VI
Congresso Anp
Materiali per la
discussione
1987-2002:
autonomia e oltre
Quindici anni fa,
si svolgeva a Roma il congresso istitutivo
dell’Associazione, dopo un periodo di vivaci
riflessioni e dibattiti circa il ruolo dei capi di
istituto, le linee strategiche del nuovo soggetto
associativo e lo spazio che esso si proponeva di
occupare nel panorama dell’associazionismo
professionale scolastico.
Fin dall’inizio, l’obiettivo politico da
perseguire fu individuato nel binomio
"Autonomia e Dirigenza", che prefigurava
al tempo stesso un traguardo di realizzazione
professionale per i singoli ed un’opportunità
di effettivo rinnovamento per la scuola. Sarà
utile ricordare che quelli erano gli anni in cui
sembrava vincente la linea della "riforma dal
centro", promossa e saldamente orientata
dall’Amministrazione. Progetti assistiti,
progetto ‘92, programmi Brocca: tutto sembrava
testimoniare di una forte vitalità ministeriale,
tanto che parlare di autonomia delle scuole poteva
sembrare l’espressione di una remota utopia.
I fatti si sono incaricati di dimostrare il
contrario: le sperimentazioni ministeriali si sono
tutte arenate e gli anni Novanta si sono chiusi
all’insegna di una forte spinta verso il
decentramento amministrativo e lo sviluppo delle
autonomie locali. In questo contesto, la scuola ha
ottenuto il riconoscimento della propria autonomia
funzionale, da ultimo elevata a rango
costituzionale dalla legge 3/2001; ed a questo
passaggio ha fatto da necessario complemento il
riconoscimento della qualifica dirigenziale per i
capi di istituto.
Nel momento in cui si accinge a celebrare il
proprio VI Congresso Nazionale, dunque, l’Anp può
ben dire di aver conseguito il pieno successo
della propria scelta politica iniziale. Proprio da
questa constatazione è necessario trarre impulso
per individuare nuove strategie per il futuro.
Una nuova frontiera
E’ doveroso constatare che l’autonomia delle
scuole - definita nelle linee essenziali dai testi
normativi - stenta tuttora a tradursi pienamente
in realtà operativa, a causa di numerose
resistenze e di veri e propri tentativi di
controriforma. È anche evidente che non ci si può
fissare per obiettivo solo quello di consolidare
le acquisizioni passate e di difenderle dagli
attacchi degli avversari, storici o recenti: si
rischia altrimenti di ripetere l’esperienza di
altri movimenti nati come innovatori - anche in
ambito sindacale - che appaiono oggi in difficoltà
nel confrontarsi con le mutate condizioni
culturali ed economiche del Paese e si arroccano
nella difesa dell’esistente, considerato come il
punto di sviluppo più avanzato possibile.
L’Anp non può commettere questo errore. Essa è
espressione di una categoria professionale la cui
stessa ragion d’essere è quella di operare
guardando al futuro, perché la scuola rappresenta
l’investimento di ogni popolo sul proprio
domani. Non le è consentito - neppure nel ricordo
della propria lungimiranza passata - di
trasformarsi in una forza conservatrice, incapace
di guardare al futuro e di leggerne ed accettarne
le sfide sempre mutevoli.
Occorre quindi individuare una nuova frontiera,
un insieme di obiettivi politici e sindacali che,
partendo dall’analisi della situazione presente,
definiscano la via da percorrere per i prossimi
anni; in coerenza con la storia associativa
passata, ma anche in sintonia con le esigenze del
Paese e del sistema formativo, che deve utilizzare
appieno le potenzialità dell’autonomia per
colmare antichi svantaggi e porsi come fattore di
propulsione nello sviluppo della comunità civile.
E’ questo il senso del titolo scelto per
presentare il VI Congresso: autonomia e oltre,
per indicare che - nel momento in cui assumiamo
con orgoglio l’eredità della nostra profezia
realizzata - abbiamo anche chiara l’esigenza di
non arrestarci al culto di ciò che è stato
acquisito, per spostare il traguardo verso un
orizzonte più lontano, ma anche più avanzato.
Il contesto
Per l’Anp, la fisionomia del dirigente delle
scuole è quella linearmente descritta dall’art.
25 del D.Lgs. 165/01, e non a caso inserita in un
quadro unitario di norme che regolano tutte le
dirigenze del pubblico impiego. Nel confronto, è
agevole riconoscere i molti punti di omogeneità
ed anche alcune innegabili differenze.
Ma proprio questo inserimento della dirigenza
delle scuole nel quadro della dirigenza pubblica
di natura amministrativa suscita - è bene
ricordarlo - una serie di resistenze, di varia
matrice culturale e politica, che si sono
ripetutamente manifestate negli scorsi mesi. Fra
di esse vanno almeno citate:
- la corrente di pensiero che si rifà al concetto
di specificità. Da quest’area è venuta
storicamente una delle resistenze più tenaci alla
piena acquisizione della dirigenza, sorretta
dall’argomento che la tutela costituzionale
della libertà di insegnamento si estendesse a
qualunque funzione professionale esistente nella
scuola (dal preside al bidello), sottraendo tutti
a qualunque riferimento esterno e consolidando il
modello della torre d’avorio. Un’idea di
libertà assoluta, nel senso etimologico di
sciolta da qualunque vincolo, che si è di
fatto tradotta nell’autoreferenzialità e nella
separatezza rispetto a qualunque tentativo di
valutazione;
- la dottrina che si rifà alla definizione,
sempre controversa, di leader educativo. Il
modello teorico è arduo da definire con
esattezza, in quanto cerca di arrivare ad una
definizione del ruolo partendo da concetti e
funzioni che appartengono più propriamente al
profilo docente. In realtà risulta abbastanza
chiaro ciò che i suoi autori rifiutano - la
dimensione organizzativa, quella gestionale,
quella negoziale - ma molto meno ciò che
propongono. Il rischio per il consolidamento della
figura dirigenziale è però grave, perché questo
filone di pensiero tende ad intercettare uno stato
d’animo, diffuso fra i colleghi, di stanchezza
per l’aumento esponenziale degli adempimenti
burocratici e del contenzioso interno. Esiste il
pericolo che quel che è in realtà dovuto alla patologia
del sistema (in quanto causato
dall’incompleta transizione tra vecchio e
nuovo), venga percepito come effetto proprio del
nuovo e produca quindi una reazione di rigetto ed
il desiderio di ritorno ad una mitica - ed
ovviamente inesistente - età dell’oro,
dove l’indistinzione delle funzioni e delle
responsabilità avrebbe il potere di annullare i
conflitti;
- la tentazione ricorrente del primus inter
pares, erede di una nostra vecchia tradizione
politico-culturale. Anche in tempi recenti, essa
si è riproposta in analisi e proposte di riforma,
che prefiguravano una scuola acefala, da
cui il dirigente era assente, o respinto al ruolo
di amministratore remoto di un gruppo di scuole.
