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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

RELAZIONE DI APERTURA

del Ministro per la Funzione Pubblica 

Avv. Luigi Mazzella

1^ Conferenza Nazionale dell’Alta Dirigenza

Roma, Palazzo dei Congressi – 3/5 febbraio 2003

Signor Presidente della Repubblica,

desidero innanzitutto esprimerLe, anche a nome dell’Amministrazione che rappresento, i sensi della più viva gratitudine per aver voluto onorare, con la Sua partecipazione, questa cerimonia d’apertura di una conferenza di grande rilievo per le istituzioni della nostra nazione.

Ringrazio sentitamente il Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi che concluderà i lavori di questo Convegno ed il Vice Presidente del Consiglio On. Gianfranco Fini, che ha voluto parteciparvi fin dalla sua seduta  inaugurale.

Un grazie particolare  anche al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Dott. Gianni Letta,  i cui suggerimenti sono sempre utili e preziosi.

Ringrazio ancora per la loro presenza il Presidente della Corte Costituzionale, i Vice Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, i Signori Ministri e i Giudici Costituzionali, i Sottosegretari, gli onorevoli Deputati e Senatori, le Autorità giudiziarie ed amministrative, tutti i partecipanti.

Comincerò la mia relazione introduttiva, ricordando che Girolamo Boccardo, uomo politico, giornalista, consigliere di Stato di fine ottocento diceva che “ l’indole dell’Amministrazione pubblica è di essere attiva, mentre la passività è il carattere dell’Autorità giudiziaria.” E riteneva che in questo peculiare carattere risiedesse ad un tempo “l’eccellenza ed il pericolo della pubblica Amministrazione”.

Orbene, proprio per questa sua caratteristica, i Reggitori della “res publica” hanno sempre tenuto in grande conto la pubblica amministrazione.

In tempo di guerra si distingueva soprattutto l’esercito (diremmo oggi la forza armata) che difendeva i sacri confini del territorio patrio, proteggeva il commercio nazionale, le proprietà, i beni, le cose e gli interessi dei privati cittadini ed in tempo di pace  il ben più cospicuo numero dei “civili servitori”.

I pubblici impiegati sono stati sempre addetti ai servizi più utili alla collettività e da Colbert in poi, con rigorosa e lucida teorizzazione, hanno costituito il più valido sostegno dei vertici “politici”, per l’esplicazione e per l’auspicato mantenimento del potere di governo nonché dell’ordine sociale.

In definitiva, non è azzardato sostenere che il “bureau” civile e militare, è stato sempre il nerbo essenziale ed insostituibile dei Governanti.

Quando il potere politico si è avviato a reggersi – in modo sempre crescente – sul consenso popolare, la pubblica amministrazione è divenuta, conseguentemente, elemento indefettibile della stessa vita democratica degli Stati.

Nel rigoroso rispetto dei ruoli i Governanti, dal canto loro, hanno sempre ritenuto che dovessero essere rigorosamente rispettate le gerarchie dei pubblici dipendenti, le loro prerogative, i meccanismi necessari alla loro efficienza operativa. E che soprattutto dovesse esserne adeguatamente esaltato lo spirito di corpo.

Il mondo economico, dell’industria e della finanza, in un’epoca, in cui la localizzazione sul territorio nazionale dei propri mercati, dei propri impianti e delle proprie fabbriche costituiva la regola, ha mostrato per lungo tempo di condividere – pur con qualche inevitabile considerazione critica  -  quella positiva valutazione.

Nell’era odierna della “globalizzazione” le cose, nel mondo dell’economia, della politica ed anche della pubblica amministrazione sono repentinamente cambiate e più di un pubblico “servitore”  si è sentito al centro di tempi che non ha ritenuto  esagerato definire “duri”.

Un’impressione, forse anche sbagliata, ha fatto in qualche modo avvertire all’amministrazione pubblica di  essere considerata da imprenditori e cittadini non proprio in linea con i tempi nuovi oltre che con le loro rispettive esigenze. Di qui un certo senso diffuso di disagio nel “bureau”.

I “commis” dello Stato grandi o piccoli che fossero, per il loro puntiglio nell’applicare rigorosamente e scrupolosamente le leggi, per il culto in taluni di essi addirittura mistico dell’interesse pubblico, hanno avuto la sensazione di essere considerati, proprio in ragione delle loro virtù, un ostacolo al libero fluire delle operazioni economiche, ormai più virtuali che concretamente produttive o di scambio.

Operazioni, quindi, legate più che al territorio degli Stati ed alla proprietà di beni al gioco planetario dei satelliti ed all’immaterialità dei servizi.

