alto? Solo se di accompagna a veri poteri") che esprime in modo breve e brutale l'attuale triste situazione del nostro Contratto così sintetizzabile:

  1. Sarà un contratto difficile
  2. La difficoltà non deriva dal reperimento dei 220 - 250 miliardi necessari per equiparare le retribuzioni dei presidi e dei direttori didattici a quelle degli altri dirigenti pubblici (si tratterebbe di 22 - 25 milioni l'anno pro-capite)
  3. I problemi reali da superare e i nodi da sciogliere sono politici e cioè i POTERI del dirigente scolastico e il CONSENSO degli insegnanti
  4. Uno stipendio alto, realmente da dirigente, presuppone poteri e responsabilità reali, diversi da quelli attuali di "primus inter pares"
  5. I docenti non saranno presumibilmente entusiasti di un aumento di 20 milioni l'anno per i dirigenti
  6. "I Dirigenti sono 10.000, gli insegnanti 740.000. Un forte aumento ai primi è possibile. Ma rischia di far esplodere la protesta per l'aumento - impossibile, se consistente - negato ai secondi."

Si tenga conto che il quotidiano della Confindustria è un organo assolutamente autorevole e sempre bene informato. Il significato di questo articolo, tanto breve e apparentemente modesto da passare quasi inosservato, è che questa è l'aria che tira nella fase attuale. Significa, in sostanza, l'intenzione di fare le nozze con i fichi secchi. Significa che la nostra categoria sarà sacrificata sull'altare delle convenienze politiche, delle immancabili furbizie e dei fiancheggiamenti sindacali e delle già sbandierate compatibilità economiche (sulla nostra pelle, però)!

Questa situazione mi riporta alla memoria un ricordo bruciante. Circa 14 anni fa doveva essere rinnovato il "contratto della vergogna" dei docenti, che vide poi nascere i Cobas della scuola. Allora ero insegnante impegnato in una convinta militanza all'interno di un sindacato confederale. Il contratto era scaduto da quasi due anni, non esisteva piattaforma rivendicativa e non provenivano segnali da Roma. Un giorno, finalmente, tutti i membri dei direttivi sindacali dell'Emilia Romagna furono convocati a Bologna. Tema all'od.g. il rinnovo contrattuale. Relatore l'allora segretario nazionale del sindacato scuola. Partecipai carico di giovanili quanto ingenue speranze. L'incontro tanto atteso, purtroppo, si trasformò in una farsa allucinante. Ricordo ancora i termini precisi con cui esordì quel tristo segretario: "Ragazzi, sul contratto non c'è ancora una virgola. Comunque, quello che passa il convento sarà una miseria. Fate digerire voi la pillola alla base" . Mi sentii sprofondare, come se fossi stato atterrato da un pugno a freddo sullo stomaco. Il relatore, invece, incurante delle proteste, continuò a parlare d'altro, di innovazioni tecnologiche e di impegno per la scuola pubblica, scoperte dell'acqua calda, insomma. Dopo alcuni mesi il contratto si chiuse davvero con la "miseria" preconizzata e l'ineffabile segretario nazionale ebbe l'impudicizia di emettere un comunicato ufficiale in cui esprimeva "soddisfazione al cento per cento" per l'esito di quel contratto che tutti consideravano infausto e rovinoso. Anche l'allora segretario provinciale del sindacato ripetè come un pappagallo il giudizio che veniva da Roma, senza ascoltare le proteste che provenivano dalla base dei docenti. Alcuni giorni dopo mi dimisi dal sindacato e rinunciai a tutte le cariche.

Mi sono dilungato nel ricordo perché può essere considerato paradigmatico di come in certi ambienti sindacali la dottrina delle compatibilità può essere brandita come un capestro rispetto a legittime aspettative delle categorie. E' avvenuto nel passato, potrà ripetersi nel futuro. Questa dottrina è evidentemente naturale se espressa in ambito governativo, diventa proditoria se assunta da coloro che dovrebbero tutelare i legittimi interessi dei dirigenti, in base a principi di equità. E' comprensibile sulla bocca o nei pensieri di un ministro, è incomprensibile sulla bocca o nei pensieri di un sindacalista.

Questo non significa una sterile, inutile e assurda contrapposizione con le legittime istanze dei docenti e degli altri operatori scolastici. Questo non significa essere corporativi. E' sicuramente da rifiutare il corporativismo ma questo non significa accettare il corporativismo degli altri a nostro danno. Occorre avere ben chiaro che il punto di riferimento delle nostre rivendicazioni economiche non è e non potrà essere la retribuzione dei docenti, che pure dovrà essere progressivamente adeguata verso parametri europei, ma la retribuzione degli altri dirigenti del pubblico impiego, omologhi per la funzione esercitata.

I docenti non saranno entusiasti degli eventuali sostanziosi aumenti retributivi dei dirigenti? Occorre ricordare loro che non togliamo nulla di quanto è ad essi dovuto e che gli aumenti sono riferiti all'esercizio di una nuova e specifica funzione, quella dirigenziale, appunto. Non dispongo di dati ufficiali relativi alla comparazione storica tra le retribuzioni dei docenti e dei dirigenti. Tuttavia posso avanzare un'esperienza personale che vale, certamente, come dato empirico. Conosco un amico direttore didattico, entrato nel ruolo direttivo nell'anno 1971, che passò dallo stipendio di 100.000 lire come maestro allo stipendio di 250.000 lire come direttore. Trenta anni fa ebbe un aumento retributivo del 150% nel passaggio di ruolo, oggi il differenziale non supera il 30% pur avendo i direttori acquisito il ruolo di dirigenti!

I nostri ministri Amato, Bassanini, De Mauro e Visco faranno la politica della lesina sulla nostra pelle? Il Governo, con l'atto di indirizzo all'ARAN, ci dirà in pratica che le "compatibilità" economiche non consentono aumenti retributivi dignitosi e adeguati alla nuova funzione attribuita? Ci diranno che non sanno dove trovare le risorse per il nostro contratto? Noi risponderemo che dovevano pensarci prima, che sapevano da sempre che la funzione dirigenziale implica necessariamente una retribuzione adeguata. Verrebbe voglia di dire: "O ci date i soldi o, in caso contrario, rinunciamo alla funzione". Non vogliamo essere dirigenti dimezzati!

Questo Contratto è anche un banco di prova. Vedremo chi si dimostrerà coerente con i principi solennemente professati nelle linee rivendicative e chi difenderà in concreto gli interessi legittimi, le aspirazioni e le attribuzioni di ruolo dei dirigenti scolastici.

Per parte mia mi permetto di formulare una modesta proposta: se l'offerta dovesse sconfinare nell'elemosina, come tutto sembra lasciar prevedere, pudore vorrebbe che si rispedisse al mittente come inaccettabile e indecente. Non abbiamo bisogno di elemosine ma rivendichiamo il coerente riconoscimento di un ruolo, strategico per l'innovazione del sistema scolastici italiano, che di fatto già esercitiamo. Spero che ci pensino bene, quindi, prima di firmare i rappresentanti sindacali di qualsiasi sigla perché un tradimento sostanziale delle attese si tradurrebbe sicuramente nella restituzione in massa delle deleghe.

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