La suggestione è evidente quanto insidiosa: si
strizza l’occhio alle risorgenti tentazioni del coordinatore
didattico di plesso, elettivo, che non
d’altro si occupi - finalmente! - che di
didattica, primus inter pares e solo dai
pari legittimato e prescelto;
- la visione dei sindacati di comparto, che
da sempre considera con sospetto la separazione di
funzioni e le gerarchie, cui contrappone l’unità
all’interno di un unico contenitore
contrattuale, nel quale i diversi livelli
rappresentino solo gradini di un modello
funzionale poco differenziato: il lavoratore
della scuola, appunto;
- l’eredità di parte della cultura egualitarista,
che non ha mai accettato fino in fondo la logica
della responsabilità e della distinzione di
funzioni, preferendole un generico solidarismo
intriso di spirito pietistico,
intrinsecamente ostile alla meritocrazia ed alla
gestione efficace;
- il diffuso pregiudizio antiaziendalistico,
fatto di netta ostilità per tutto ciò che sia, o
appaia, connesso con i modelli organizzativi
propri del mondo del lavoro, percepiti come
antagonisti rispetto alle logiche del mondo della
formazione. Ne consegue che, ogni volta che si
cerca di connotare la funzione del dirigente in
termini di organizzazione e gestione, affiora un
evidente riflesso di insofferenza e di rifiuto,
come se - sulla porta della presidenza - si
materializzasse lo spauracchio ottocentesco del nemico
di classe, del padrone.
Uno sguardo sul futuro
Nel disegnare le linee strategiche lungo cui si
muoverà l’associazione nei prossimi anni,
occorre tener conto di questo contesto. Esso
conduce ad individuare alcune questioni, di natura
in parte politica ed in parte culturale, che qui
si propongono, suddivise in aree, per il dibattito
e le decisioni congressuali:
1. la scuola dell’autonomia fra impresa
educativa ed azienda
2. la scuola dell’autonomia al tempo del
federalismo
3. autonomia del sindacato e primato della
politica
4. natura sindacale e vocazione professionale
dell’Anp
5. linee guida per la contrattazione
6. la struttura organizzativa come mezzo e come
fine
1. la scuola
dell’autonomia fra impresa educativa ed azienda
E’ venuto per la scuola il tempo di fare
i conti con la modernità, affrancandosi dal peso
di un luddismo educativo durato trent’anni. Fra
le eredità più tenaci del Sessantotto va
annoverata infatti quella sbrigativa damnatio
memoriae del mondo del lavoro, che si è
prolungata fino ai nostri giorni, come, per altro
verso, un consolidato pregiudizio aziendale circa
l’inadeguatezza della scuola al compito di
preparare lavoratori e cittadini adulti
all’altezza dei loro compiti sociali.
La scuola, naturalmente, non corrisponde al
ritratto negativo ed inconcludente presente in
certa vulgata aziendale. Ma l’azienda, a sua
volta, fino a che punto ha i tratti di
quell’impero del male, dominato unicamente dalla
ricerca del profitto, con cui è stata
rappresentata nelle nostre scuole fino a tempi
molto recenti?
Servirebbe invece riconoscere con pacatezza che né
l’una né l’altra possono pensare di
esercitare un’assoluta egemonia culturale
rispetto ai giovani prima ed agli adulti poi.
Tutti coloro che approdano nelle aziende sono
passati dalla scuola; purtroppo, non tutti coloro
che passano per la scuola approdano poi ad un
soddisfacente rapporto con il mondo del lavoro: ed
a volte tale disadattamento è conseguenza
anche di un’immagine distorta della realtà che
li attende. E’ abbastanza frequente, infatti,
che le persone di scuola si rappresentino la realtà
aziendale sulla base del sentito dire - in qualche
caso anche del pregiudizio - piuttosto che
dell’effettiva conoscenza delle sue logiche
interne di funzionamento.
E’ tempo di dire con chiarezza che la scuola non
è identificabile in un’azienda, dalla quale la
distinguono troppe cose: non ha (né può avere)
per fine il profitto economico; non può obbedire
al principio di selezionare solo gli investimenti
produttivi; non può avere come criterio
prioritario di valutazione delle scelte la pura
efficienza; non ha un ciclo predeterminato di
ammortamento per i propri investimenti; non può
adottare per il personale il vincolo di fedeltà
esclusiva alle scelte ed alla filosofia aziendali;
e molto altro ancora.
Ma è anche tempo di dire, con non minore
chiarezza, che riconoscere le differenze non vuol
dire negare le affinità: e, soprattutto, non può
avere per effetto di rimuovere una serie di
esigenze sostanziali, che costituiscono pure dei
valori comuni.
Se è vero che la scuola non ricava un profitto
economico dalle risorse che impiega, questo non ne
giustifica in alcun caso un uso antieconomico
e neppure l’indifferenza per il rapporto
costi/benefici: il che comporta l’obbligo di
valutare i risultati effettivi e di metterli a
riscontro con quelli attesi.
La cultura della valutazione - da sempre
presente in ambito aziendale - deve svilupparsi
anche nella scuola, come premessa e complemento
indispensabile dell’autonomia. Se una scuola
etero-diretta può infatti limitarsi
all’adempimento passivo di compiti e procedure,
una scuola autonoma può essere tale solo se
sceglie di valutarsi ed essere valutata. La libertà
di insegnamento, argomento tradizionalmente
impiegato per rimuovere il problema, è cosa
troppo seria ed importante per poter essere
utilizzata come schermo strumentale per evitare di
confrontarsi con le carenze di professionalità o
di deontologia di coloro che hanno la
responsabilità di insegnare.
Né può comportare, oltre alla sacrosanta libertà
di scelta dei mezzi educativi e delle tecnologie
didattiche, anche la sostanziale irresponsabilità
in ordine ai contenuti. Non esistono
professionisti, al di fuori del mondo delle arti,
che siano committenti di se stessi. La committenza
viene legittimamente anche dall’esterno,
attraverso una sintesi di scelte operate in sede
nazionale e locale: ai professionisti della scuola
spetta interpretarla e tradurla in atti di
insegnamento, non rifiutarla in nome di una totale
autoreferenzialità.
