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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

VI Congresso Anp

Materiali per la discussione

1987-2002: autonomia e oltre

Quindici anni fa, si svolgeva a Roma il congresso istitutivo dell’Associazione, dopo un periodo di vivaci riflessioni e dibattiti circa il ruolo dei capi di istituto, le linee strategiche del nuovo soggetto associativo e lo spazio che esso si proponeva di occupare nel panorama dell’associazionismo professionale scolastico.
Fin dall’inizio, l’obiettivo politico da perseguire fu individuato nel binomio "Autonomia e Dirigenza", che prefigurava al tempo stesso un traguardo di realizzazione professionale per i singoli ed un’opportunità di effettivo rinnovamento per la scuola. Sarà utile ricordare che quelli erano gli anni in cui sembrava vincente la linea della "riforma dal centro", promossa e saldamente orientata dall’Amministrazione. Progetti assistiti, progetto ‘92, programmi Brocca: tutto sembrava testimoniare di una forte vitalità ministeriale, tanto che parlare di autonomia delle scuole poteva sembrare l’espressione di una remota utopia.
I fatti si sono incaricati di dimostrare il contrario: le sperimentazioni ministeriali si sono tutte arenate e gli anni Novanta si sono chiusi all’insegna di una forte spinta verso il decentramento amministrativo e lo sviluppo delle autonomie locali. In questo contesto, la scuola ha ottenuto il riconoscimento della propria autonomia funzionale, da ultimo elevata a rango costituzionale dalla legge 3/2001; ed a questo passaggio ha fatto da necessario complemento il riconoscimento della qualifica dirigenziale per i capi di istituto.
Nel momento in cui si accinge a celebrare il proprio VI Congresso Nazionale, dunque, l’Anp può ben dire di aver conseguito il pieno successo della propria scelta politica iniziale. Proprio da questa constatazione è necessario trarre impulso per individuare nuove strategie per il futuro.

Una nuova frontiera
E’ doveroso constatare che l’autonomia delle scuole - definita nelle linee essenziali dai testi normativi - stenta tuttora a tradursi pienamente in realtà operativa, a causa di numerose resistenze e di veri e propri tentativi di controriforma. È anche evidente che non ci si può fissare per obiettivo solo quello di consolidare le acquisizioni passate e di difenderle dagli attacchi degli avversari, storici o recenti: si rischia altrimenti di ripetere l’esperienza di altri movimenti nati come innovatori - anche in ambito sindacale - che appaiono oggi in difficoltà nel confrontarsi con le mutate condizioni culturali ed economiche del Paese e si arroccano nella difesa dell’esistente, considerato come il punto di sviluppo più avanzato possibile.
L’Anp non può commettere questo errore. Essa è espressione di una categoria professionale la cui stessa ragion d’essere è quella di operare guardando al futuro, perché la scuola rappresenta l’investimento di ogni popolo sul proprio domani. Non le è consentito - neppure nel ricordo della propria lungimiranza passata - di trasformarsi in una forza conservatrice, incapace di guardare al futuro e di leggerne ed accettarne le sfide sempre mutevoli.
Occorre quindi individuare una nuova frontiera, un insieme di obiettivi politici e sindacali che, partendo dall’analisi della situazione presente, definiscano la via da percorrere per i prossimi anni; in coerenza con la storia associativa passata, ma anche in sintonia con le esigenze del Paese e del sistema formativo, che deve utilizzare appieno le potenzialità dell’autonomia per colmare antichi svantaggi e porsi come fattore di propulsione nello sviluppo della comunità civile.
E’ questo il senso del titolo scelto per presentare il VI Congresso: autonomia e oltre, per indicare che - nel momento in cui assumiamo con orgoglio l’eredità della nostra profezia realizzata - abbiamo anche chiara l’esigenza di non arrestarci al culto di ciò che è stato acquisito, per spostare il traguardo verso un orizzonte più lontano, ma anche più avanzato.

Il contesto
Per l’Anp, la fisionomia del dirigente delle scuole è quella linearmente descritta dall’art. 25 del D.Lgs. 165/01, e non a caso inserita in un quadro unitario di norme che regolano tutte le dirigenze del pubblico impiego. Nel confronto, è agevole riconoscere i molti punti di omogeneità ed anche alcune innegabili differenze.
Ma proprio questo inserimento della dirigenza delle scuole nel quadro della dirigenza pubblica di natura amministrativa suscita - è bene ricordarlo - una serie di resistenze, di varia matrice culturale e politica, che si sono ripetutamente manifestate negli scorsi mesi. Fra di esse vanno almeno citate:
- la corrente di pensiero che si rifà al concetto di specificità. Da quest’area è venuta storicamente una delle resistenze più tenaci alla piena acquisizione della dirigenza, sorretta dall’argomento che la tutela costituzionale della libertà di insegnamento si estendesse a qualunque funzione professionale esistente nella scuola (dal preside al bidello), sottraendo tutti a qualunque riferimento esterno e consolidando il modello della torre d’avorio. Un’idea di libertà assoluta, nel senso etimologico di sciolta da qualunque vincolo, che si è di fatto tradotta nell’autoreferenzialità e nella separatezza rispetto a qualunque tentativo di valutazione;
- la dottrina che si rifà alla definizione, sempre controversa, di leader educativo. Il modello teorico è arduo da definire con esattezza, in quanto cerca di arrivare ad una definizione del ruolo partendo da concetti e funzioni che appartengono più propriamente al profilo docente. In realtà risulta abbastanza chiaro ciò che i suoi autori rifiutano - la dimensione organizzativa, quella gestionale, quella negoziale - ma molto meno ciò che propongono. Il rischio per il consolidamento della figura dirigenziale è però grave, perché questo filone di pensiero tende ad intercettare uno stato d’animo, diffuso fra i colleghi, di stanchezza per l’aumento esponenziale degli adempimenti burocratici e del contenzioso interno. Esiste il pericolo che quel che è in realtà dovuto alla patologia del sistema (in quanto causato dall’incompleta transizione tra vecchio e nuovo), venga percepito come effetto proprio del nuovo e produca quindi una reazione di rigetto ed il desiderio di ritorno ad una mitica - ed ovviamente inesistente - età dell’oro, dove l’indistinzione delle funzioni e delle responsabilità avrebbe il potere di annullare i conflitti;
- la tentazione ricorrente del primus inter pares, erede di una nostra vecchia tradizione politico-culturale. Anche in tempi recenti, essa si è riproposta in analisi e proposte di riforma, che prefiguravano una scuola acefala, da cui il dirigente era assente, o respinto al ruolo di amministratore remoto di un gruppo di scuole. La suggestione è evidente quanto insidiosa: si strizza l’occhio alle risorgenti tentazioni del coordinatore didattico di plesso, elettivo, che non d’altro si occupi - finalmente! - che di didattica, primus inter pares e solo dai pari legittimato e prescelto;
- la visione dei sindacati di comparto, che da sempre considera con sospetto la separazione di funzioni e le gerarchie, cui contrappone l’unità all’interno di un unico contenitore contrattuale, nel quale i diversi livelli rappresentino solo gradini di un modello funzionale poco differenziato: il lavoratore della scuola, appunto;
- l’eredità di parte della cultura egualitarista, che non ha mai accettato fino in fondo la logica della responsabilità e della distinzione di funzioni, preferendole un generico solidarismo intriso di spirito pietistico, intrinsecamente ostile alla meritocrazia ed alla gestione efficace;
- il diffuso pregiudizio antiaziendalistico, fatto di netta ostilità per tutto ciò che sia, o appaia, connesso con i modelli organizzativi propri del mondo del lavoro, percepiti come antagonisti rispetto alle logiche del mondo della formazione. Ne consegue che, ogni volta che si cerca di connotare la funzione del dirigente in termini di organizzazione e gestione, affiora un evidente riflesso di insofferenza e di rifiuto, come se - sulla porta della presidenza - si materializzasse lo spauracchio ottocentesco del nemico di classe, del padrone.

