Il
nome del vicario
Fonte:
sito web ANP – 9 giugno 2003
Stat
rosa pristina nomine / nomina nuda tenemus
Il distico reso celebre da
Umberto Eco, con cui si chiude Il
nome della rosa, ben si presta a far da titolo
alla paradossale vicenda dei vicari, attualmente
al centro di controversie a seguito della
pre-intesa sul CCNL 2002-2005. L'Anp si è
astenuta dall'entrare in una disputa puramente
nominalistica; così non è stato per altri che,
invece, hanno fatto interessatamente circolare una
stupefacente vulgata:
che i vicari fossero stati cancellati per
contratto, che non si potessero più concedere
loro esoneri o semi-esoneri, e via di seguito. Su
questo non possiamo tacere, sia perché
rappresentiamo i vicari – la cui figura ed il
cui ruolo siamo impegnati a sostenere non solo sul
piano sindacale ma anche su quello normativo –
sia perché queste interpretazioni, ancorché
abusive, svelano con chiarezza quello che è stato
verosimilmente il retropensiero di alcuni fra
coloro che sedevano al tavolo negoziale: punire
i vicari per aver stretto un'alleanza con noi
e mandare un
avvertimento (qualcuno ha detto mafioso?)
ai dirigenti, perché sappiano chi comanda
nella scuola. Se i vertici sindacali
confederali si sono astenuti dal formulare
esplicitamente queste considerazioni, ci hanno
pensato per loro molti quadri periferici, nelle
assemblee che si stanno tenendo in tutta Italia
per illustrare l'accordo raggiunto. Vediamo allora
di fare un po' di chiarezza.
Il
ruolo e la funzione
Bruto
ha detto che il vicario non esiste più
giuridicamente da quando è stata istituita la
dirigenza scolastica: e Bruto è uomo d'onore …
Ma Bruto dimentica che il nome della rosa non
esaurisce in sé la rosa stessa. Fuor di metafora:
se è vero che la definizione verbale di vicario
non è più la stessa di prima, è vero anche che
la funzione preesisteva al nome e non è affatto
venuta meno; anzi si è ampliata insieme alla
natura dei poteri esercitati dal dirigente che il
vicario si trova a sostituire.
Dimentica
Bruto che l'organizzazione
degli uffici è esplicita riserva di legge
(legge 421/92 – D.Lgs.165/01) e che quindi non
può essere modificata per contratto. Tanto meno
nella scuola, ambiente di lavoro in cui sono
presenti numerosi soggetti minorenni, nei cui
confronti la responsabilità dell'istituzione non
può mai interrompersi, per esplicita previsione
del Codice Civile. A tal segno che – caso unico
nel mondo del lavoro – il dirigente della scuola
non può scioperare
senza essere sostituito da qualcuno che ne assuma ipso
facto le funzioni essenziali.
La
legge, per parte sua, ha normato questa funzione
in più circostanze, da ultimo con l'articolo 396
del testo unico delle leggi sull'istruzione (D.Lgs
297/94). Ciò che è venuto meno con la dirigenza
non è l'esistenza del vicario, ma le modalità
della sua individuazione, modificata dall'articolo
25 del D.Lgs. 165/01. Come dire che se il vicario
non esiste come nomen
juris, ed infatti ha assunto denominazioni
diverse nel tempo, esiste però indubitabilmente
come funzione, e come persona che assume non lievi
carichi di lavoro e le connesse responsabilità,
che il contratto avrebbe dovuto riconoscere sotto
il profilo delle contropartite economiche.
Perché
non l'abbia fatto è questione che si presta ad
ogni forma di dietrologia,
in cui l'Anp non ha intenzione di entrare:
difficile, ad ogni modo, sottrarsi all'impressione
che si sia trattato di uno sgarbo
intenzionale.
Il succo del discorso è, in sostanza: i docenti
esistono solo in quanto insegnano ed in quanto
tali sono cosa
nostra, almeno dal punto di vista
contrattuale; tutto il resto non ci riguarda.
Un problema di cultura
Viene
così confermata, proprio da chi qualche mese fa
l'attaccava, la correttezza dell'analisi che ci ha
condotto ad allargare la nostra sfera di azione e
di rappresentanza alle alte professionalità docenti della scuola. Il sindacato
tradizionale si conferma incapace di comprendere
che il mondo del lavoro è profondamente mutato e
che le vecchie categorie dualistiche e
contrappositive (padrone/lavoratore,
chi comanda/chi obbedisce) sono ormai fuori
corso. In una società ed in un'organizzazione del
lavoro aperta e democratica, connotata da
crescente complessità, i ruoli non possono essere
solo due. Un numero sempre maggiore di coloro che
operano nei diversi settori ha acquisito cultura,
professionalità ed interesse per l'esercizio di
funzioni che non si lasciano ridurre ad un'unica
dimensione, ma si collocano a diversi livelli
intermedi di responsabilità, impegnando l'ambito
organizzativo non meno di quello direttamente
attuativo.