E’ tempo anche di dire con chiarezza che la
scuola ha caratteri riconoscibili e non
rinunciabili di impresa formativa, in
quanto:
- deve adattare le proprie strutture organizzative
alle esigenze del miglior funzionamento e non
l’inverso, come troppo spesso , per ragioni
strutturali, è accaduto in passato. I concetti di
management diffuso, di learning
organization, non sono astrazioni da dibattito
accademico, ma strumenti di gestione con cui
l’impresa è ormai familiare, ma che devono far
parte anche del patrimonio culturale della scuola
dell’autonomia;
- deve essere guidata da un dirigente che fondi la
sua professionalità non solo sulle indispensabili
conoscenze teoriche e normative, ma sulla capacità
suasoria e relazionale; che sappia, cioè, gestire
le risorse umane non meno che quelle finanziarie e
strumentali, traendo da ciascuna di esse il
massimo potenziale compatibile con le circostanze;
- ha l’obbligo di organizzarsi per funzionare in
termini di riequilibrio del diritto di accesso ai
servizi sociali fondamentali. Ciò in quanto essa
attinge principalmente alla leva fiscale ed
utilizza quote di ricchezza prodotte altrove -
principalmente attraverso il sistema delle aziende
e del mondo produttivo - per alimentare la propria
attività;
- ha l’obbligo di curare che le risorse
professionali in ingresso siano le migliori
disponibili nel contesto in cui opera; e di
operare a sua volta per la manutenzione costante
di tali risorse, perché si collochino sempre al
più alto livello;
- ha l’obbligo di perseguire l’efficacia
educativa, cioè di impiegare prioritariamente le
risorse per conseguire nel più alto grado
possibile gli obiettivi di formazione assegnati,
anche se questo andasse in qualche caso a
detrimento dell’efficienza pura;
- ha il dovere di offrire risposte formative
adeguate non soltanto alla domanda
formulata dall’utenza consapevole ed
organizzata, ma anche ai bisogni di cui
sono portatori quelli fra i suoi utenti che
possono non trovare da soli le parole ed i mezzi
per manifestare le proprie necessità;
- in questo senso ha anche il dovere di dire con
chiarezza ai propri utenti, se è necessario, che
in ambito educativo il cliente non ha sempre
ragione, troppo grande e connaturata al
rapporto didattico essendo la differenza di
competenze specifiche tra chi insegna e chi
apprende. Ma questo che è un dovere, come tutti i
doveri costitutivi di una situazione di
privilegio, è anche costitutivo di una più
grande responsabilità sul piano dell’etica
professionale, della quale occorre essere, e
mantenersi, all’altezza;
- come tutti coloro che investono risorse altrui
per fini assegnati, ha il dovere di rendere conto,
nelle forme e con le modalità stabilite,
dell’impiego fattone e dei risultati ottenuti.
TESI area 1:
1.1. - La scuola non è
un’azienda e non può assimilarne acriticamente
i modelli e la cultura. Il suo compito include
peraltro la formazione della persona per una
cittadinanza ed una vita lavorativa nella quale
l’azienda, e in genere il lavoro, sarà parte
centrale. Essa non deve quindi interiorizzare nel
proprio percorso formativo o nei propri modelli
culturali impliciti pregiudizi antiaziendalistici.
1.2. - La scuola è invece un’impresa
formativa, nel senso che non produce direttamente
ricchezza economica, ma utilizza per il proprio
funzionamento parte della ricchezza prodotta
altrove, configurandosi come un investimento della
società civile sul proprio futuro. Come tutti
coloro che investono risorse altrui, ha il dovere
di essere oculata e di cercare di trarre il
massimo rendimento - culturale e formativo - dalle
risorse assegnate.
1.3. - La scuola è di fatto "sul
mercato" della formazione, ma non adotta
"logiche di mercato" nella propria
elaborazione culturale. In una logica di mercato,
il cliente-utente ha automaticamente
"ragione", in quanto finanzia
direttamente il prodotto. In una logica formativa,
il cliente-utente ha il diritto di concorrere a
definire gli indirizzi generali, non gli strumenti
operativi né le scelte di natura
tecnico-professionale. Come per le altre
committenze rivolte a professionisti dei diversi
settori, è corretto indicare il risultato atteso,
ma occorre rispettare le competenze professionali
nella scelta dei mezzi e delle tecnologie.
1.4. - Il dirigente di azienda è
responsabile dell’efficienza economica, il
dirigente della scuola deve prestare
un’attenzione preminente all’efficacia
formativa. Per questo motivo non può dare ascolto
unicamente alla "domanda di formazione",
ma deve garantire anche la lettura dei
"bisogni formativi" che non sempre
trovano, in chi ne è portatore, la voce per
esprimersi.
1.5. - Sia il dirigente di azienda che il
dirigente di un’impresa formativa sono
responsabili dell’uso ottimale delle risorse, ma
ne rispondono a soggetti diversi: il primo alla
proprietà dell’azienda, il secondo alla
collettività che gli assicura i finanziamenti. Al
primo si chiede legittimamente di agire in nome
del massimo profitto economico; al secondo si deve
chiedere di garantire un accesso al servizio che
sia universale, etico, solidale ed equo.
1.6. - Pur nella distinzione dei ruoli e
delle politiche di gestione, azienda ed impresa
educativa non possono essere antitetiche, né
devono alimentare reciproche diffidenze. Senza il
profitto prodotto dalle aziende, l’impresa
formativa non disporrebbe di sufficienti risorse
finanziarie per svolgere il suo compito etico e
sociale; ma se la scuola non fosse posta in
condizione di curare lo sviluppo di tutto il
capitale umano affidatole, a prescindere dalla
redditività dell’investimento sui singoli
individui, le aziende non disporrebbero di risorse
umane nella quantità e nei livelli necessari a
sostenerne la produttività.