Uno sguardo sul futuro
Nel disegnare le linee strategiche lungo cui si muoverà l’associazione nei prossimi anni, occorre tener conto di questo contesto. Esso conduce ad individuare alcune questioni, di natura in parte politica ed in parte culturale, che qui si propongono, suddivise in aree, per il dibattito e le decisioni congressuali:
1. la scuola dell’autonomia fra impresa educativa ed azienda
2. la scuola dell’autonomia al tempo del federalismo
3. autonomia del sindacato e primato della politica
4. natura sindacale e vocazione professionale dell’Anp
5. linee guida per la contrattazione
6. la struttura organizzativa come mezzo e come fine

1. la scuola dell’autonomia fra impresa educativa ed azienda
E’ venuto per la scuola il tempo di fare i conti con la modernità, affrancandosi dal peso di un luddismo educativo durato trent’anni. Fra le eredità più tenaci del Sessantotto va annoverata infatti quella sbrigativa damnatio memoriae del mondo del lavoro, che si è prolungata fino ai nostri giorni, come, per altro verso, un consolidato pregiudizio aziendale circa l’inadeguatezza della scuola al compito di preparare lavoratori e cittadini adulti all’altezza dei loro compiti sociali.
La scuola, naturalmente, non corrisponde al ritratto negativo ed inconcludente presente in certa vulgata aziendale. Ma l’azienda, a sua volta, fino a che punto ha i tratti di quell’impero del male, dominato unicamente dalla ricerca del profitto, con cui è stata rappresentata nelle nostre scuole fino a tempi molto recenti?
Servirebbe invece riconoscere con pacatezza che né l’una né l’altra possono pensare di esercitare un’assoluta egemonia culturale rispetto ai giovani prima ed agli adulti poi. Tutti coloro che approdano nelle aziende sono passati dalla scuola; purtroppo, non tutti coloro che passano per la scuola approdano poi ad un soddisfacente rapporto con il mondo del lavoro: ed a volte tale disadattamento è conseguenza anche di un’immagine distorta della realtà che li attende. E’ abbastanza frequente, infatti, che le persone di scuola si rappresentino la realtà aziendale sulla base del sentito dire - in qualche caso anche del pregiudizio - piuttosto che dell’effettiva conoscenza delle sue logiche interne di funzionamento.
E’ tempo di dire con chiarezza che la scuola non è identificabile in un’azienda, dalla quale la distinguono troppe cose: non ha (né può avere) per fine il profitto economico; non può obbedire al principio di selezionare solo gli investimenti produttivi; non può avere come criterio prioritario di valutazione delle scelte la pura efficienza; non ha un ciclo predeterminato di ammortamento per i propri investimenti; non può adottare per il personale il vincolo di fedeltà esclusiva alle scelte ed alla filosofia aziendali; e molto altro ancora.
Ma è anche tempo di dire, con non minore chiarezza, che riconoscere le differenze non vuol dire negare le affinità: e, soprattutto, non può avere per effetto di rimuovere una serie di esigenze sostanziali, che costituiscono pure dei valori comuni.
Se è vero che la scuola non ricava un profitto economico dalle risorse che impiega, questo non ne giustifica in alcun caso un uso antieconomico e neppure l’indifferenza per il rapporto costi/benefici: il che comporta l’obbligo di valutare i risultati effettivi e di metterli a riscontro con quelli attesi.
La cultura della valutazione - da sempre presente in ambito aziendale - deve svilupparsi anche nella scuola, come premessa e complemento indispensabile dell’autonomia. Se una scuola etero-diretta può infatti limitarsi all’adempimento passivo di compiti e procedure, una scuola autonoma può essere tale solo se sceglie di valutarsi ed essere valutata. La libertà di insegnamento, argomento tradizionalmente impiegato per rimuovere il problema, è cosa troppo seria ed importante per poter essere utilizzata come schermo strumentale per evitare di confrontarsi con le carenze di professionalità o di deontologia di coloro che hanno la responsabilità di insegnare.
Né può comportare, oltre alla sacrosanta libertà di scelta dei mezzi educativi e delle tecnologie didattiche, anche la sostanziale irresponsabilità in ordine ai contenuti. Non esistono professionisti, al di fuori del mondo delle arti, che siano committenti di se stessi. La committenza viene legittimamente anche dall’esterno, attraverso una sintesi di scelte operate in sede nazionale e locale: ai professionisti della scuola spetta interpretarla e tradurla in atti di insegnamento, non rifiutarla in nome di una totale autoreferenzialità.
E’ tempo anche di dire con chiarezza che la scuola ha caratteri riconoscibili e non rinunciabili di impresa formativa, in quanto:
- deve adattare le proprie strutture organizzative alle esigenze del miglior funzionamento e non l’inverso, come troppo spesso , per ragioni strutturali, è accaduto in passato. I concetti di management diffuso, di learning organization, non sono astrazioni da dibattito accademico, ma strumenti di gestione con cui l’impresa è ormai familiare, ma che devono far parte anche del patrimonio culturale della scuola dell’autonomia;
- deve essere guidata da un dirigente che fondi la sua professionalità non solo sulle indispensabili conoscenze teoriche e normative, ma sulla capacità suasoria e relazionale; che sappia, cioè, gestire le risorse umane non meno che quelle finanziarie e strumentali, traendo da ciascuna di esse il massimo potenziale compatibile con le circostanze;
- ha l’obbligo di organizzarsi per funzionare in termini di riequilibrio del diritto di accesso ai servizi sociali fondamentali. Ciò in quanto essa attinge principalmente alla leva fiscale ed utilizza quote di ricchezza prodotte altrove - principalmente attraverso il sistema delle aziende e del mondo produttivo - per alimentare la propria attività;
- ha l’obbligo di curare che le risorse professionali in ingresso siano le migliori disponibili nel contesto in cui opera; e di operare a sua volta per la manutenzione costante di tali risorse, perché si collochino sempre al più alto livello;
- ha l’obbligo di perseguire l’efficacia educativa, cioè di impiegare prioritariamente le risorse per conseguire nel più alto grado possibile gli obiettivi di formazione assegnati, anche se questo andasse in qualche caso a detrimento dell’efficienza pura;
- ha il dovere di offrire risposte formative adeguate non soltanto alla domanda formulata dall’utenza consapevole ed organizzata, ma anche ai bisogni di cui sono portatori quelli fra i suoi utenti che possono non trovare da soli le parole ed i mezzi per manifestare le proprie necessità;
- in questo senso ha anche il dovere di dire con chiarezza ai propri utenti, se è necessario, che in ambito educativo il cliente non ha sempre ragione, troppo grande e connaturata al rapporto didattico essendo la differenza di competenze specifiche tra chi insegna e chi apprende. Ma questo che è un dovere, come tutti i doveri costitutivi di una situazione di privilegio, è anche costitutivo di una più grande responsabilità sul piano dell’etica professionale, della quale occorre essere, e mantenersi, all’altezza;
- come tutti coloro che investono risorse altrui per fini assegnati, ha il dovere di rendere conto, nelle forme e con le modalità stabilite, dell’impiego fattone e dei risultati ottenuti.

