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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

Questione Consip

 

Fonte: sito web Andis – 1 marzo 2003

 

Invidiamo chi ha già raggiunto la certezza della obbligatorietà o della facoltatività del ricorso alle convenzioni Consip per l'acquisto di beni e servizi. Questo contributo che presentiamo è ben lungi dalla presunzione di risolvere la questione, anzi aggiunge forza, data l'autorevolezza dei due commentatori, alle richieste pressanti che da ogni parte - soprattutto dai dirigenti scolastici, unici responsabili delle attività negoziali - pervengono al MIUR di fornire chiarimenti: se è confermato il contenuto della nota del 9 gennaio apparsa sul sito ufficiale del Ministero, e cioè la facoltatività di fare ricorso alle convenzioni Consip oppure, se non è più così, di dirlo chiaramente.

Non si possono lasciare le scuole in questa incertezza che vede solo il dirigente scolastico esposto e unico sanzionabile, sia che ricorra, obbligato, alle convenzioni Consip, col rischio di danno erariale se lo stesso bene o servizio è offerto a un costo inferiore fuori Consip; sia che non vi ricorra, perché consegue un risparmio di spesa, ma violando, secondo alcuni, la norma finanziaria.

Questione CONSIP

 

È diventato il tormentone di fine inverno. Pervengono continuamente pressanti richieste di chiarimenti.

Sulla questione ormai è stato detto quasi tutto: rispetto all’autonomia, alla responsabilità negoziale del dirigente scolastico, al principio dell’economicità, del buon andamento ecc.

E’ stato passato in rassegna, per l’ennesima volta, l’art. 24 della legge 289\2002: nessuna delle norme in esso richiamate si riferisce in modo inequivocabile ed esplicito alle istituzioni scolastiche:

·  il d.lgs 24 luglio 1992, n. 358, art. 1 si riferisce alle amministrazioni aggiudicatici che acquisiscono beni e servizi per un importo pari o superiore ai 200.000 ecu (e le scuole non c’entrano)

·  l’all. 7 del d.lgs 17 marzo 95, n. 157, non include le II.SS. tra le amministrazioni aggiudicatici

·  il comma 1 dell’art. 11 del dpr 4 aprile 2002, n. 101, riporta: "… possono effettuare acquisti di beni e servizi …": una possibilità quindi non un obbligo

·  la legge 23 dicembre 199, n. 488, art. 27; legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 59; legge 18 ottobre 2001, n. 347 e 16 novembre 2001, n. 405, si riferiscono agli EE.LL.

·  la legge 28 dicembre 2001, n. 488, quando elenca le PP.AA. nella Tab. C, sembra riferirsi solo al MIUR

·  la legge 24 dicembre 1977, n. 801, artt. 3, 4 e 6, si riferisce ai servizi di sicurezza.

E comunque, le norme di cui ai nn. 1, 2, 4 (parzialmente), 6 sono anteriori al 1° febbraio 2001, data di emanazione del DI n. 44 (Regolamento amm.vo contabile). Le altre, successive, non hanno abrogato niente dello stesso regolamento.

Per contrastare la convinzione certa di alcuni collegi, o almeno di alcuni presidenti di essi, riportiamo due stralci di altrettanti articoli di due autorevoli commentatori giuridici.

 

Il primo è LUIGI OLIVERI che, in Ancora sulle leggi di principio e coordinamento della finanza pubblica - I limiti alla potestà legislativa delle Regioni e regolamentare degli Enti Locali derivanti dalla legge finanziaria 2003, così scrive.

"Si è avuto modo di affermare, in un precedente contributo [1], che la legge finanziaria per il 2003 appare in chiara controtendenza, quando non in deciso contrasto, con il supposto federalismo introdotto dalla legge costituzionale 3/2001.

La formulazione finale della legge, come approvata dal Parlamento, conferma e rafforza l'opinione espressa.

La chiave utilizzata dal Parlamento nazionale per incidere in maniera estremamente pervasiva sulla potestà normativa degli altri enti territoriali, teoricamente equiordinati allo Stato a mente dell'articolo 114 della Costituzione, è costituita dal combinato disposto degli articoli 117, commi 2 e 3, 119, comma 2, e 120 della Costituzione stessa.

Per argomentare meglio l'osservazione così proposta, basta esaminare alcuni passaggi decisivi degli articoli che influenzano in maniera evidente la capacità di amministrare. Senza dimenticare di premettere che amministrare, in gran parte, significa spendere risorse ed avere capacità di reperirle. Sicchè se si limita la capacità della spesa e la possibilità di reperire risorse, di conseguenza si limita l'autonomia dell'ente soggetto a tali limitazioni, qualunque siano le enunciazioni autonomiste o federaliste delle leggi.