Se
questo è vero in generale, tanto più lo è nella
scuola dell'autonomia: un concetto ed un contesto
che il vecchio sindacato stenta ad assimilare e ad
accettare, nonostante le dichiarazioni teoriche.
La scuola dell'autonomia non consiste
nell'autonomia dei lavoratori dalle responsabilità
dell'istituzione e neppure nella contrapposizione
manichea fra chi rappresenta l'istituzione (e le
sue finalità pubbliche) e chi sarebbe portatore
solo dei propri interessi di privato lavoratore.
Autonomia
significa invece la corresponsabilità di tutta la
comunità scolastica – ed in primo luogo dei
docenti, che ne sono l'anima e la risorsa
fondamentale – nel determinare non solo i mezzi
ma anche parte delle finalità dell'istituzione e
dei contenuti del lavoro. Significa il superamento
del vecchio modello fordista o postfordista della ripetizione di un compito predefinito
e chiuso, che colloca su sponde diverse e non
comunicanti chi ha il potere di definirlo e chi ha
il dovere di eseguirlo.
Significa
quindi che i docenti sono chiamati ad assumere
parte della responsabilità complessiva delle
decisioni e quindi, inevitabilmente, a
specializzare e diversificare le proprie funzioni
all'interno della scuola. Di tutto questo non vi
è traccia nel contratto, se non nella previsione
delle funzioni
strumentali al piano dell'offerta formativa,
che però sono regolate in modo contraddittorio
rispetto alla loro natura ed al fine stesso per
cui esistono: elettive, a scadenza annuale,
retribuite in modo aleatorio e perfino eventuali,
nel senso che esiste l'esplicita previsione che il
collegio dei docenti possa non attivarle in tutto
o in parte (non altro significa la possibilità di
rinviare l'utilizzo delle risorse ad anni
successivi). Come se il piano dell'offerta
formativa potesse farsi
o attuarsi da sé: o come se i docenti
potessero non sentirsi coinvolti nella sua
realizzazione e nel suo successo. E dove si è mai
visto, poi, che le competenze professionali
possano andare e venire da un anno all'altro,
sul filo delle maggioranze e degli
schieramenti? Nel testo e nella filosofia del
contratto – così come per il momento è scritto
– sarebbe perfino possibile che il collegio
decidesse di riconoscere tutti i docenti come funzioni
strumentali al piano (ed in un certo senso è
esattamente così) e quindi di suddividere le
risorse disponibili in parti uguali fra tutti. Con
tanti saluti al riconoscimento ed alla
valorizzazione delle professionalità.
Ma
poi, dove è scritto che la professionalità
docente consista solo nell'esercizio di funzioni
intermedie? E come si giustifica l'assunto
implicito nella filosofia retributiva del
contratto che tale professionalità debba,
inevitabilmente ed irreversibilmente, crescere con
il solo procedere dell'anzianità? Perché non
riconoscere al bravo
docente – che esiste, per fortuna, ed a
prescindere dall'età – la possibilità di una
carriera per merito, tutta interna alla funzione
dell'insegnamento?
Ma
Bruto è uomo d'onore: e non può certo piegarsi
all'evidenza.
La questione dell'esonero
Non
metterebbe quasi conto di parlarne se non fosse
corsa intorno ad essa molto inutile allarme e
qualche interessata presa di posizione, anche
improntata ad un malinteso studium
serviendi di qualche funzionario periferico
dell'Amministrazione, il quale avrebbe già
comunicato alle scuole che non saranno autorizzati
esoneri e semi-esoneri per il prossimo anno
scolastico.
E'
del tutto evidente che la questione non esiste,
per almeno due motivi. Il primo è che anch'essa
attiene all'organizzazione degli uffici e quindi
è coperta da riserva di legge. La necessità di
sollevare, in tutto o in parte, chi affianca il
capo di istituto dai suoi compiti di insegnamento
è sempre stata riconosciuta dall'ordinamento: e
non per gratificare la persona del destinatario,
ma per rendergli possibile l'esercizio delle
funzioni di cui è investito, che sono di rilevanza ed interesse pubblico.