TESI area 1:
1.1. - La scuola non è un’azienda e non può assimilarne acriticamente i modelli e la cultura. Il suo compito include peraltro la formazione della persona per una cittadinanza ed una vita lavorativa nella quale l’azienda, e in genere il lavoro, sarà parte centrale. Essa non deve quindi interiorizzare nel proprio percorso formativo o nei propri modelli culturali impliciti pregiudizi antiaziendalistici.
1.2. - La scuola è invece un’impresa formativa, nel senso che non produce direttamente ricchezza economica, ma utilizza per il proprio funzionamento parte della ricchezza prodotta altrove, configurandosi come un investimento della società civile sul proprio futuro. Come tutti coloro che investono risorse altrui, ha il dovere di essere oculata e di cercare di trarre il massimo rendimento - culturale e formativo - dalle risorse assegnate.
1.3. - La scuola è di fatto "sul mercato" della formazione, ma non adotta "logiche di mercato" nella propria elaborazione culturale. In una logica di mercato, il cliente-utente ha automaticamente "ragione", in quanto finanzia direttamente il prodotto. In una logica formativa, il cliente-utente ha il diritto di concorrere a definire gli indirizzi generali, non gli strumenti operativi né le scelte di natura tecnico-professionale. Come per le altre committenze rivolte a professionisti dei diversi settori, è corretto indicare il risultato atteso, ma occorre rispettare le competenze professionali nella scelta dei mezzi e delle tecnologie.
1.4. - Il dirigente di azienda è responsabile dell’efficienza economica, il dirigente della scuola deve prestare un’attenzione preminente all’efficacia formativa. Per questo motivo non può dare ascolto unicamente alla "domanda di formazione", ma deve garantire anche la lettura dei "bisogni formativi" che non sempre trovano, in chi ne è portatore, la voce per esprimersi.
1.5. - Sia il dirigente di azienda che il dirigente di un’impresa formativa sono responsabili dell’uso ottimale delle risorse, ma ne rispondono a soggetti diversi: il primo alla proprietà dell’azienda, il secondo alla collettività che gli assicura i finanziamenti. Al primo si chiede legittimamente di agire in nome del massimo profitto economico; al secondo si deve chiedere di garantire un accesso al servizio che sia universale, etico, solidale ed equo.
1.6. - Pur nella distinzione dei ruoli e delle politiche di gestione, azienda ed impresa educativa non possono essere antitetiche, né devono alimentare reciproche diffidenze. Senza il profitto prodotto dalle aziende, l’impresa formativa non disporrebbe di sufficienti risorse finanziarie per svolgere il suo compito etico e sociale; ma se la scuola non fosse posta in condizione di curare lo sviluppo di tutto il capitale umano affidatole, a prescindere dalla redditività dell’investimento sui singoli individui, le aziende non disporrebbero di risorse umane nella quantità e nei livelli necessari a sostenerne la produttività.


