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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

NEWS 

 

AUDIZIONE SUL DISEGNO DI LEGGE-DELEGA

RECANTE NORME GENERALI SULL’ISTRUZIONE E LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI

IN MATERIA DI ISTRUZIONE E DI FORMAZIONE PROFESSIONALE

Camera dei Deputati – VII Commissione Cultura – 11 dicembre 2002

 

Fonte: sito web Andis - 16 dicembre 2002

 

L’ANDIS ringrazia il Presidente della Commissione e tutti gli onorevoli Deputati per l’audizione concessa all’Associazione e, in premessa, dichiara di non condividere la scelta operata dal Governo di affidare una riforma che riguarda tutti i cittadini, soprattutto quelli delle future generazioni, ad uno strumento come quello della legge-delega.

Strumento tanto più inadeguato e inattuale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione che qualifica le scuole, dotate di autonomia, come enti costituzionalmente protetti, e che – inoltre – rafforza l’autonomia degli Enti locali, nei quali la scuola trova i suoi principali interlocutori sul territorio, per garantire il diritto allo studio: per il semplice e fondamentale motivo che sono essi che organizzano i servizi che agevolano e rendono possibile e praticabile il soddisfacimento, da parte della scuola, di tale fondamentale diritto.

Il ricorso alla delega, secondo l’interpretazione dell’ANDIS, quindi, sempre secondo il nuovo Titolo V della nostra Costituzione (art. 117, comma 2, lett. n), sembrerebbe non agibile, dal momento che "le norme generali sull’istruzione" dovrebbero essere dettate dal Parlamento e i "principi e criteri direttivi" affidati, invece, al Governo.

Peraltro, riteniamo che la legge-delega pone seri limiti al confronto sia nel Parlamento che nel Paese e, in particolare, nel mondo della scuola, il quale ultimo non ha avuto nemmeno la possibilità di confrontarsi nel merito.

Il disegno di legge stesso, inoltre, potrebbe risultare incongruente rispetto all’altro, sulla devolution, anch’esso in discussione alla Camera.

Su questo argomento l’ANDIS ha prodotto un documento che qui si allega (L’Andis sulla regionalizzazione del sistema scolastico), unitamente ad un altro documento che puntualizza la posizione dell’Associazione nella fase attuale di politica scolastica.

Ci riesce difficile immaginare come una riforma di tale importanza possa essere preceduta o accompagnata dal decreto del 29 novembre, comunemente denominato "tagliaspese", oppure dai tagli previsti nella finanziaria sugli organici, in specie quello relativo ai docenti di sostegno

Come ci risulta incomprensibile l’abolizione della legge n. 9 del 20 gennaio 1999 che comporta la riduzione della durata dell’obbligo scolastico, riportandola a 8 anni, nonostante l’affermazione di principio contenuta nell’art. 2 del disegno di legge-delega di un ampliamento dell’obbligo scolastico e praticamente annulla l’ampliamento dell’obbligo formativo, già previsto, peraltro, dalla vigente normativa.

L’Andis, con la presente nota, segnala la sua forte preoccupazione per la carenza di investimento sia ideale che economico, nei confronti della crescita culturale delle giovani generazioni del Paese, che il disegno di legge in questione rappresenta.

A parere dell’Andis, infatti tale disegno di legge appena approvato dal Senato, lungi dall’affrontare la complessità della cultura e della società odierna, segnala una tendenza semplificatrice e restauratrice.

L’Andis, pertanto,

·  raccomanda innanzitutto di non disperdere quel patrimonio di crescita culturale e professionale del corpo docente che, negli ultimi quarant’anni, ha speso le sue migliori energie per trasformare una scuola elitaria nella scuola di tutti e per fare di quest’ultima una scuola di qualità

·  segnala, inoltre, la necessità – oggi - di far riferimento ad una identità dei soggetti in apprendimento, che abbia non solo dimensioni nazionali o europee, ma che focalizzi un "nuovo umanesimo" (E. Morin) che tenga conto di "identità terrestri" in grado di affrontare dialoghi interculturali e interreligiosi.