Il
secondo motivo è che la materia è normata
dall'articolo 459 del testo unico delle leggi
sull'istruzione, che non è mai stato abrogato né
disapplicato, ammesso che potesse esserlo per via
contrattuale, stante appunto la sua rilevanza
pubblicistica. Questo articolo, ancora una volta,
collega l'esonero non alla persona del
destinatario, ma alle caratteristiche strutturali
della scuola (numero di classi, tipologia, sedi,
ecc.): si tratta quindi, con ogni evidenza, di una
risorsa
funzionale, attribuita all'istituzione per
garantirne la funzionalità e l'ottimale
raggiungimento dei propri fini, che sono
ovviamente materia di diritto pubblico e non di
privata contrattazione fra le parti. A prescindere
dal fatto che è ben singolare la tesi secondo cui
una norma di legge possa essere abrogata
attraverso il silenzio
di un contratto sulla figura del destinatario,
anzi sul suo nome. Questa è talmente grossa che
anche Bruto lo capirebbe: se non fosse, beninteso,
uomo d'onore.
La damnatio memoriae e gli oneri contrattuali occulti
Quali
che siano state le intenzioni di chi ha voluto
questo testo contrattuale (e di chi, dalla parte
datoriale, lo ha sottoscritto con la bomba ad
orologeria delle imminenti elezioni amministrative
che gli ticchettava sotto la sedia), un fatto è
certo: sono stati accuratamente rimossi tutti i
riferimenti non solo al vicario, ma anche a tutto
ciò che fosse in odore di contaminare
l'esercizio puro e semplice della funzione docente
con compiti ed attività attinenti alla sfera
d'azione del convitato
di pietra: l'innominato e rimosso dirigente,
colpevole di aver abbandonato la casa comune per
migrare verso un'area contrattuale diversa. La damnatio
memoriae posta in essere non ha colpito dunque
solo il vicario, ma anche i presidi incaricati,
sotto forma di una doppia omissione: quella
dell'indennità di direzione (che viene quindi
negata anche ai vicari durante il periodo di
sostituzione) e quella dell'indennità di funzioni
superiori, che assimilava il loro trattamento
fondamentale a quello base dei dirigenti. In
teoria, ed anche in pratica, dunque (se non
interverranno ripensamenti contrattuali, prima
della firma definitiva, o rimedi giurisdizionali,
dopo), i presidi incaricati lavoreranno gratis,
anzi per compensi minori che se tornassero
all'insegnamento, in quanto non percepiranno né
le indennità spettanti ai dirigenti né i
compensi accessori propri dei docenti. Quest'oblio
– troppo mirato per essere solo casuale – non
riguarda solo loro: anche i presidi e direttori
didattici rimasti fra il personale direttivo
(o per non aver frequentato il corso di
formazione per il passaggio alla dirigenza, o per
essere stati collocati fuori ruolo per motivi di
salute) sono del tutto dimenticati dal contratto e
non avranno neppure gli aumenti collegati al tasso
di inflazione. Odi
profanum vulgus: et arceo, cantava il poeta; e
con lui i suoi moderni epigoni confederali.
E'
solo un'altra svista dell'ineffabile Bruto? E’
un po' difficile crederlo. E allora si affaccia
alla mente un dubbio, un piccolo tarlo fastidioso.
Non sarà che, nell'affannosa ricerca di risorse
aggiuntive negate dal ministro dell'Economia, i
nostri bravi negoziatori hanno pensato di
raggranellare qualcosa dimenticando o rimuovendo, con
procedimento peraltro selettivo, parte degli oneri
contrattuali dovuti? Che poi ne siano rimaste
vittime alcune figure professionali
particolarmente invise, perché colluse
con la presunta controparte padronale, può
essere solo un caso: ma forse no. A pensar male si
fa notoriamente peccato: ma qualche volta ci si
indovina …
Potrebbe
forse interessare alla Corte dei Conti – e
dovrebbe certamente interessare al Governo, che si
dice impegnato a contenere la spesa pubblica –
il rischio che (a seguito dei prevedibili ricorsi
degli interessati) i tribunali condannino
l'Amministrazione al pagamento del lavoro svolto e
delle relative penalità per interessi e
rivalutazione monetaria, da corrispondere
ovviamente con fondi non compresi fra quelli
contrattuali. Un piccolo trasferimento di oneri al
di fuori di quelli stanziati per il contratto, in
barba alle leggi ed al bilancio: via, che sarà
mai? Tanto paga Pantalone: mica Bruto!
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