2. la scuola dell’autonomia nel tempo del
federalismo
Il federalismo è una forma di organizzazione
degli stati e non costituisce un’ideologia o una
religione. Nell’attuale fase storica esistono
ragioni prevalenti per considerarlo come un
assetto preferibile rispetto a quello
centralizzato: ciò che in altri tempi ed altre
circostanze potrebbe non essere stato o non essere
vero. Fra le ragioni che inducono l’Associazione
a valutare con favore la prospettiva di una
redistribuzione verso la periferia di parte dei
poteri già esercitati dallo Stato centrale, vi
sono:
- la possibilità per i cittadini di seguire più
da vicino il formarsi della volontà politica ed
amministrativa nelle decisioni che li riguardano,
e conseguentemente di decidere con cognizione di
causa se coloro a cui hanno dato mandato di
amministrarli hanno bene operato e meritano la
riconferma;
- nello specifico campo della formazione, il
federalismo consente agli utenti di manifestare i
propri orientamenti ed i propri desideri, che
vanno ovviamente mediati rispetto a quelli che
sono gli ordinamenti di base e le finalità
generali del servizio di istruzione;
- l’attribuzione ai livelli di governi locali di
più estese funzioni in materia di formazione
consente all’autonomia delle scuole di
sostanziarsi di contenuti. Al tempo stesso chiama
in causa il ruolo negoziale del dirigente nel
gestire i rapporti fra le richieste del territorio
e le risorse e gli orientamenti professionali
interni dell’istituzione scolastica;
- la flessibilità curricolare e la possibilità
di governare un sistema di opzioni didattiche
definite in sede locale offre alle scuole
l’opportunità di coinvolgere maggiormente
l’utenza, sia per quanto riguarda la motivazione
dei giovani agli studi che la disponibilità delle
famiglie a farsi carico del reperimento di risorse
aggiuntive.
Naturalmente, ogni maggiore spazio di libertà
comporta l’assunzione di responsabilità
ulteriori di governo ed un più alto livello di
vigilanza per evitare possibili effetti
indesiderati, quali potrebbero essere:
- l’aumento dei costi per l’erogazione del
servizio, in caso di eccessiva frammentazione
dell’offerta e del sistema di opzioni;
- la possibilità di un’ineguale distribuzione
delle opportunità formative sul territorio, con
conseguente pregiudizio per l’esercizio dei
diritti civili fondamentali;
- l’indebolimento del senso di cittadinanza e
del legame solidale fra i membri di una stessa
comunità, ove si eccedesse nel dare spazio a ciò
che divide piuttosto che a ciò che si può
ricondurre a fattore comune.
Ma soprattutto va tenuta presente, per prevenirla,
la tentazione - già affiorata qua e là in
esperienze di autonomia territoriale regionale o
subregionale - di utilizzare
l’autodeterminazione degli enti locali per
comprimere gli spazi di autonomia didattica delle
scuole. Si avrebbe in tal caso una interpretazione
distorta dei principi, ed un neo-centralismo
regionale, anziché una differenziazione del
servizio.
Se si sono qui richiamate alcune possibili
conseguenze indesiderate del decentramento di
poteri, non è certo per darne una lettura
d’insieme negativa, che avrebbe come esito la
conservazione dell’esistente, anche quando -
come nel caso della scuola - le controindicazioni
sono assai numerose e tutte note.
L’Associazione ritiene invece necessario
proseguire sulla strada del cambiamento ormai
intrapreso - che semmai procede fra troppe
lentezze ed oscillazioni - avendo ben chiaro che
il decentramento amministrativo e l’autonomia
delle scuole sono due facce di una stessa medaglia
e non possono in alcun caso collocarsi in antitesi
ed in concorrenza l’una con l’altra.
Che lo Stato abbandoni un certo numero di ambiti
amministrativi non può del resto avere come
conseguenza la sua indifferenza o estraneità
rispetto al livello di fruizione dei diritti
civili da parte dei cittadini. Va richiamato qui
il concetto di sussidiarietà, che impone
al livello più elevato di responsabilità di
intervenire a sostegno e correzione del livello
immediatamente sottostante quando quest’ultimo
abbia difficoltà ad azionare correttamente i
poteri che gli sono stati assegnati. Se quindi lo
Stato governerà più da lontano e in un minor
numero di ambiti, ciò richiede che i suoi poteri
sostitutivi e correttivi restino intatti ed anzi,
se mai, si rafforzino. Solo un forte centro può
infatti sostenere e far crescere una forte
autonomia locale in sicurezza e nell’interesse
dei cittadini: un centro debole o assente è il
peggior viatico che si possa immaginare alla
nascente autonomia delle comunità locali e alla
funzionalità del servizio scolastico.
TESI area 2:
2.1. - L’Associazione è
favorevole al consolidamento ed allo sviluppo del
federalismo, sia in ambito legislativo che
amministrativo, ed anche nell’organizzazione del
servizio scolastico, perché ne vede le
potenzialità positive: responsabilizzazione dei
centri di spesa e di erogazione delle risorse;
controllo di prossimità dei cittadini rispetto
alla sede delle decisioni che li riguardano; più
agevole lettura delle necessità di servizi agli
utenti da parte dei soggetti decisori; accresciuto
controllo democratico degli amministrati rispetto
agli amministratori.
2.2. - L’Associazione è consapevole
delle conseguenze indesiderabili che una distorta
o superficiale applicazione delle tesi federaliste
può introdurre nel tessuto sociale: aumento dei
costi per i servizi; diseguaglianza nell’accesso
ai servizi pubblici fondamentali e
nell’esercizio dei diritti civili; indebolimento
del concetto di cittadinanza e del legame solidale
fra i membri della comunità.
2.3. - In particolare, l’Associazione
segnala la possibilità che lo spostamento in
periferia dei centri di decisione relativi al
funzionamento delle scuole produca una
compressione dell’autonomia anziché il suo
sviluppo e la sua tutela. Ricorda che il processo
di trasferimento di competenze agli enti locali è
parte dello stesso disegno che ha condotto ad
attribuire rango costituzionale all’autonomia
delle istituzioni scolastiche e non può
collocarsi in antinomia con esso.
2.4. - Nella redistribuzione dei poteri,
fra centro e periferia, non può determinarsi una
situazione di sostanziale irresponsabilità nei
confronti dei cittadini: pertanto, a fronte di un
ampliamento della sfera decisionale degli enti
locali, i poteri del centro debbono restringersi
quanto all’estensione delle materie, ma debbono
diventare più chiari ed anche più forti per
quanto riguarda gli interventi correttivi e
sostitutivi che si rendessero eventualmente
necessari per la tutela dei principi
costituzionalmente protetti o per la garanzia
dell’effettiva uguaglianza di diritti fra i
cittadini.
3. autonomia del sindacato e primato della
politica
L’Anp non ha mai voluto avere una parte politica
di riferimento, ed ha invece adottato una
linea di indipendenza rispetto ai diversi
schieramenti.