2. la scuola dell’autonomia nel tempo del federalismo
Il federalismo è una forma di organizzazione degli stati e non costituisce un’ideologia o una religione. Nell’attuale fase storica esistono ragioni prevalenti per considerarlo come un assetto preferibile rispetto a quello centralizzato: ciò che in altri tempi ed altre circostanze potrebbe non essere stato o non essere vero. Fra le ragioni che inducono l’Associazione a valutare con favore la prospettiva di una redistribuzione verso la periferia di parte dei poteri già esercitati dallo Stato centrale, vi sono:
- la possibilità per i cittadini di seguire più da vicino il formarsi della volontà politica ed amministrativa nelle decisioni che li riguardano, e conseguentemente di decidere con cognizione di causa se coloro a cui hanno dato mandato di amministrarli hanno bene operato e meritano la riconferma;
- nello specifico campo della formazione, il federalismo consente agli utenti di manifestare i propri orientamenti ed i propri desideri, che vanno ovviamente mediati rispetto a quelli che sono gli ordinamenti di base e le finalità generali del servizio di istruzione;
- l’attribuzione ai livelli di governi locali di più estese funzioni in materia di formazione consente all’autonomia delle scuole di sostanziarsi di contenuti. Al tempo stesso chiama in causa il ruolo negoziale del dirigente nel gestire i rapporti fra le richieste del territorio e le risorse e gli orientamenti professionali interni dell’istituzione scolastica;
- la flessibilità curricolare e la possibilità di governare un sistema di opzioni didattiche definite in sede locale offre alle scuole l’opportunità di coinvolgere maggiormente l’utenza, sia per quanto riguarda la motivazione dei giovani agli studi che la disponibilità delle famiglie a farsi carico del reperimento di risorse aggiuntive.
Naturalmente, ogni maggiore spazio di libertà comporta l’assunzione di responsabilità ulteriori di governo ed un più alto livello di vigilanza per evitare possibili effetti indesiderati, quali potrebbero essere:
- l’aumento dei costi per l’erogazione del servizio, in caso di eccessiva frammentazione dell’offerta e del sistema di opzioni;
- la possibilità di un’ineguale distribuzione delle opportunità formative sul territorio, con conseguente pregiudizio per l’esercizio dei diritti civili fondamentali;
- l’indebolimento del senso di cittadinanza e del legame solidale fra i membri di una stessa comunità, ove si eccedesse nel dare spazio a ciò che divide piuttosto che a ciò che si può ricondurre a fattore comune.
Ma soprattutto va tenuta presente, per prevenirla, la tentazione - già affiorata qua e là in esperienze di autonomia territoriale regionale o subregionale - di utilizzare l’autodeterminazione degli enti locali per comprimere gli spazi di autonomia didattica delle scuole. Si avrebbe in tal caso una interpretazione distorta dei principi, ed un neo-centralismo regionale, anziché una differenziazione del servizio.
Se si sono qui richiamate alcune possibili conseguenze indesiderate del decentramento di poteri, non è certo per darne una lettura d’insieme negativa, che avrebbe come esito la conservazione dell’esistente, anche quando - come nel caso della scuola - le controindicazioni sono assai numerose e tutte note.
L’Associazione ritiene invece necessario proseguire sulla strada del cambiamento ormai intrapreso - che semmai procede fra troppe lentezze ed oscillazioni - avendo ben chiaro che il decentramento amministrativo e l’autonomia delle scuole sono due facce di una stessa medaglia e non possono in alcun caso collocarsi in antitesi ed in concorrenza l’una con l’altra.
Che lo Stato abbandoni un certo numero di ambiti amministrativi non può del resto avere come conseguenza la sua indifferenza o estraneità rispetto al livello di fruizione dei diritti civili da parte dei cittadini. Va richiamato qui il concetto di sussidiarietà, che impone al livello più elevato di responsabilità di intervenire a sostegno e correzione del livello immediatamente sottostante quando quest’ultimo abbia difficoltà ad azionare correttamente i poteri che gli sono stati assegnati. Se quindi lo Stato governerà più da lontano e in un minor numero di ambiti, ciò richiede che i suoi poteri sostitutivi e correttivi restino intatti ed anzi, se mai, si rafforzino. Solo un forte centro può infatti sostenere e far crescere una forte autonomia locale in sicurezza e nell’interesse dei cittadini: un centro debole o assente è il peggior viatico che si possa immaginare alla nascente autonomia delle comunità locali e alla funzionalità del servizio scolastico.

TESI area 2:
2.1. - L’Associazione è favorevole al consolidamento ed allo sviluppo del federalismo, sia in ambito legislativo che amministrativo, ed anche nell’organizzazione del servizio scolastico, perché ne vede le potenzialità positive: responsabilizzazione dei centri di spesa e di erogazione delle risorse; controllo di prossimità dei cittadini rispetto alla sede delle decisioni che li riguardano; più agevole lettura delle necessità di servizi agli utenti da parte dei soggetti decisori; accresciuto controllo democratico degli amministrati rispetto agli amministratori.
2.2. - L’Associazione è consapevole delle conseguenze indesiderabili che una distorta o superficiale applicazione delle tesi federaliste può introdurre nel tessuto sociale: aumento dei costi per i servizi; diseguaglianza nell’accesso ai servizi pubblici fondamentali e nell’esercizio dei diritti civili; indebolimento del concetto di cittadinanza e del legame solidale fra i membri della comunità.
2.3. - In particolare, l’Associazione segnala la possibilità che lo spostamento in periferia dei centri di decisione relativi al funzionamento delle scuole produca una compressione dell’autonomia anziché il suo sviluppo e la sua tutela. Ricorda che il processo di trasferimento di competenze agli enti locali è parte dello stesso disegno che ha condotto ad attribuire rango costituzionale all’autonomia delle istituzioni scolastiche e non può collocarsi in antinomia con esso.
2.4. - Nella redistribuzione dei poteri, fra centro e periferia, non può determinarsi una situazione di sostanziale irresponsabilità nei confronti dei cittadini: pertanto, a fronte di un ampliamento della sfera decisionale degli enti locali, i poteri del centro debbono restringersi quanto all’estensione delle materie, ma debbono diventare più chiari ed anche più forti per quanto riguarda gli interventi correttivi e sostitutivi che si rendessero eventualmente necessari per la tutela dei principi costituzionalmente protetti o per la garanzia dell’effettiva uguaglianza di diritti fra i cittadini.