Ebbene, l'articolo 24 della legge finanziaria, che introduce forti vincoli procedurali alla potestà di acquisire beni e servizi esordisce al comma 1 con l'enunciazione che la disciplina in esso contenuta è stabilita "per ragioni di trasparenza e concorrenza".

Appare assolutamente evidente che la legge dello Stato ricava la sua potestà ad intervenire sulla materia degli approvvigionamenti di beni e servizi dall'articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, che assegna alla potestà legislativa statale la "materia" della tutela della concorrenza.

Si è virgolettata la parola "materia", perchè in realtà, secondo non pochi autori, questa fattispecie più che una materia, ovvero un ordinamento complesso ed omogeneo, è una "competenza" normativa, di per sé trasversale, capace, ovvero, di influenzare ogni vera e propria materia di normazione.

Sta di fatto che la disciplina delle acquisizione di beni e servizi non rientra tra le "materie" nelle quali lo Stato possa esercitare la propria potestà legislativa. Ma il ricorso alla competenza sulla tutela della concorrenza viene, in effetti, utilizzato per incidere su una materia per la verità estranea alla potestà legislativa statale. E, probabilmente, andando anche oltre gli stessi confini della materia trasversale della tutela della concorrenza.

In effetti, per dare vita ad un sistema maggiormente concorrenziale appare possibile ed opportuno che la legge dello Stato imponga modalità di espletamento delle gare pubbliche anche degli altri enti territoriali basate su sistemi di maggiore apertura e conoscibilità. Non è un mistero che le gare sotto la soglia comunitaria siano gestite, soprattutto dagli enti locali, non solo con le modalità più disparate (questa potrebbe essere una conseguenza dell'autonomia regolamentare), ma soprattutto con sistemi di gara, appunto di dubbia trasparenza. La pubblicità dei bandi è più formale che efficace, poiché spesso si limita al solo albo pretorio; i termini per la presentazione delle offerte si rivelano spesso irrisori; l'utilizzo ad albi di fornitori è molto frequente, anche se la normativa non lo consente.

Dunque, una regolamentazione generale, valevole per tutte le amministrazioni pubbliche che imponga maggiore trasparenza e concorrenza attiene, a ben vedere, ad una funzione di armonizzazione dell'ordinamento.

Detto questo, nell'articolo 24 della legge vi sono alcune disposizioni il cui fondamento costituzionale appare quanto meno dubbio. In base a quale competenza la legge dello Stato può prevedere, infatti, la nullità dei contratti stipulati in violazione del comma 1? Si potrebbe ritenere che tale potestà derivi allo Stato dalla competenza in materia di "ordinamento civile". Ma è altrettanto possibile argomentare che la disciplina delle acquisizioni di prestazioni contrattuali da parte delle amministrazioni pubbliche non appartiene certo all'ordinamento civile, che nella disciplina contrattuale subentra solo nella fase esecutiva ed in quanto non derogato dall'ordinamento speciale amministrativo.

Ora, la nullità dei contratti di acquisizione di forniture e servizi non è, con ogni evidenza, causata da categorie proprie dell'ordinamento civile, ma dalla violazione di regole pubblicistiche: il non aver proceduto secondo le discipline dei decreti legislativi 358/1992 o 157/1995, o il non aver effettuato l'acquisizione presso la Consip.

Non pare di riscontrare, però, nella Costituzione un fondamento alla potestà della legge dello Stato di prevedere una sanzione che, oltre tutto, incide certamente sull'autonomia contrattuale degli enti e sulla sfera giuridica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

V'è anche, infatti, la previsione della responsabilità amministrativa nei riguardi del dipendente che sottoscrive il contratto, cui si accompagna la responsabilità civile nei confronti del terzo contraente, che può rivalersi sul dipendente per l'adempimento alle obbligazioni contratte, a questo punto, non in nome e per conto dell'ente, ma a titolo personale. Anche in questo caso, l'enunciazione delle materie di competenza della potestà legislativa dello Stato contenuta nella Costituzione non contiene in via espressa una potestà chiara in tema di previsioni di sanzioni di responsabilità amministrativa, mentre per la responsabilità civile possono valere i ragionamenti fatti prima sulla nullità dei contratti. Né si potrebbe fare riferimento alla competenza sull'ordinamento ed organizzazione amministrativa, che l'articolo 117, comma 2, lettera g), della carta costituzionale riferisce solo all'amministrazione statale ed agli enti pubblici nazionali.