Questo ha costituito fin dall’inizio un punto di
forza ed un fattore di crescita associativa, in
quanto ha permesso di riunire capi di istituto di
matrici culturali ed ideali molto diverse fra
loro, accomunati dall’appartenenza ad un’etica
condivisa della professione, ed ha grandemente
arricchito la nostra elaborazione e la capacità
di proposta attraverso il dialogo ed il confronto
interno fra posizioni diverse.
Per altro verso, questa scelta è stata anche
all’origine di una problematicità permanente:
come posizionarsi rispetto ai governi di diverso
colore succedutisi nel tempo? come decidere, di
volta in volta, se essere a favore o contro
le varie ipotesi di riforma e le innovazioni
normative? e come, in particolare, collocarsi ora,
quando l’asprezza del confronto fra maggioranza
ed opposizione sembra rendere impossibile o
irrealistica l’equidistanza?
A queste domande, i singoli tendono -
legittimamente - a rispondere secondo i propri
orientamenti politici: ma che risposta deve dare
un’associazione che, per definizione, non ha
sposato alcuno schieramento?
Da questa apparente impasse si può uscire
solo ricordando quelle che sono le ragioni
storiche ed ideali della nostra esistenza: la
difesa dell’autonomia funzionale delle scuole,
la promozione professionale dei loro dirigenti.
Un sindacato a vocazione professionale come il
nostro opera le sue scelte concrete, di volta in
volta, tenendo presenti alcuni principi:
- validità: la questione o la proposta in
discussione è suscettibile di rafforzare
l’autonomia funzionale delle scuole e il ruolo
professionale dei loro dirigenti?
- eticità: l’ambito scolastico è ambito
educativo ed ha, tra le sue finalità, quella di
agire come fattore di superamento delle differenze
iniziali di opportunità determinate dal contesto
sociale. Esso utilizza, infatti, in misura
prevalente, risorse pubbliche alimentate dalla
fiscalità generale, il cui scopo è quello di
consentire a tutti i cittadini l’accesso ai
servizi fondamentali, a prescindere dalla loro
potenzialità reddituale. Nessuna riforma può
ottenere la nostra approvazione se non si colloca
in questa linea o se addirittura dovesse operare
in senso contrario;
- universalità: anche se lo sviluppo del
federalismo politico ed amministrativo apre
legittimamente spazi di autodeterminazione locale,
il servizio di istruzione ha tuttora una
prevalente funzione di chiave di accesso ai
diritti di cittadinanza, che devono essere
assicurati a tutti i cittadini. Questo è vero in
particolare nella fascia dell’obbligo
scolastico, ma non può essere rimosso del tutto
anche dall’ambito di quello formativo. Ogni
riforma o proposta va quindi valutata anche alla
luce della sua attitudine a migliorare le
condizioni dell’apprendimento per il maggior
numero possibile di utenti;
- economicità: fra le responsabilità
tipiche del dirigente si annoverano quelle
relative al controllo di gestione, e cioè
alla capacità di utilizzare al meglio le risorse
poste a disposizione. Dal momento che la scuola
vive principalmente di finanza derivata,
ogni innovazione normativa che deteriori
l’efficienza della gestione (anche in termini di
inutili complicazioni procedurali e di
allungamento dei tempi operativi) si traduce in un
abbassamento dei livelli del servizio: e come tale
va contrastata.
TESI area 3:
3.1. - L’Associazione
riconferma la sua tradizionale indipendenza da
ogni schieramento politico; la sua esclusiva
fedeltà alla tutela della qualità del servizio
scolastico, attraverso l’autonomia; la vocazione
a promuovere e sviluppare il livello di dignità e
qualità professionale dei dirigenti. Alla luce di
questi principi, sceglie le posizioni da assumere
e le alleanze da perseguire.
3.2. - L’Associazione riconferma che non
considera tale indipendenza come indifferenza per
le tesi in campo. Al contrario, essa costituisce
il presupposto per potersi esprimere con la
massima libertà, per poter contare e per
influenzare il formarsi della pubblica opinione e
le scelte del decisore politico in materia
scolastica.
3.3. - L’Associazione riconferma la
propria neutralità rispetto a qualunque
maggioranza di governo, che sarà giudicata solo
sulla base della sua concreta azione politica ed
amministrativa. E’ del tutto evidente, comunque,
che chi nel tempo rappresenta il potere esecutivo
rimane di necessità l’interlocutore principale
per lo sviluppo delle finalità associative.
3.4. - L’Associazione riconferma la
propria scelta di campo in favore di un servizio
di istruzione pubblico - che non vuol dire solo
statale -, solidale, universale ed equo.
4. natura sindacale e
vocazione professionale dell’Anp
L’Anp è nata come associazione professionale ed
ha assunto successivamente valenza sindacale. La
tutela degli interessi della categoria, iscritta
fin dall’inizio negli obiettivi associativi, fu
in un primo tempo affidata alla ricerca di
convergenze operative con i soggetti sindacali
consolidati nell’ambito scolastico. Nella fase
iniziale - e per molto tempo ancora - sforzi
notevoli e prevalenti sono stati invece dedicati
alla crescita della cultura dirigenziale dei capi
di istituto. Si trattava di un investimento sul
futuro, perché tutti coloro che erano a quel
tempo in servizio erano stati reclutati e venivano
governati dall’Amministrazione nel segno di una
logica tradizionale, fondata sull’uniformità e
sulla centralità, sull’adempimento e
sull’irresponsabilità sostanziale.
Era quindi fondamentale investire molto nella
formazione in servizio e nella diffusione della
consapevolezza che un modo diverso di
esercitare il ruolo era non solo possibile, ma
necessario: e che, senza una svolta radicale
nell’impostazione del lavoro, non si poteva
pensare di far compiere alle scuole il passo
decisivo dell’autonomia ed alla categoria
quello, non meno determinante, verso la dirigenza.
La maturazione della consapevolezza del ruolo ha
condotto, nel tempo, a tagliare il cordone
ombelicale rispetto ai sindacati verticali
del personale, troppo evidente essendo il loro
interesse a non investire sulle differenze
professionali fra le diverse figure ed invece
a sottolinearne ed enfatizzarne le somiglianze.
L’assunzione della valenza sindacale ha portato
con sé la distinzione - ed anche la rivalità -
rispetto alle altre sigle. Distinzione e rivalità
che si sono accentuate con l’arrivo della
dirigenza e del contratto separato d’area, che
ha visto l’Anp sedere per la prima volta al
tavolo negoziale in posizione di preminenza
rappresentativa. Questo dato, anche se non
risolutivo (in assenza della maggioranza
assoluta), conferma a posteriori la validità
della scelta di correre da soli in difesa della
categoria.