3. autonomia del sindacato e primato della politica
L’Anp non ha mai voluto avere una parte politica di riferimento, ed ha invece adottato una linea di indipendenza rispetto ai diversi schieramenti.
Questo ha costituito fin dall’inizio un punto di forza ed un fattore di crescita associativa, in quanto ha permesso di riunire capi di istituto di matrici culturali ed ideali molto diverse fra loro, accomunati dall’appartenenza ad un’etica condivisa della professione, ed ha grandemente arricchito la nostra elaborazione e la capacità di proposta attraverso il dialogo ed il confronto interno fra posizioni diverse.
Per altro verso, questa scelta è stata anche all’origine di una problematicità permanente: come posizionarsi rispetto ai governi di diverso colore succedutisi nel tempo? come decidere, di volta in volta, se essere a favore o contro le varie ipotesi di riforma e le innovazioni normative? e come, in particolare, collocarsi ora, quando l’asprezza del confronto fra maggioranza ed opposizione sembra rendere impossibile o irrealistica l’equidistanza?
A queste domande, i singoli tendono - legittimamente - a rispondere secondo i propri orientamenti politici: ma che risposta deve dare un’associazione che, per definizione, non ha sposato alcuno schieramento?
Da questa apparente impasse si può uscire solo ricordando quelle che sono le ragioni storiche ed ideali della nostra esistenza: la difesa dell’autonomia funzionale delle scuole, la promozione professionale dei loro dirigenti.
Un sindacato a vocazione professionale come il nostro opera le sue scelte concrete, di volta in volta, tenendo presenti alcuni principi:
- validità: la questione o la proposta in discussione è suscettibile di rafforzare l’autonomia funzionale delle scuole e il ruolo professionale dei loro dirigenti?
- eticità: l’ambito scolastico è ambito educativo ed ha, tra le sue finalità, quella di agire come fattore di superamento delle differenze iniziali di opportunità determinate dal contesto sociale. Esso utilizza, infatti, in misura prevalente, risorse pubbliche alimentate dalla fiscalità generale, il cui scopo è quello di consentire a tutti i cittadini l’accesso ai servizi fondamentali, a prescindere dalla loro potenzialità reddituale. Nessuna riforma può ottenere la nostra approvazione se non si colloca in questa linea o se addirittura dovesse operare in senso contrario;
- universalità: anche se lo sviluppo del federalismo politico ed amministrativo apre legittimamente spazi di autodeterminazione locale, il servizio di istruzione ha tuttora una prevalente funzione di chiave di accesso ai diritti di cittadinanza, che devono essere assicurati a tutti i cittadini. Questo è vero in particolare nella fascia dell’obbligo scolastico, ma non può essere rimosso del tutto anche dall’ambito di quello formativo. Ogni riforma o proposta va quindi valutata anche alla luce della sua attitudine a migliorare le condizioni dell’apprendimento per il maggior numero possibile di utenti;
- economicità: fra le responsabilità tipiche del dirigente si annoverano quelle relative al controllo di gestione, e cioè alla capacità di utilizzare al meglio le risorse poste a disposizione. Dal momento che la scuola vive principalmente di finanza derivata, ogni innovazione normativa che deteriori l’efficienza della gestione (anche in termini di inutili complicazioni procedurali e di allungamento dei tempi operativi) si traduce in un abbassamento dei livelli del servizio: e come tale va contrastata.

TESI area 3:
3.1. - L’Associazione riconferma la sua tradizionale indipendenza da ogni schieramento politico; la sua esclusiva fedeltà alla tutela della qualità del servizio scolastico, attraverso l’autonomia; la vocazione a promuovere e sviluppare il livello di dignità e qualità professionale dei dirigenti. Alla luce di questi principi, sceglie le posizioni da assumere e le alleanze da perseguire.
3.2. - L’Associazione riconferma che non considera tale indipendenza come indifferenza per le tesi in campo. Al contrario, essa costituisce il presupposto per potersi esprimere con la massima libertà, per poter contare e per influenzare il formarsi della pubblica opinione e le scelte del decisore politico in materia scolastica.
3.3. - L’Associazione riconferma la propria neutralità rispetto a qualunque maggioranza di governo, che sarà giudicata solo sulla base della sua concreta azione politica ed amministrativa. E’ del tutto evidente, comunque, che chi nel tempo rappresenta il potere esecutivo rimane di necessità l’interlocutore principale per lo sviluppo delle finalità associative.
3.4. - L’Associazione riconferma la propria scelta di campo in favore di un servizio di istruzione pubblico - che non vuol dire solo statale -, solidale, universale ed equo.