La comunità degli affari, essendo divenuta mondiale, ha di fatto abolito per i propri investimenti i confini nazionali ed ha con la telematica annullate le distanze, rendendo possibile il compimento in tempo reale di operazioni finanziarie di portata globale, con una semplice digitazione sul “computer “.

E l’impressione dei pubblici dipendenti è stata quella di essere addirittura mal tollerati.

Hanno ritenuto di constatare che alla propria libertà dei  movimenti l’ “homo oeconomicus”, dall’azione rapida ed immediata, considerasse di ostacolo i ritardi conseguenti a regole troppo stringenti e lenti gli apparati amministrativi  nel raffronto con la celerità delle “transaction” civili e commerciali.

E gli stessi apparati, per giunta, sembravano apparire agli occhi degli uomini d’affari legati più alle logiche politiche dei governanti che agli interessi reali del  “business”.

Peraltro, qualche eccesso di protervia e talvolta di inefficienza accumulato dalla parte certamente meno nobile, e senz’altro  poco numerosa, dei dipendenti pubblici nel corso degli anni ha fatto sì che la tendenza del potere economico di ridurre il peso e l’importanza della pubblica amministrazione incontrasse il favore degli stessi cittadini governati e quindi, di riflesso, anche se contro il proprio interesse, il consenso degli uomini politici. Sino ad indurre questi ultimi a non cogliere il pericolo derivante da ogni attentato alla solidità ed alla stabilità dell’albero della politica, attraverso i tentativi di resezione del  ramo maestro dell’amministrazione pubblica.

Nell’immaginario collettivo, d’altronde, è stata proprio la temuta combinazione “politici – pubblici uffici“ ad apparire, anche per effetto del martellamento dei mass-media, come un serio ostacolo al fluire degli affari che si voleva sempre di più libero, privo di regole e senza intralci.

In questo quadro, gli attacchi alla pubblica Amministrazione hanno risposto egregiamente  al fine di indebolire, privandola della sua tradizionale ed essenziale base di appoggio, la classe politica.

Che resta, giova ribadirlo anche a dispetto dei suoi superficiali diffamatori, l’espressione unica ed insostituibile della Sovranità popolare.

In tale contesto, la pubblica amministrazione ha avvertito come ostile l’atteggiamento del mondo degli affari, dell’opinione pubblica e per quanto strano dovesse ritenersi, degli stessi uomini del Governo e del Parlamento.  

Si è sentita profondamente ferita da misure che interpretava come dirette a ridimensionarla se non umiliarla, a causa anche di un continuo e ripetuto raffronto con la classe impiegatizia e dirigenziale privata, portata ad esempio, non sempre a ragione ed a proposito, di efficienza, solerzia e rapidità.

Oggi che la tempesta denigratoria soprattutto mass-mediatica sembra significativamente placata se non definitivamente passata (il crollo delle torri gemelle ha dimostrato quanto possa essere esiziale smantellare in un paese democratico gli apparati statuali), l’Amministrazione pubblica avverte la necessità che si volti pagina.

Essa dal suo canto, pur nell’imperversare della bufera mediatica ed in buona misura anche legislativa, non ha perso tempo, ha fatto tesoro dei supporti che l’innovazione e la tecnologia le offrivano e si è adeguata ai tempi, caratterizzati dalla nascita della c.d. Società dell’Informazione.

Ha utilizzato lo sviluppo virtuosamente pervasivo dell’informatica, l’ha considerato correttamente come un formidabile strumento per “reinventare” le modalità della sua stessa organizzazione e del proprio funzionamento; si è predisposta ad offrire ai cittadini servizi più tempestivi, qualitativamente migliori e facilmente accessibili, attraverso l’uso della rete e delle nuove tecnologie.

Si è posta, in altre parole, sull’onda dell’impegno nella innovazione dello Stato.

 I lavori sono ancora in corso: il recente protocollo informatico che fa parte del progetto generale di Governo Elettronico (il c.d. E-Government), rappresenta una delle sfide più importanti dei prossimi anni.

 

E, a giudicare dalle numerose realizzazioni in atto in tutta Italia, è una sfida che l’Amministrazione Pubblica ha tutta l’intenzione di volere vincere.

 

Sempre di più i rapporti tra imprese, cittadini e Pubblica Amministrazione avvengono, ormai, per via telematica ed elettronica.

 

Si è ridotta drasticamente la quantità di carta in movimento, e soprattutto si è evitato di gravare gli utenti con ripetute e dispendiose riproduzioni di dati e documenti già in possesso dell'Amministrazione.

 

Al loro interno, sempre tramite le connessioni telematiche tra i computers e il Protocollo elettronico, le varie Amministrazioni gestiscono sempre di più le pratiche direttamente, senza passaggi di carte  da una scrivania all'altra, e dialogano telematicamente tra di loro.

