Associazione
presidi & C. scrivono ai docenti
Fonte:
sito web Cgil Scuola – 28 febbraio 2003
Non avremmo
ritenuto necessario soffermarci sulle due lettere
aperte rivolte in questi giorni da ANP e APEF ai
docenti, i cui contenuti ognuno valuterà, se non
per richiamare l’attenzione sulla trama delle
parole che è davvero interessante.
Sintetizziamo, per aiutare a capire, i due
testi. Il Presidente dell’ANP così argomenta le
scelte del suo sindacato: “(…)
In risposta alle pressanti sollecitazioni di
molti, l'Anp ha ripetuto, nelle scorse settimane,
il gesto di coraggio di quindici anni fa,
aprendosi alle alte professionalità docenti (…)
quelle che già la legge di riforma
dell'autonomia, tuttora in larga misura inattuata,
indicava come strettamente collegate al lavoro del
dirigente. Chi sono, oggi, queste alte
professionalità? Potenzialmente ed augurabilmente,
sono tutti i docenti; ma, qui ed ora, sono
soprattutto coloro che si riconoscono tali. (…)
Le loro
aspettative di riconoscimento professionale sono
legittimamente diverse ed accomunate solo, finora,
dal fatto di non trovare una sede ed una voce per
essere riconosciute.
Da oggi
questa sede e questa voce esistono e sono quelle
offerte dall'Anp: che però ha bisogno, per
condurre questa battaglia, della forza che sola può
venirle dalla convinta e numerosa adesione di chi
si riconosce in essa. Il cammino è già iniziato,
con la sottoscrizione di intese fra l'Anp e alcune
associazioni professionali di docenti. Altre
seguiranno. L'obiettivo è quello di sedere - di
qui a due anni - al tavolo contrattuale, per far
udire e pesare la voce di chi oggi svolge un
lavoro di qualità nella scuola, senza altra
prospettiva che quella di un'avara mancia
prelevata annualmente dal fondo di istituto.”
Della lettera del Presidente dell’APEF, che
ripete le stesse argomentazioni della lettera
riassunta prima, riportiamo il giudizio
sull’attuale fase scolastica:
“
(…) Anche l'Istruzione italiana vive il suo
momento di complessiva modifica. Autonomia
gestionale e didattica, valorizzazione del
segmento della formazione professionale, centralità
del soggetto che apprende, responsabilità in
merito ai risultati, efficienza amministrativa ed
efficacia dell'azione didattica: la Scuola
italiana diventa scuola europea, seppure cercando
giustamente di mantenere saldi i tratti più
positivi della sua tradizione.”
Vediamo in ordine la trama delle parole.
Innanzitutto, queste due lettere sanciscono
lo stato di crisi irreversibile del sindacato di
mestiere come modalità di rappresentanza.
Non è un caso che due associazioni (ANP e
APEF) vogliano raggiungere l’obiettivo di avere
una rappresentanza complessiva per potere sedere
ad entrambi i tavoli contrattuali che
costituiscono il comparto scuola.
Siamo in presenza di storie più o meno
lunghe che si interrompono a favore di una svolta
radicale: quella della rappresentanza generale,
cioè di tutti.
Dopo dichiarazioni superbe e sdegnate sulla
necessità di una netta distinzione dei Dirigenti,
senza invasioni di campo dei docenti, non è
piccolo il passo indietro dell’ANP.
Sull’APEF, un’Associazione che ha più
comandi retribuiti dal MIUR che aderenti, vale la
stessa riflessione con in più il fatto che essa
ha sempre osteggiato ogni idea di contrattazione
mentre ora la invoca fino a chiedere consensi
sull’idea del sindacato che rappresenta tutti
(pardon: i bidelli mai!).
Entrambe volevano il contratto separatissimo
e adesso vorrebbero fare un sindacato più
generalista.
Il secondo elemento che ci ha colpito è la
cultura gerarchica, la cultura del “capo”, che
emerge dalle due missive. Non ci riferiamo tanto
alla proposta di introdurre modalità di
valutazione o forme di carriera che solo i logori
schemi di osservazione della realtà delle due
associazioni scriventi fanno ritenere un loro tema
esclusivo.
Ci si propone di assumere un tema ma non una
volta appare il “volgare” termine risorse,
denaro.
I salari europei? Gli aumenti contrattuali?
Non tagli ma investimenti?
Nulla di tutto ciò, di questi argomenti non
si parla ci mancherebbe!
Un concorso o il Dirigente, trasformato in
autorità salariale, allora diventano lo
strumento, già proposto in altre occasioni, per
realizzare questa valorizzazione, questa carriera,
in nome della quale si chiedono consensi.
Che poi gli stessi che oggi predicano (per
gli altri) la differenziazione delle carriere
siano fra coloro che più attaccano gli articoli
del contratto che intendono innovare la dice lunga
sulle coerenze.
Il terzo elemento sul quale richiamiamo
l’attenzione rappresenta, in realtà, una
costante in questi lunghi mesi: lo sdraiamento sul
Governo e sul Ministero, quando non sulle
posizioni di singole persone.
In entrambe le lettere la vis polemica contro
le organizzazioni sindacali è inversamente
proporzionale al consenso assoluto dato ad ogni
scelta del Governo e del Ministro tanto che
addirittura nelle due lettere non si cita mai la
“controparte”. La ragione di questa simpatica
“dimenticanza” sta nel fatto che della
controparte si condivide la proposta sulle
carriere. Come non ricordare che mai una critica
si è levata da queste associazioni alle proposte
del Governo, anzi, anche di fronte alle decisioni
più assurde o pesanti (ad es.: tagli di organico;
riduzioni dell’autonomia scolastica;
soffocamento delle scuole per la riduzione delle
risorse; ecc.)?
In sostanza qual è, allora, l’ammiccamento
rivolto ai docenti destinatari di queste lettere,
il “valore” sul quale si sollecita
un consenso per poter “chiedere” al tavolo
contrattuale (sintomatico che non si usi mai il
termine “rivendicare”)?
Il rapporto esclusivo e fiduciario con il
Ministero. Nulla di nuovo ragazzi, semplicemente
un bel tuffo per ritornare agli anni ’50!
Roma, 28 febbraio 2003
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