4. natura sindacale e vocazione professionale dell’Anp
L’Anp è nata come associazione professionale ed ha assunto successivamente valenza sindacale. La tutela degli interessi della categoria, iscritta fin dall’inizio negli obiettivi associativi, fu in un primo tempo affidata alla ricerca di convergenze operative con i soggetti sindacali consolidati nell’ambito scolastico. Nella fase iniziale - e per molto tempo ancora - sforzi notevoli e prevalenti sono stati invece dedicati alla crescita della cultura dirigenziale dei capi di istituto. Si trattava di un investimento sul futuro, perché tutti coloro che erano a quel tempo in servizio erano stati reclutati e venivano governati dall’Amministrazione nel segno di una logica tradizionale, fondata sull’uniformità e sulla centralità, sull’adempimento e sull’irresponsabilità sostanziale.
Era quindi fondamentale investire molto nella formazione in servizio e nella diffusione della consapevolezza che un modo diverso di esercitare il ruolo era non solo possibile, ma necessario: e che, senza una svolta radicale nell’impostazione del lavoro, non si poteva pensare di far compiere alle scuole il passo decisivo dell’autonomia ed alla categoria quello, non meno determinante, verso la dirigenza.
La maturazione della consapevolezza del ruolo ha condotto, nel tempo, a tagliare il cordone ombelicale rispetto ai sindacati verticali del personale, troppo evidente essendo il loro interesse a non investire sulle differenze professionali fra le diverse figure ed invece a sottolinearne ed enfatizzarne le somiglianze.
L’assunzione della valenza sindacale ha portato con sé la distinzione - ed anche la rivalità - rispetto alle altre sigle. Distinzione e rivalità che si sono accentuate con l’arrivo della dirigenza e del contratto separato d’area, che ha visto l’Anp sedere per la prima volta al tavolo negoziale in posizione di preminenza rappresentativa. Questo dato, anche se non risolutivo (in assenza della maggioranza assoluta), conferma a posteriori la validità della scelta di correre da soli in difesa della categoria.
A distanza di tempo, l’Associazione non ha motivo di abbandonare l’una né l’altra scelta strategica. Si è solo modificata la distribuzione relativa di tempo e di sforzi fra i due settori, in quanto l’avvenuta maturazione professionale di gran parte della categoria rende comparativamente meno urgente l’investimento in formazione di base; mentre l’apertura dei tavoli contrattuali nazionali e regionali richiede una presenza costante ed impegnata sul versante sindacale.
Associazione professionale e sindacato di categoria, l’Anp non è però sindacato né associazione nella stessa accezione che altri danno a questi termini.
Come associazione, essa non dimentica di essere associazione di dirigenti: i quali hanno la specifica vocazione all’assunzione di responsabilità personali ed all’esercizio di un ruolo di guida all’interno delle proprie strutture operative. L’attività di formazione è quindi orientata agli aspetti culturali che sostengono l’attività del dirigente: il che comporta che si cerca di favorire lo sviluppo delle competenze piuttosto che fornire un’assistenza operativa. Negli stessi termini va definita l’attività di consulenza: che è consulenza al dirigente per sostenerne la capacità di valutazione e di decisione e non può essere risoluzione dei problemi specifici di gestione delle singole unità scolastiche.
Come sindacato, l’Anp si distingue dalla maggior parte degli altri che operano nell’ambito della scuola per avere alcuni punti di riferimento specifici:
- l’orizzontalità: cioè la scelta di rappresentare una categoria professionale ben precisa, quella dei dirigenti delle scuole. E’ sotto gli occhi di tutti che questo costituisce un requisito fondamentale per poter difendere fino in fondo gli interessi dei propri rappresentati. Le responsabilità ed i compiti dei diversi soggetti operanti nella scuola sono profondamente differenziati fra loro; e tale diversità è accentuata dal nuovo sistema delle relazioni sindacali di istituto, che assegna ai dirigenti il ruolo di parte datoriale. Coloro i quali sostengono di poter armonicamente rappresentare posizioni lavorative e responsabilità così profondamente diverse fra loro, si trovano in realtà costretti sempre più spesso a scegliere di sostenere le ragioni degli uni contro quelle degli altri. La forza dei numeri - non meno che quella della loro storia e delle loro idee profonde - li spinge quasi fatalmente, in questi casi, a prendere le parti del personale contro quelle del rappresentante dell’Amministrazione;
- la particolare lettura della confederalità: l’Anp fa parte di una confederazione di dirigenti - la CIDA -, la cui natura è profondamente diversa da quella delle confederazioni sindacali degli altri lavoratori. Queste ultime sono contraddistinte da una scelta iniziale, che è quella di considerare preminente il dato sociologico - la qualifica di lavoratore dipendente - rispetto a quello professionale - il livello di complessità e di responsabilità delle funzioni svolte. Esse si propongono quindi di rappresentare ciò che i lavoratori hanno in comune piuttosto che ciò che li fa diversi. Una scelta che è stata storicamente importante e socialmente innovatrice al tempo in cui è stata inizialmente formulata, in un contesto di diffusa povertà e di relativa indifferenziazione nelle strutture produttive, che consentiva di semplificare drasticamente le scelte. All’interno di un’economia profondamente trasformata e resa più complessa, un’analisi così elementare mal si presta ad intercettare la grande varietà di esigenze di tutela e non offre risposte significative soprattutto alle professionalità più elevate, che vedono sottovalutate - quando non deliberatamente contrastate - proprio le qualità che costituiscono il reale valore aggiunto della loro attività. Accade così che quelle confederazioni sindacali siano costrette ad operare costantemente, al proprio interno, mediazioni di natura politica, per stabilire le priorità fra le diverse rivendicazioni e garantirne la compatibilità reciproca. In questo esercizio, alcune rivendicazioni - di solito quelle sostenute da grandi numeri e da livelli relativamente meno elevati di responsabilità - risultano di solito vincenti, mentre il sostegno accordato alle altre risulta quasi soltanto virtuale. La CIDA è invece confederazione di dirigenti attivi in diversi settori, ma con livelli di responsabilità comparabili. La sua analisi degli interessi dei lavoratori è più sofisticata e più moderna, in quanto individua meglio ciò che fa diversi fra loro i livelli di prestazione professionale e non si preclude la comprensione delle differenze. Ne è riprova anche la recente apertura ai quadri ed alle elevate professionalità, che rappresenta la consapevolezza della crescente complessità del mondo del lavoro. Non è più vero quel che poteva esserlo in passato: che vi fossero da una parte coloro che comandavano e dall’altra tutti gli altri, il cui ruolo era di eseguire. Nelle aziende - ma anche nelle scuole - il management diviene diffuso, cioè tende a distribuirsi su ruoli e livelli di responsabilità in parte diversi ed a coinvolgere un maggior numero di profili lavorativi professionalmente qualificati. L’aver compreso questo passaggio - e l’essersi attrezzata anche sotto il profilo organizzativo e statutario per rappresentarlo nelle sedi negoziali - testimonia di una capacità e di una prontezza di analisi e di correzione di scelte, che rende la CIDA una confederazione diversa da tutte le altre e l’unica in grado di garantire una reale copertura degli interessi contrattuali dei dirigenti delle scuole;
- la tutela della professionalità: la loro storia e la loro matrice ideale condizionano altri sindacati a posizioni di diffidenza, quando non di antagonismo, verso la funzione datoriale. Questa non può essere la posizione dell’Anp, sindacato di dirigenti e parte di una confederazione che tutela le alte professionalità. Ma questa posizione rischierebbe di apparire corporativa, se si fermasse solo alla tutela di pur legittimi interessi. La nostra scelta va oltre e si fonda su motivi culturali più profondi, convinti come siamo che la funzione dirigente esista e si legittimi a tutela degli utenti e degli stessi lavoratori e non contro di essi. Solo l’esistenza e la capacità di azione di una qualificata classe dirigente consente infatti al lavoro di svolgersi nelle condizioni più favorevoli, sotto il profilo dell’efficacia e dell’efficienza, ma anche sotto quello della sicurezza dei lavoratori, dell’equità di trattamento, della più corretta ed ampia distribuzione delle risorse contrattuali. Rivendichiamo quindi con orgoglio il nostro essere sindacato di dirigenti e consideriamo tale specificità come quella autentica che ci distingue e ci qualifica rispetto ad altri.
Il definire con chiarezza ciò che ci fa diversi dagli altri sindacati non significa ovviamente che ci poniamo in posizione strutturalmente antagonista rispetto ad essi: comporta però che le eventuali convergenze si attuano sulle cose e non sugli schieramenti e non hanno valore di patti di unità di azione permanente, ma solo quello di alleanze per un obiettivo. Lavoriamo naturalmente perché tali alleanze siano le più frequenti ed estese possibile: ma non possiamo considerarle come un vincolo rispetto alla nostra libertà di scelta strategica, che è anche la ragione del nostro essere indipendenti.