Per ottenere ciò le diversità individuali, sociali e culturali non vanno solo rispettate, ma anche valorizzate (art. 1, legge 148\90).

Un discorso a parte meriterebbero gli argomenti della formazione, iniziale e in itinere, dei docenti, la valutazione degli alunni, la valutazione del sistema di istruzione, che in questa sede, per la estrema ristrettezza dei tempi, non è possibile fare.

Ma entrando nel merito delle questioni, si puntualizzano alcune elementi relativi ai cicli d’istruzione.

 

LA SCUOLA DELL’INFANZIA, LA SCUOLA ELEMENTARE E LA SCUOLA MEDIA

 

Il modello della scuola dell’infanzia italiana ha raggiunto un livello di alta qualità, riconosciuto a livello internazionale. Lo stesso dicasi della scuola elementare che non è certamente l’ultima in una ideale graduatoria.

A proposito della scuola dell’infanzia, l’ANDIS invita a far tesoro dell’enorme ricchezza derivante dall’esperienza che in questi anni, anche attraverso progetti nazionali, quali ASCANIO e ALICE, questo ordine di scuola ha accumulato. Il rischio si chiama "precocismo" che attraverso l’anticipo farebbe ripiombare la scuola dell’infanzia in una visione assistenzialistico-sociale della quale faticosamente si era liberata.

Anche la scuola elementare è considerevolmente cresciuta negli ultimi dieci anni attraverso la pluralità docenti che ha spazzato via la figura dell’insegnante "tuttologo" al quale ora si vuol regredire, buttando all’aria una preziosa cultura della collegialità ormai insostituibile.

Insieme ai moduli, con questo disegno di legge, si rischia di gettare colpevolmente anche conquiste psicopedagogiche importantissime come quella della "valutazione formativa" (ex L. 517\77) consistente nell’autoregolazione del proprio insegnamento da parte dei docenti, sostituita ora con la vecchia "valutazione sommativa" per cui la responsabilità del non-apprendimento o del comportamento è solo dell’allievo.

Non conosciamo ancora le modalità di attuazione del progetto "Moratti", ma desta un’ulteriore perplessità il ripristino della scuola media (di cui ancora nulla si sa) che vanifica un’esperienza pluriennale con valenza pedagogica, formativa, didattica e organizzativa ispirata al principio della continuità pedagogica, psicologica, formativa e didattica, su cui le scuole hanno molto investito e lavorato, tanto da ispirare gli assetti degli istituti comprensivi, anch’essi da registrare come un’esperienza molto significativa.

Nel disegno di legge, infatti, scuola elementare e scuola media sono nettamente separate, anche se denominate insieme come ciclo primario: denominazione residuata, forse, dall’originario progetto della commissione Bertagna in cui si prevedeva un biennio comune quinta elementare-prima media come possibile e naturale raccordo tra i due segmenti del ciclo primario.

L’ANDIS sottolinea, inoltre, che dal punto di vista valoriale dal testo traspare solo un semplicistico riferimento allo sviluppo morale (religioso?) delle bambine e dei bambini (art. 2) e ad una laconica "convivenza civile", dove il termine democratica, che connotava la convivenza nel testo della Premessa ai Nuovi Programmi del 1985, risulta chiaramente cassato.

E per finire, fa notare che non appare nessun riferimento alla necessità di educare le giovani generazioni alla cittadinanza democratica, intesa come etica pubblica, vale a dire capacità di co-costruire il bene comune: lacuna veramente grave a fronte del deficit di etica pubblica che attraversa il Paese, come tutti, nessuno escluso, oggi denunciano.

 

LA SCUOLA SECONDARIA

 

La scuola secondaria, infine, è il segmento caratterizzato da una canalizzazione precoce.

Si sceglie a 14 anni, o molto prima in casi di anticipo, il percorso liceale di natura statale o il percorso della formazione regionale.

Per quanto riguarda la ristrutturazione degli studi secondari, mentre accogliamo con favore talune misure – quali l’inserimento della seconda Lingua Straniera nei curricola del primo grado, il mantenimento della durata quinquennale dei licei e la conferma dell’Esame di Stato quale conclusione degli studi – ci sembra doveroso puntualizzare alcune incongruenze e taluni aspetti sui quali dissentiamo.