Certo, l'articolo 28 della Costituzione dispone espressamente che i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative. Ma se appare chiaro che le leggi penali e civili sono statali, si può certo dubitare che le leggi "amministrative" siano competenza esclusiva dello Stato, proprio perchè la già citata lettera g) dell'articolo 117, comma 2, della Costituzione delimita la potestà normativa statale all'organizzazione amministrativa dello Stato. Comunque, la materia appare avvolta da un cono d'ombra. …"

 

Il secondo, DANILO SCERBO (Dirigente del Ministero Infrastrutture e dei Trasporti) in L'acquisizione di beni e servizi secondo la disciplina prevista dall'art. 24 della legge finanziaria 2003, così scrive.

"… In altri termini, mentre prima dell’entrata in vigore della legge 289/2002 l’operatore poteva ragionevolmente scegliere tra il ricorso alla procedure in economia o il ricorso alla procedura aperta o ristretta, sia pure  con modalità diverse e meno rigide rispetto alla normativa comunitaria, disciplinate dai rispettivi ordinamenti (in relazione agli importi e alle caratteristiche dei beni e servizi ed  ovviamente sempre per importi al di sotto della soglia comunitaria), la nuova soglia introdotta dall’art. 24 renderebbe di fatto obbligatorio il ricorso alla procedura in economia, allo scopo di aggirare i rigidi meccanismi previsti dalla disciplina comunitaria in materia di gare.

Poiché è difficile pensare che il legislatore abbia introdotto una norma di fatto destinata ad essere disattesa, resta l’impressione di una scarsa ponderazione degli effetti della misura proposta, soprattutto in merito al coordinamento della stessa con gli strumenti previgenti ed in particolare con il D.P.R. 384/2001.

E’ auspicabile un rapido chiarimento da parte del Governo, anche al fine di non lasciare gli operatori in una situazione di incertezza che potrebbe portare a ripercussioni negative sull’azione amministrativa.

2. Un altro aspetto che suscita perplessità  è quello relativo all’obbligo di aderire alle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.a.,  pena la sanzione della nullità dei contratti stipulati in violazione di tale obbligo e il configurarsi di  una responsabilità amministrativa a carico dell’operatore che ha stipulato (art. 24, commi 3 e 4 , legge 289/2002).

Ci si chiede: di fronte a tale disposizione, è comunque consentito all’operatore effettuare ricerche di mercato al fine di accertare la disponibilità di prodotti identici o comunque con caratteristiche del tutto similari a quelli delle convenzioni-quadro, ad un prezzo però inferiore, o con modalità di fornitura complessivamente più vantaggiose? Ed in caso di esito positivo, è possibile ricorrere a procedure in economia (quindi negoziate) per acquistare tali prodotti?

Buon senso vorrebbe di sì, perché in fondo la ratio della norma è quella di garantire un risparmio per la P.A. acquirente.

Tuttavia la lettera dell’art. 24, comma 2, questa volta appare più restrittiva rispetto a tale interpretazione, prevedendo che è possibile ricorrere autonomamente  agli acquisti a condizione che il prezzo fissato nelle convenzioni–quadro rappresenti la base d’asta su cui poi effettuare le offerte in ribasso.

Ciò sembra precludere alcuna procedura negoziata, prevedendo invece il ricorso a forme di gara vere e proprie con tanto di procedure rigide con pubblicazioni di bandi, indicazioni di ribassi, ecc. e con evidenti ripercussioni sulla speditezza ed efficacia dei procedimenti di spesa. 

Non si vede in che modo l’operatore possa essere disposto a seguire una tale strada, e non invece a rifarsi semplicemente a ai prezzi e alle condizioni indicate nelle convenzioni-quadro, attenendosi così in modo rigoroso alla lettera della disposizione normativa in questione. Paradossalmente, quindi, anche in presenza sul mercato di beni identici o similari a quelli delle convenzioni-quadro ma ad un prezzo inferiore o con modalità di fornitura complessivamente più vantaggiose, risulterebbe di fatto preclusa la possibilità di ricorrere a forme di acquisto più rapide ed efficaci quali quelle previste dalle procedure in economia.

Anche in proposito un chiarimento si rende necessario."

E poi interviene l’Antitrust che insiste soprattutto nel rispetto del principio della concorrenza che, col ricorso obbligatorio alla convenzione Consip, sarebbe violato.

Inoltre, la nota comparsa sul sito ufficiale del MIUR il 9 gennaio scorso non impone l’obbligatorietà; questa, invece, viene imposta, non sappiamo con quale legittimità e autorevolezza, da alcuni presidenti, dipendenti dal MEF, dei collegi dei revisori.

A questo punto: o i due ministri, dell’istruzione e dell’economia, si mettono d’accordo ed emanano rapidamente una nota previo un serio accordo (magari una nota MEF … IUR) o si assumono la responsabilità di lasciare la scuola allo sbando per una questione che determina la vita e l’organizzazione delle istituzioni scolastiche.

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