TESI area 4:
4.1. - L’Anp vuole essere un’organizzazione sindacale di dirigenti, con fisionomia diversa rispetto a quelle degli altri lavoratori della scuola, ma non antagonista rispetto ad esse. Ricerca ed attua legami di solidarietà e di collaborazione strutturale con le organizzazioni sindacali dei dirigenti delle amministrazioni pubbliche, all’interno della Federazione dei dirigenti e delle alte professionalità, che è parte della CIDA.
4.2. - In coerenza con l’evoluzione delle politiche sindacali della Federazione di cui fa parte, l’Anp intende sviluppare rapporti di collaborazione ed intese con altre associazioni professionali di quadri e di alte professionalità, sia interne che esterne al mondo della scuola. In tale ambito, si colloca lo stretto rapporto di collaborazione con l’ANQUAP, entrata a far parte della nostra stessa Confederazione.
4.3. - L’Anp vuole mantenere e consolidare la propria funzione consolidata di associazione di dirigenti, attiva nel promuovere la cultura e la professionalità dei propri associati e della categoria nel suo complesso. Nel rispetto dell’autonomia dei dirigenti delle scuole, essa si propone di migliorare, anche attraverso la diffusione delle buone pratiche, la loro attitudine ad impostare e risolvere correttamente le questioni che si pongono nella quotidiana attività di lavoro.

5. linee guida per la contrattazione
Le linee guida dell’Anp per la contrattazione dei prossimi anni derivano in larga misura dall’esito della stagione negoziale appena conclusa e dalle trasformazioni in atto nel sistema di istruzione.
Il primo contratto della dirigenza delle scuole ha consentito un risultato importante: l’allineamento retributivo alla dirigenza pubblica dell’area I, per quanto riguarda il trattamento fondamentale. Ha però lasciato aperta la questione della retribuzione accessoria, ancora al di sotto di quelli che sono i livelli medi degli altri dirigenti. La contrattazione integrativa nazionale ha permesso di distribuire le risorse complessive disponibili per l’accessorio fra le diverse regioni: così facendo, ha consentito l’avvio - per la prima volta - di una contrattazione regionale.
Una volta costituiti i fondi regionali, non vi è più motivo sostanziale di mantenere un livello negoziale integrativo a livello di Ministero. Saltando questo passaggio, fra l’altro, sarà possibile accelerare i tempi fra la conclusione del CCNL e quella dei CCIR, che sono quelli che contano ai fini della distribuzione delle risorse.
In questa direzione spingono anche le trasformazioni in corso nella struttura dell’amministrazione scolastica e le modifiche costituzionali, che trasferiscono alle sedi regionali sempre più ampie competenze in materia di governo del sistema di istruzione. E’ quindi possibile tracciare alcune linee guida che, oltre ad essere la logica evoluzione delle nostre posizioni storiche, sono anche le più idonee a gestire le innovazioni in divenire.

TESI area 5
5.1. - L’Anp è impegnata ad esercitare tutto il peso della propria azione politica per ottenere lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie in vista della stipula del secondo CCNL. Tali risorse - oltre a garantire il mantenimento dell’aggancio alla retribuzione fondamentale degli altri dirigenti - dovranno alimentare una significativa rivalutazione del trattamento accessorio, tendendo alla completa parificazione nell’arco del quadriennio 2002-2005.
5.2. - L’Anp è impegnata ad ottenere che la retribuzione di posizione - oltre ad essere consistentemente rivalutata - valorizzi le differenze di carichi di lavoro e di responsabilità.
5.3. - I livelli di contrattazione debbono essere ricondotti a due (nazionale e regionale), con l’abolizione del livello integrativo nazionale, non più utile dopo la costituzione dei fondi regionali.
5.4. - Va costituito un ente bilaterale autonomo per la gestione delle attività di formazione e di aggiornamento dei dirigenti delle scuole, da finanziare con risorse extracontrattuali, come stabilito dal Patto Sociale del 1998, in misura non inferiore all’1% del monte salari.
5.5. - Va costituito un albo unico nazionale di tutti i dirigenti pubblici, contenente - oltre ai risultati delle verifiche e delle valutazioni periodiche - anche il curricolo culturale e professionale di ciascun dirigente, da tenere aggiornato a cura del dirigente stesso e dell’Amministrazione. Da tale albo potranno essere estratte sezioni regionali, cui i dirigenti degli uffici scolastici competenti faranno riferimento al momento del conferimento degli incarichi dirigenziali e di quelli aggiuntivi.
5.6. - L’Anp si impegna a ricercare le strade per ottenere che, nell’ambito del CCNL del comparto scuola - o con altro idoneo strumento contrattuale, che non incida sulle risorse destinate ai dirigenti - sia individuato un fondo specifico per la retribuzione dei collaboratori direttamente designati dal dirigente, che li sottragga all’alea della contrattazione generale sul fondo di istituto. Tale possibilità è fondamentale per consentire al dirigente di costituirsi uno staff realmente adeguato ai bisogni della scuola affidatagli.