 

Diritto all’istruzione ed obbligo scolastico

In primo luogo, la lettera c) del 1° comma dell’art. 2 del Disegno di Legge ci sembra in contraddizione con le lettere a) e b) che lo precedono. Recita infatti il testo che "è assicurato il diritto all’istruzione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno". Osserviamo dunque che la secondaria superiore è del tutto esclusa dal sistema dell’obbligo scolastico che viene così di fatto ridotto ad otto anni: la cosa ci sembra in stridente contrasto con l’assetto europeo degli studi e contraddice i passi precedenti del comma che richiamavano la necessità di una formazione garantita per tutti e conforme ai principi della Costituzione. Prevedere infatti il diritto è cosa ben diversa dall’individuare il dovere (se dà fastidio chiamarlo obbligo )all’istruzione: e si osservi che questo dovere l’individuo non lo ha tanto verso se stesso ma verso la società, cui egli deve contribuire con il massimo delle sue potenzialità.

La fuoriuscita della secondaria superiore dal sistema dell’obbligo è foriera, a nostro avviso, di gravi conseguenze che – se nel breve e medio periodo possono sembrare di sollievo per il contenimento della spesa pubblica e sembrano corrispondere ai desideri immediati ed epidermici delle fasce più deboli della popolazione – nel lungo periodo portano ad un impoverimento culturale complessivo della società che imporrà un netto arretramento del sistema-Italia sia nel campo della qualità della vita che della stessa competitività economica.

Nel lungo periodo, infatti, una specializzazione precoce delle competenze professionali, ottenute a discapito della formazione complessiva dell’armatura culturale della persona, non può che portare a mano d’opera poco duttile e flessibile, in balia delle periodiche e sempre più veloci ristrutturazioni del mercato e debole sul piano del rendimento. E questa, ci sembra, sia un’analisi condivisa da larghi settori della stessa Confindustria. 

 

Formazione e Istruzione

La stessa logica della precocizzazione delle scelte (a 12 anni e mezzo si dovrà decidere se continuare gli studi o imparare un mestiere) ci sembra fortemente discriminatoria: infatti è prevedibile che ad orientarsi verso il sistema della formazione regionale saranno proprio quelle fasce sociali che – per debolezza economica e culturale del contesto di riferimento – non avranno in seguito altra occasione di emancipazione culturale. La forbice tra chi già sa (perché grazie alla famiglia ha un curricolo implicito ricco ed articolato) e chi già fa (perché deve aiutare la famiglia a sbarcare il lunario) si allargherà in maniera forse irrecuperabile contribuendo a cristallizzare la società italiana in modelli di rigidità che sembravano ormai appartenere al passato della nostra storia. Non possiamo dimenticare che la scuola di massa è stata il volano che ha permesso ed accompagnato in Italia il processo di sviluppo e che questa scuola ha contribuito a che il nostro Paese potesse divenire la settima potenza mondiale pur con una popolazione molto più limitata dei propri partner. E questo nonostante i limiti evidenti che la scuola italiana ha sin qui mostrato e che nessuno difende: ma probabilmente, sarebbe possibile lavorare alla promozione delle eccellenze ed all’innalzamento dei livelli di qualità investendo di più nell’istruzione, invece che espellere una consistentissima parte della popolazione verso un percorso povero quale si profila essere quello della formazione regionale. Per coltivare le eccellenze, non è giusto deprimere ancor di più le sofferenze.

A questa riflessione – che apparirà forse pessimista – concorre la constatazione che il sistema di formazione regionale non nasce bene e, anzi, in molte regioni è ben lontano dal nascere. Mancano – e non solo nel Mezzogiorno – le mappature delle risorse della formazione, manca un tessuto imprenditoriale in grado di sostenere sul piano del partenariato l’Ente locale, mancano le competenze formative all’interno delle strutture stesse degli Enti, non esistono sinergie di sistema tali da far prevedere che anche stavolta la formazione regionale non si trasformerà in una vuota area di parcheggio destinata solo a pompare ed assorbire improduttivamente risorse collettive.

