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«Scuola
pubblica insostituibile, aprirla a tutti»
Ciampi agli studenti: è il motore dello sviluppo, qui
gli stranieri possono divenire partecipi dei nostri
valori
Corriere
della Sera – 19 settembre 2002
ROMA - La vera riforma della scuola? In primo luogo
renderla «aperta a tutti», dice Ciampi, ciò che
ancora non si è fatto. Di tutti, «secondo quei princìpi
di garanzia di diritto all’istruzione e all’equità
sociale che sono propri della sua funzione pubblica».
Farla poi diventare «motore dello sviluppo» e
aggiornarla, in modo che formi «le nuove professionalità
richieste oggi». Imporle un salto di qualità, ma con
prudenza rispetto a certe smanie di indirizzi plurali
(di privatizzazioni laiche o confessionali, o di
arcifederalismo), perché pur fra tante difficoltà «il
sistema scolastico nazionale ha contribuito più
d’ogni altra istituzione a costruire una Patria unita».
Va dunque «rafforzata la sua insostituibile funzione»,
anche per elevarla a «luogo dove i tanti lavoratori
stranieri» che arrivano qui possono divenire «partecipi
di princìpi e valori della nostra civiltà». Il capo
dello Stato rivolge agli studenti il rituale messaggio
per l’inizio delle lezioni, ma non c’è nulla di
rituale nel suo discorso in diretta televisiva dal
Vittoriano. Infatti, gli obiettivi che spiega ai ragazzi
avendo al fianco il ministro Moratti, sembrano una
griglia di precondizioni alla riforma avviata dal
governo.
Comunque li percepiscano Polo e Ulivo, non sono precetti
rivoluzionari né controrivoluzionari. Sono princìpi di
fondo, che il presidente rimarca quasi per dovere
d’ufficio. Basta ripassare la Costituzione, per
trovarne tracce abbondanti. Basta riflettere sui
mutamenti in corso, per capirne lo spirito.
Lo scopo dell’intervento, quindi, è di offrire
qualche indirizzo di metodo a chi si appresta a cambiare
tutto. Il capo dello Stato parte dal futuro, esortando a
«una formazione innovativa», che sappia offrire al
mondo del lavoro le nuove figure di cui c’è bisogno:
un punto decisivo perché, di fronte alla sfida della
globalizzazione, la scuola deve essere anche «motore
dello sviluppo».
Ne
discende la necessità di «continuare nel lavoro
avviato da anni per favorire l’aggiornamento della
scuola», ma - ed ecco la prima sottolineatura forte -
«secondo i princìpi di garanzia all’istruzione e
all’equità sociale che sono propri della sua funzione
pubblica».
Ciampi ha in mente le statistiche sugli «"abbandoni"
da parte di un numero troppo elevato di ragazzi»,
magari come quelli di Nisida, dei quali cita una lettera
in cui recriminano come si sarebbero potuti «salvare
dal carcere» se avessero avuto chi insegnava loro a «vivere
onestamente».
Serve una scuola per tutti, insomma, ciò che può
essere assicurato solo da quel «sistema scolastico
nazionale» che ha contribuito alla «costruzione di una
Patria unita, a formare cittadini consapevoli, a
migliorare noi italiani». «Un sistema la cui
insostituibile funzione va rafforzata», aggiunge, «in
un momento nel quale arrivano in Europa tanti lavoratori
stranieri, che portano con loro altre lingue, culture,
religioni e che hanno necessità della scuola come luogo
che li faccia divenire partecipi di principi e valori
della nostra civiltà basata su dialogo e consapevolezza
dei diritti e dei doveri».
E qui indica altri due limiti, Ciampi. Il primo per
stoppare quanti (come certi leghisti) vagheggiano
secessioni culturali, con scuole a programmi
differenziati tra il Nord e il resto del Paese: no, la
scuola pubblica ha costruito l’Italia e deve
continuare a farlo, ricorda il capo dello Stato. Il
secondo limite, meno trasparente, pare rivolto ai
vescovi della Cei e a quanti, fiancheggiandoli nel
governo, continuano ad avanzare rivendicazioni per le
scuole cattoliche. State attenti a insistere così -
sembra suggerire il presidente - perché fra un po’
anche gli immigrati potrebbero pretendere scuole
confessionali, islamiche o d’altra fede, e allora
l’Italia si dividerebbe in mondi separati; non è
meglio che, per integrare i nuovi arrivati (aiutando
loro e difendendo noi), «si rafforzi» la scuola di
Stato, con i suoi insegnamenti di «cultura classica,
civiltà cristiana, umanesimo e filosofia europea»?
Non parla mai di «scuola privata», Ciampi, mentre
evoca quella «pubblica» che tanto gli preme. Una
scuola che - insiste - deve «ridurre l’esclusione»,
«impegnarsi sul tema della cittadinanza europea»
(perché «questa è la vostra avventura, ragazzi»),
riscoprire la Costituzione». E proprio copie della
Carta fa distribuire al Vittoriano, raccomandando la
lettura dei primi articoli, quelli d’impronta sociale
e progressiva, «un patto utile e positivo».
Un
discorso «di princìpi», ma che è echeggiato con
effetti dirompenti nel dibattito politico. Basta
considerare le reazioni. Ds e Ulivo «ringraziano»
Ciampi, con Rutelli che chiede «più soldi per la
scuola di Stato e non le chiusure» della Moratti. Forza
Italia, con Mauro, protesta perché quel discorso
sarebbe stato «travisato e storpiato» dal
centrosinistra. I radicali, con il segretario Capezzone,
vorrebbero zittire tout court il presidente, perché
ormai «fa politica e occupa spazi che non gli competono».
Marzio Breda
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