A distanza di tempo, l’Associazione non ha
motivo di abbandonare l’una né l’altra scelta
strategica. Si è solo modificata la distribuzione
relativa di tempo e di sforzi fra i due settori,
in quanto l’avvenuta maturazione professionale
di gran parte della categoria rende
comparativamente meno urgente l’investimento in
formazione di base; mentre l’apertura dei tavoli
contrattuali nazionali e regionali richiede una
presenza costante ed impegnata sul versante
sindacale.
Associazione professionale e sindacato di
categoria, l’Anp non è però sindacato né
associazione nella stessa accezione che altri
danno a questi termini.
Come associazione, essa non dimentica di
essere associazione di dirigenti: i quali hanno la
specifica vocazione all’assunzione di
responsabilità personali ed all’esercizio di un
ruolo di guida all’interno delle proprie
strutture operative. L’attività di formazione
è quindi orientata agli aspetti culturali che
sostengono l’attività del dirigente: il che
comporta che si cerca di favorire lo sviluppo
delle competenze piuttosto che fornire
un’assistenza operativa. Negli stessi termini va
definita l’attività di consulenza: che è
consulenza al dirigente per sostenerne la capacità
di valutazione e di decisione e non può essere
risoluzione dei problemi specifici di gestione
delle singole unità scolastiche.
Come sindacato, l’Anp si distingue dalla
maggior parte degli altri che operano
nell’ambito della scuola per avere alcuni punti
di riferimento specifici:
- l’orizzontalità: cioè la scelta di
rappresentare una categoria professionale ben
precisa, quella dei dirigenti delle scuole. E’
sotto gli occhi di tutti che questo costituisce un
requisito fondamentale per poter difendere fino in
fondo gli interessi dei propri rappresentati. Le
responsabilità ed i compiti dei diversi soggetti
operanti nella scuola sono profondamente
differenziati fra loro; e tale diversità è
accentuata dal nuovo sistema delle relazioni
sindacali di istituto, che assegna ai dirigenti il
ruolo di parte datoriale. Coloro i quali
sostengono di poter armonicamente rappresentare
posizioni lavorative e responsabilità così
profondamente diverse fra loro, si trovano in
realtà costretti sempre più spesso a scegliere
di sostenere le ragioni degli uni contro quelle
degli altri. La forza dei numeri - non meno che
quella della loro storia e delle loro idee
profonde - li spinge quasi fatalmente, in questi
casi, a prendere le parti del personale
contro quelle del rappresentante
dell’Amministrazione;
- la particolare lettura della confederalità:
l’Anp fa parte di una confederazione di
dirigenti - la CIDA -, la cui natura è
profondamente diversa da quella delle
confederazioni sindacali degli altri lavoratori.
Queste ultime sono contraddistinte da una scelta
iniziale, che è quella di considerare preminente
il dato sociologico - la qualifica di
lavoratore dipendente - rispetto a quello professionale
- il livello di complessità e di responsabilità
delle funzioni svolte. Esse si propongono quindi
di rappresentare ciò che i lavoratori hanno in
comune piuttosto che ciò che li fa diversi.
Una scelta che è stata storicamente importante e
socialmente innovatrice al tempo in cui è stata
inizialmente formulata, in un contesto di diffusa
povertà e di relativa indifferenziazione nelle
strutture produttive, che consentiva di
semplificare drasticamente le scelte.
All’interno di un’economia profondamente
trasformata e resa più complessa, un’analisi
così elementare mal si presta ad intercettare la
grande varietà di esigenze di tutela e non offre
risposte significative soprattutto alle
professionalità più elevate, che vedono
sottovalutate - quando non deliberatamente
contrastate - proprio le qualità che
costituiscono il reale valore aggiunto della loro
attività. Accade così che quelle confederazioni
sindacali siano costrette ad operare
costantemente, al proprio interno, mediazioni di
natura politica, per stabilire le priorità fra le
diverse rivendicazioni e garantirne la
compatibilità reciproca. In questo esercizio,
alcune rivendicazioni - di solito quelle sostenute
da grandi numeri e da livelli relativamente meno
elevati di responsabilità - risultano di solito
vincenti, mentre il sostegno accordato alle altre
risulta quasi soltanto virtuale. La CIDA è invece
confederazione di dirigenti attivi in diversi
settori, ma con livelli di responsabilità
comparabili. La sua analisi degli interessi dei
lavoratori è più sofisticata e più moderna, in
quanto individua meglio ciò che fa diversi fra
loro i livelli di prestazione professionale e non
si preclude la comprensione delle differenze. Ne
è riprova anche la recente apertura ai quadri ed
alle elevate professionalità, che rappresenta la
consapevolezza della crescente complessità del
mondo del lavoro. Non è più vero quel che poteva
esserlo in passato: che vi fossero da una parte
coloro che comandavano e dall’altra tutti
gli altri, il cui ruolo era di eseguire. Nelle
aziende - ma anche nelle scuole - il management
diviene diffuso, cioè tende a distribuirsi
su ruoli e livelli di responsabilità in parte
diversi ed a coinvolgere un maggior numero di
profili lavorativi professionalmente qualificati.
L’aver compreso questo passaggio - e l’essersi
attrezzata anche sotto il profilo organizzativo e
statutario per rappresentarlo nelle sedi negoziali
- testimonia di una capacità e di una prontezza
di analisi e di correzione di scelte, che rende la
CIDA una confederazione diversa da tutte le altre
e l’unica in grado di garantire una reale
copertura degli interessi contrattuali dei
dirigenti delle scuole;
- la tutela della professionalità: la loro
storia e la loro matrice ideale condizionano altri
sindacati a posizioni di diffidenza, quando non di
antagonismo, verso la funzione datoriale. Questa
non può essere la posizione dell’Anp, sindacato
di dirigenti e parte di una confederazione che
tutela le alte professionalità. Ma questa
posizione rischierebbe di apparire corporativa, se
si fermasse solo alla tutela di pur legittimi
interessi. La nostra scelta va oltre e si fonda su
motivi culturali più profondi, convinti come
siamo che la funzione dirigente esista e si
legittimi a tutela degli utenti e degli stessi
lavoratori e non contro di essi. Solo
l’esistenza e la capacità di azione di una
qualificata classe dirigente consente infatti al
lavoro di svolgersi nelle condizioni più
favorevoli, sotto il profilo dell’efficacia e
dell’efficienza, ma anche sotto quello della
sicurezza dei lavoratori, dell’equità di
trattamento, della più corretta ed ampia
distribuzione delle risorse contrattuali.