Il secondo ciclo

Riteniamo, dunque, che vada ripensato l’intero impianto del secondo ciclo (lettera g art.2) garantendo:

· Un biennio superiore inserito nel sistema dell’obbligo scolastico (portando così da 9 a 10 gli anni dell’istruzione per tutti e non riducendoli ad 8);

· Lo sviluppo, all’internodi questo e con il concorso dell’Ente Regione, di percorsi di formazione integrata che siano anche orientativi rispetto alla successiva scelta di un triennio liceale o di formazione regionale.

· Lo sviluppo di percorsi di formazione regionale e di istruzione statale tra loro alternativi solo successivamente, quando l’individuo, non solo avrà ricevuto una formazione culturale di base congrua ai tempi che viviamo ed ai livelli di civiltà che esprimiamo, ma avrà anche un’età che gli permetta di partecipare con cognizione di causa alla scelta del suo futuro.

Interazione tra i sistemi (lettere h ed i, art. 2)

Ci sembra poi debolissimo e francamente inaccettabile l’impianto previsto dalla lettera h) dell’art. 2 quando assicura a chi abbia conseguito la qualifica quadriennale della formazione regionale di poter svolgere l’Esame di Stato utile all’accesso universitario. Qui i casi sono due: o si riconosce che quattro anni di liceo possono essere recuperati in un anno integrativo (è un po’ la logica dei diplomifici) oppure si ritengono sostanzialmente equivalenti istruzione e formazione ai fini dell’accesso universitario e quindi non ha senso imporre dei paletti alla seconda. Ci sembra francamente poco responsabile un atteggiamento così superficiale nella considerazione dei requisiti per l’acceso universitario.

Così anche la logica della successiva lettera i) ci sembra assolutamente destituita da ogni realismo e da fondamenti pedagogici: cosa significa "è assicurata ed assistita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei alla formazione professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate all’acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta" ? La cosa sarebbe comprensibile se avvenisse entro l’inizio del secondo anno. Ma se la cosa avvenisse, poniamo, al terzo anno, come sarebbe possibile? Come sarebbe possibile per un giovane recuperare 2\3 anni di liceo in poco tempo per iscriversi al terzo anno e viceversa? E poi, come considerare i crediti – ad es. di Greco – per chi volesse passare alla formazione professionale o quelli di intaglio del corallo a chi volesse passare al liceo così da non fargli perdere l’annualità ? Per non parlare poi del sistema di alternanza scuola\lavoro i cui contorni sono ancor più improbabili sul piano della fattibilità e che prevedono, chiaramente e senza mezzi termini (lettera a art.4) che "i periodi di tirocinio non costituiscono rapporto individuale di lavoro". Ma se non lavorano che fanno questi non-lavoratori\non-studenti? E le imprese perché dovrebbero prenderseli?

Ci scuserete se abbiamo fatto degli esempi particolari, ma servono a focalizzare i nostri dubbi sulla fattibilità di un progetto che ci sembra molto aleatorio sul piano della concretezza ed ignaro di qualsiasi, pur elementare, considerazione pedagogica ed educativa. 

Dov’è andata a finire l’autonomia scolastica ?

Ma al di là di questi, pur fondamentali dubbi, il problema più grande sembra essere rappresentato dalla lettera l) dell’art.2.

Cosa vuol dire che "i piani di studio individualizzati, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale…e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti i interesse specifico delle stesse…" ? Dove è il "rispetto dell’autonomia scolastica" ? Le scuole saranno "libere" di sviluppare i programmi delle regioni (anche se non dovesse passare la devolution) ? Non vorremmo che, insieme ai tagli alla scuola statale, questa fosse la pietra tombale di ogni possibile e residua salvaguardia dell’autonomia scolastica. Se non si modifica questo passaggio dell’art. 2, coerenza ed onestà imporrebbero al Governo di dire chiaro e tondo che le scuole non sono più autonome.

 

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