6. la struttura organizzativa come mezzo e come fine
Ogni organizzazione costruisce nel tempo la propria struttura seguendo due logiche distinte:
- da un lato quella della necessità, che significa tener conto del contesto e dei vincoli che esso comporta;
- dall’altro quella dell’identità, che esprime il voler essere dell’organizzazione, la missione che vuole realizzare, il modo in cui si rappresenta a se stessa.
L’attuale struttura periferica dell’Anp - basata sulle sezioni provinciali - è stata a suo tempo una scelta del primo tipo, in quanto speculare a quella dell’Amministrazione scolastica con la quale occorreva confrontarsi. In occasione del V Congresso - quando per la prima volta si affacciò il tema della regionalizzazione - essa ha mutato parzialmente significato, diventando anche la proiezione di come le strutture organizzative sul territorio volevano vedere se stesse in una fase di transizione.
In conseguenza di quella scelta, la struttura regionale attualmente esistente rappresenta un’entità di secondo livello, derivata da quella fondamentale e da essa dipendente sotto il profilo funzionale (dei consigli regionali fanno parte solo i presidenti provinciali).
Il contesto, nel frattempo, è cambiato: l’Amministrazione si è data, pur fra molte resistenze, una dimensione regionale. A livello regionale si è svolta la contrattazione integrativa, con qualche problema organizzativo là dove i nostri consigli regionali non sono stati sufficientemente rapidi nel prendere le misure del nuovo rapporto.
Si pone quindi - in termini non più rinviabili - il problema di un diverso assetto organizzativo futuro. Sulle innovazioni statutarie, sarà il Congresso a pronunciarsi; ma, dal punto di vista delle necessità organizzative, occorre tener presente che:
- l’Anp è e vuole rimanere sindacato: come tale, essa deve disporre di strutture corrispondenti a quelle della controparte negoziale, cioè l’Amministrazione. E’ quindi necessario che vi siano soggetti dotati di una legittimazione diretta rispetto alla base, che possano rappresentarne gli interessi al tavolo contrattuale regionale;
- l’Anp è e vuole rimanere associazione professionale, e come tale sede di confronto culturale e di formazione permanente dei propri iscritti e di tutta la categoria. Queste funzioni richiedono la disponibilità di risorse finanziarie significative, che mal si accordano con la polverizzata realtà organizzativa attuale.
Occorrerà quindi pensare ad una diversa dislocazione delle strutture rappresentative e decisionali periferiche, che coniughi efficacemente la necessità di essere capillarmente presenti in tutte le realtà con quella di costituire soggetti che siano in grado - per le dimensioni non meno che per il livello di risorse professionali e finanziarie disponibili - di svolgere funzioni di rappresentanza negoziale e di orientamento professionale all’altezza delle necessità emergenti.
Fin qui le scelte direttamente o indirettamente orientate dal contesto amministrativo e dalla volontà di esistere e di agire sul territorio, per perseguire quelli che sono stati i nostri obiettivi tradizionali. Ma un altro aspetto occorre considerare, che attiene alla rappresentazione di sé che l’Anp vuole elaborare in prospettiva futura.
L’Associazione fa parte di una confederazione di dirigenti, aperta di recente anche alle alte professionalità. E’ coerente con tale scelta quella di rivolgere un’attenzione particolare all’emergere di professionalità elevate anche nell’ambito della scuola. La scuola dell’autonomia è, sì, guidata dal dirigente: ma è anche quella in cui di necessità esistono e si vanno sviluppando figure intermedie di docenti, designati dal dirigente o portatori di un mandato da parte dei colleghi, il cui compito si colloca a metà strada fra la didattica e la metadidattica, fra le funzioni di linea e quelle di staff. Fra questi colleghi si trovano anche coloro che accederanno in futuro alla dirigenza formale degli istituti.
Siamo in presenza di un’esigenza di evoluzione strutturale che non è dettata da vincoli già manifesti ed operanti come tali, ma che discende dalla nostra vocazione ad interpretare il cambiamento in anticipo rispetto ad altri. Il management diffuso è una realtà già consolidata in ambito aziendale e che si va affermando rapidamente anche nelle pubbliche amministrazioni: essa è il portato, fra l’altro, della crescente complessità delle strutture produttive e delle realtà sociali. Ma sul suo sviluppo incidono anche le trasformazioni in corso, che vedono lo spostamento delle logiche amministrative da un modello accentrato e gerarchico, in cui i centri decisionali sono pochi e remoti, ad un altro, decentrato e reticolare, in cui i luoghi di analisi e decisione si spostano in prossimità dell’utente e si moltiplicano.
Continuare a pensare il ruolo della dirigenza in termini di isolamento e di gerarchia significa rimanere ancorati alla visione tradizionale della dirigenza amministrativa ministeriale, in un’epoca ed in un contesto socio-culturale in rapida evoluzione. Le riforme costituzionali e quelle che dovranno derivarne sul piano della normativa secondaria ci dicono che il futuro prossimo assegna un ruolo ai dirigenti che sanno costituirsi uno staff operativo efficiente ed agile, per agire come nodi decisionali di una rete diffusa sul territorio. Spetta a noi, che abbiamo anticipato per tanti versi la crescita dell’autonomia all’interno della società civile, individuarne tempestivamente le implicazioni per la vita e l’attività di associazioni come la nostra.
Ne deriva la necessità che - nel ridisegnare la struttura complessiva dell’Anp - si tenga conto non solo delle necessità già emerse ed individuate, ma di quelle che si collocano in una prospettiva imminente. Fra queste, quella di assicurare uno spazio di rappresentanza interna - in forme che potranno essere studiate - a quelle figure professionali che operano a più stretto contatto con il dirigente all’interno delle scuole e che costituiscono la risorsa professionale più preziosa per garantire il successo del suo progetto di gestione ed il raggiungimento dei risultati su cui egli stesso giocherà la propria credibilità ed il consolidamento del suo ruolo.

TESI area 6:
6.1.
- Il livello di organizzazione regionale dell’Associazione dovrà essere espressione diretta e non mediata del mandato fiduciario degli iscritti per rappresentarne efficacemente gli interessi di fronte all’Amministrazione. Per far questo, le strutture regionali non devono più essere emanazione di quelle provinciali, ma devono avere legittimazione autonoma.
6.2. - L’Associazione vuole aprire le proprie strutture - secondo forme e modalità da individuare - anche alle alte professionalità emergenti all’interno delle scuole, in primo luogo ai collaboratori direttamente designati dal dirigente ed alle figure di staff.

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