Rivendichiamo quindi con orgoglio il nostro essere
sindacato di dirigenti e consideriamo tale
specificità come quella autentica che ci
distingue e ci qualifica rispetto ad altri.
Il definire con chiarezza ciò che ci fa diversi
dagli altri sindacati non significa ovviamente che
ci poniamo in posizione strutturalmente
antagonista rispetto ad essi: comporta però che
le eventuali convergenze si attuano sulle cose
e non sugli schieramenti e non hanno valore
di patti di unità di azione permanente, ma solo
quello di alleanze per un obiettivo.
Lavoriamo naturalmente perché tali alleanze siano
le più frequenti ed estese possibile: ma non
possiamo considerarle come un vincolo rispetto
alla nostra libertà di scelta strategica, che è
anche la ragione del nostro essere indipendenti.
TESI area 4:
4.1. - L’Anp vuole essere
un’organizzazione sindacale di dirigenti, con
fisionomia diversa rispetto a quelle degli altri
lavoratori della scuola, ma non antagonista
rispetto ad esse. Ricerca ed attua legami di
solidarietà e di collaborazione strutturale con
le organizzazioni sindacali dei dirigenti delle
amministrazioni pubbliche, all’interno della
Federazione dei dirigenti e delle alte
professionalità, che è parte della CIDA.
4.2. - In coerenza con l’evoluzione delle
politiche sindacali della Federazione di cui fa
parte, l’Anp intende sviluppare rapporti di
collaborazione ed intese con altre associazioni
professionali di quadri e di alte professionalità,
sia interne che esterne al mondo della scuola. In
tale ambito, si colloca lo stretto rapporto di
collaborazione con l’ANQUAP, entrata a far parte
della nostra stessa Confederazione.
4.3. - L’Anp vuole mantenere e
consolidare la propria funzione consolidata di
associazione di dirigenti, attiva nel promuovere
la cultura e la professionalità dei propri
associati e della categoria nel suo complesso. Nel
rispetto dell’autonomia dei dirigenti delle
scuole, essa si propone di migliorare, anche
attraverso la diffusione delle buone pratiche, la
loro attitudine ad impostare e risolvere
correttamente le questioni che si pongono nella
quotidiana attività di lavoro.
5. linee guida per la
contrattazione
Le linee guida dell’Anp per la contrattazione
dei prossimi anni derivano in larga misura
dall’esito della stagione negoziale appena
conclusa e dalle trasformazioni in atto nel
sistema di istruzione.
Il primo contratto della dirigenza delle scuole ha
consentito un risultato importante:
l’allineamento retributivo alla dirigenza
pubblica dell’area I, per quanto riguarda il
trattamento fondamentale. Ha però lasciato aperta
la questione della retribuzione accessoria, ancora
al di sotto di quelli che sono i livelli medi
degli altri dirigenti. La contrattazione
integrativa nazionale ha permesso di distribuire
le risorse complessive disponibili per
l’accessorio fra le diverse regioni: così
facendo, ha consentito l’avvio - per la prima
volta - di una contrattazione regionale.
Una volta costituiti i fondi regionali, non vi è
più motivo sostanziale di mantenere un livello
negoziale integrativo a livello di Ministero.
Saltando questo passaggio, fra l’altro, sarà
possibile accelerare i tempi fra la conclusione
del CCNL e quella dei CCIR, che sono quelli che
contano ai fini della distribuzione delle risorse.
In questa direzione spingono anche le
trasformazioni in corso nella struttura
dell’amministrazione scolastica e le modifiche
costituzionali, che trasferiscono alle sedi
regionali sempre più ampie competenze in materia
di governo del sistema di istruzione. E’ quindi
possibile tracciare alcune linee guida che, oltre
ad essere la logica evoluzione delle nostre
posizioni storiche, sono anche le più idonee a
gestire le innovazioni in divenire.
TESI area 5
5.1. - L’Anp è impegnata ad
esercitare tutto il peso della propria azione
politica per ottenere lo stanziamento di adeguate
risorse finanziarie in vista della stipula del
secondo CCNL. Tali risorse - oltre a garantire il
mantenimento dell’aggancio alla retribuzione
fondamentale degli altri dirigenti - dovranno
alimentare una significativa rivalutazione del
trattamento accessorio, tendendo alla completa
parificazione nell’arco del quadriennio
2002-2005.
5.2. - L’Anp è impegnata ad ottenere che
la retribuzione di posizione - oltre ad essere
consistentemente rivalutata - valorizzi le
differenze di carichi di lavoro e di responsabilità.
5.3. - I livelli di contrattazione debbono
essere ricondotti a due (nazionale e regionale),
con l’abolizione del livello integrativo
nazionale, non più utile dopo la costituzione dei
fondi regionali.
5.4. - Va costituito un ente bilaterale
autonomo per la gestione delle attività di
formazione e di aggiornamento dei dirigenti delle
scuole, da finanziare con risorse
extracontrattuali, come stabilito dal Patto
Sociale del 1998, in misura non inferiore all’1%
del monte salari.
5.5. - Va costituito un albo unico
nazionale di tutti i dirigenti pubblici,
contenente - oltre ai risultati delle verifiche e
delle valutazioni periodiche - anche il curricolo
culturale e professionale di ciascun dirigente, da
tenere aggiornato a cura del dirigente stesso e
dell’Amministrazione. Da tale albo potranno
essere estratte sezioni regionali, cui i dirigenti
degli uffici scolastici competenti faranno
riferimento al momento del conferimento degli
incarichi dirigenziali e di quelli aggiuntivi.
5.6. - L’Anp si impegna a ricercare le
strade per ottenere che, nell’ambito del CCNL
del comparto scuola - o con altro idoneo strumento
contrattuale, che non incida sulle risorse
destinate ai dirigenti - sia individuato un fondo
specifico per la retribuzione dei collaboratori
direttamente designati dal dirigente, che li
sottragga all’alea della contrattazione generale
sul fondo di istituto. Tale possibilità è
fondamentale per consentire al dirigente di
costituirsi uno staff realmente adeguato ai
bisogni della scuola affidatagli.
6. la struttura
organizzativa come mezzo e come fine
Ogni organizzazione costruisce nel tempo la
propria struttura seguendo due logiche distinte:
- da un lato quella della necessità, che
significa tener conto del contesto e dei vincoli
che esso comporta;
- dall’altro quella dell’identità, che
esprime il voler essere
dell’organizzazione, la missione che vuole
realizzare, il modo in cui si rappresenta a se
stessa.
L’attuale struttura periferica dell’Anp -
basata sulle sezioni provinciali - è stata a suo
tempo una scelta del primo tipo, in quanto
speculare a quella dell’Amministrazione
scolastica con la quale occorreva confrontarsi. In
occasione del V Congresso - quando per la prima
volta si affacciò il tema della regionalizzazione
- essa ha mutato parzialmente significato,
diventando anche la proiezione di come le
strutture organizzative sul territorio volevano
vedere se stesse in una fase di transizione.
In conseguenza di quella scelta, la struttura
regionale attualmente esistente rappresenta
un’entità di secondo livello, derivata
da quella fondamentale e da essa dipendente sotto
il profilo funzionale (dei consigli regionali
fanno parte solo i presidenti provinciali).
Il contesto, nel frattempo, è cambiato:
l’Amministrazione si è data, pur fra molte
resistenze, una dimensione regionale. A livello
regionale si è svolta la contrattazione
integrativa, con qualche problema organizzativo là
dove i nostri consigli regionali non sono stati
sufficientemente rapidi nel prendere le misure del
nuovo rapporto.
Si pone quindi - in termini non più rinviabili -
il problema di un diverso assetto organizzativo
futuro. Sulle innovazioni statutarie, sarà il
Congresso a pronunciarsi; ma, dal punto di vista
delle necessità organizzative, occorre tener
presente che:
- l’Anp è e vuole rimanere sindacato:
come tale, essa deve disporre di strutture
corrispondenti a quelle della controparte
negoziale, cioè l’Amministrazione. E’ quindi
necessario che vi siano soggetti dotati di una
legittimazione diretta rispetto alla base, che
possano rappresentarne gli interessi al tavolo
contrattuale regionale;
- l’Anp è e vuole rimanere associazione
professionale, e come tale sede di confronto
culturale e di formazione permanente dei propri
iscritti e di tutta la categoria. Queste funzioni
richiedono la disponibilità di risorse
finanziarie significative, che mal si accordano
con la polverizzata realtà organizzativa attuale.
Occorrerà quindi pensare ad una diversa
dislocazione delle strutture rappresentative e
decisionali periferiche, che coniughi
efficacemente la necessità di essere
capillarmente presenti in tutte le realtà con
quella di costituire soggetti che siano in grado -
per le dimensioni non meno che per il livello di
risorse professionali e finanziarie disponibili -
di svolgere funzioni di rappresentanza negoziale e
di orientamento professionale all’altezza delle
necessità emergenti.
Fin qui le scelte direttamente o indirettamente
orientate dal contesto amministrativo e dalla
volontà di esistere e di agire sul territorio,
per perseguire quelli che sono stati i nostri
obiettivi tradizionali. Ma un altro aspetto
occorre considerare, che attiene alla
rappresentazione di sé che l’Anp vuole
elaborare in prospettiva futura.
L’Associazione fa parte di una confederazione di
dirigenti, aperta di recente anche alle alte
professionalità. E’ coerente con tale scelta
quella di rivolgere un’attenzione particolare
all’emergere di professionalità elevate anche
nell’ambito della scuola. La scuola
dell’autonomia è, sì, guidata dal dirigente:
ma è anche quella in cui di necessità esistono e
si vanno sviluppando figure intermedie di docenti,
designati dal dirigente o portatori di un mandato
da parte dei colleghi, il cui compito si colloca a
metà strada fra la didattica e la metadidattica,
fra le funzioni di linea e quelle di staff. Fra
questi colleghi si trovano anche coloro che
accederanno in futuro alla dirigenza formale degli
istituti.
Siamo in presenza di un’esigenza di evoluzione
strutturale che non è dettata da vincoli già
manifesti ed operanti come tali, ma che discende
dalla nostra vocazione ad interpretare il
cambiamento in anticipo rispetto ad altri. Il
management diffuso è una realtà già consolidata
in ambito aziendale e che si va affermando
rapidamente anche nelle pubbliche amministrazioni:
essa è il portato, fra l’altro, della crescente
complessità delle strutture produttive e delle
realtà sociali. Ma sul suo sviluppo incidono
anche le trasformazioni in corso, che vedono lo
spostamento delle logiche amministrative da un
modello accentrato e gerarchico, in cui i centri
decisionali sono pochi e remoti, ad un altro,
decentrato e reticolare, in cui i luoghi di
analisi e decisione si spostano in prossimità
dell’utente e si moltiplicano.
Continuare a pensare il ruolo della dirigenza in
termini di isolamento e di gerarchia significa
rimanere ancorati alla visione tradizionale della
dirigenza amministrativa ministeriale, in
un’epoca ed in un contesto socio-culturale in
rapida evoluzione. Le riforme costituzionali e
quelle che dovranno derivarne sul piano della
normativa secondaria ci dicono che il futuro
prossimo assegna un ruolo ai dirigenti che sanno
costituirsi uno staff operativo efficiente ed
agile, per agire come nodi decisionali di una rete
diffusa sul territorio. Spetta a noi, che abbiamo
anticipato per tanti versi la crescita
dell’autonomia all’interno della società
civile, individuarne tempestivamente le
implicazioni per la vita e l’attività di
associazioni come la nostra.
Ne deriva la necessità che - nel ridisegnare la
struttura complessiva dell’Anp - si tenga conto
non solo delle necessità già emerse ed
individuate, ma di quelle che si collocano in una
prospettiva imminente. Fra queste, quella di
assicurare uno spazio di rappresentanza interna -
in forme che potranno essere studiate - a quelle
figure professionali che operano a più stretto
contatto con il dirigente all’interno delle
scuole e che costituiscono la risorsa
professionale più preziosa per garantire il
successo del suo progetto di gestione ed il
raggiungimento dei risultati su cui egli stesso
giocherà la propria credibilità ed il
consolidamento del suo ruolo.
TESI area 6:
6.1. - Il
livello di organizzazione regionale
dell’Associazione dovrà essere espressione
diretta e non mediata del mandato fiduciario degli
iscritti per rappresentarne efficacemente gli
interessi di fronte all’Amministrazione. Per far
questo, le strutture regionali non devono più
essere emanazione di quelle provinciali, ma devono
avere legittimazione autonoma.
6.2. - L’Associazione vuole aprire le
proprie strutture - secondo forme e modalità da
individuare - anche alle alte professionalità
emergenti all’interno delle scuole, in primo
luogo ai collaboratori direttamente designati dal
dirigente ed alle figure di staff.
|