L’Amministrazione, inoltre, ha cominciato a “comunicare” con il pubblico, ed anche in questo campo i risultati sono stati notevoli. C’è da pensare che ancora maggiori ve ne saranno in futuro.

Intorno a questi progetti di altissima qualità ed importanza, ci sono,  è persino ovvio dirlo perché non potrebbe essere altrimenti, le persone, i nostri pubblici dipendenti.

 

Sono questi ultimi, infatti, che realizzano e che fanno funzionare il governo elettronico. Sono essi che lo utilizzano come strumento di lavoro.

 

CorreIativamente, i cittadini, le imprese ne traggono vantaggi. La vita collettiva progredisce.

Il nuovo volto della pubblica amministrazione, presenta una classe dirigente che è pronta ad assumere un ruolo sempre più pregnante di guida nella realizzazione del cambiamento gestionale ed organizzativo.

 

Una classe dirigente in grado di comprendere le opportunità offerte dalla tecnologia, di rivisitare criticamente il “vecchio” apparato per innovarlo e renderlo adatto alle nuove esigenze. Capace insomma di contribuire a costruire una nuova realtà amministrativa che, in linea con il resto dell’Europa, fornisca servizi in termini soddisfacenti di efficacia, efficienza ed economicità.

 

Ma se la svolta è stata compiuta ed è in via di completarsi é necessario ora recuperare l’identità e la giusta considerazione della professionalità dell’alta dirigenza.

 

La mancanza di un senso forte di identità professionale potrebbe, infatti, costituire un punto di debolezza ai fini dei progressi ulteriori.

Il recupero dell’“affectio” all’interno dell’alta dirigenza risponde, pertanto, alla duplice esigenza di promuovere – attraverso una piena valorizzazione del ruolo e dello status dei dirigenti – il rafforzamento della loro identità professionale, quale nerbo dell’apparato statale.  

Ed al tempo stesso di agire intensamente sulla cultura, sulla scelta e sulla formazione dei dirigenti.

Certamente con un occhio di riguardo ai settori delle nuove tecnologie e delle tecniche di management, ma anche a quelle connotazioni di stabilità e tranquillità operativa che fanno di un alto dirigente un servitore leale, costante, convinto e motivato dello Stato.

Non è un caso, quindi,  che il prossimo Forum della P.A. sarà dedicato alla “innovazione e valorizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni”.

Il riconoscimento del ruolo fondamentale della Pubblica Amministrazione per realizzare la tutela dell’interesse generale, deve essere adeguatamente riconosciuto.

Per costituire un argine alle spinte egoistiche esistenti in ogni collettività, per sostenere la “ politica” che, giova ripeterlo, è l’espressione della sovranità popolare e quindi l’essenza della democrazia, non v’è che la Pubblica Amministrazione.

Il suo sacrosanto orgoglio di appartenenza, (orgoglio che può capire e comprendere ancora meglio chi al servizio dello Stato e del pubblico interesse ha speso una vita intera) deve essere irrobustito, rinvigorito.

I pubblici dipendenti non vogliono più sentirsi senza reti protettive e senza riferimenti politici in giusta misura ed in circostanze date  amichevoli e rassicuranti e chiedono che la proliferazione, che è sembrata negli anni passati inarrestabile di “authorities” indipendenti, conosca una pausa di riflessione e di ripensamento.

E’ perfettamente comprensibile che i pubblici dipendenti non vogliano più brancolare nel buio di un futuro incerto, si rifiutino di continuare ad annaspare nell’applicazione di leggi con articoli dai troppi commi  spesso indecifrabili per carenza di concatenazione razionale e logica, chiedano al Governo ed al Parlamento  semplificazione e chiarezza.

Viviane Forrester ci racconta che – nella già migliore situazione della pubblica amministrazione francese – un malevolo libello ha parlato dei pubblici funzionari di quel paese come di “ accaparratori di privilegi scandalosi, vampiri della nazione, vergogna delle statistiche, beffatori del cittadino laborioso e sguazzanti, a spese dello Stato, nella sicurezza dei sussidi”.

Espressioni del genere o consimili dovrebbero essere rigorosamente bandite dai giudizi del nostro sistema mediatico e non solo di esso.

Per l’alta dirigenza ritengo che sia giunto anche un altro momento.

Quello di chi può e deve porre il suo “ identikit “ ideale  legandolo non solo ai progressi tecnologici acquisiti ma anche e soprattutto alla sua antica e tradizionale funzione di neutralità ed imparzialità.

 

Lei, Signor Presidente della Repubblica, richiamandosi all’art. 98 della Costituzione, ha ricordato in un Suo recente intervento che la P.A. deve essere libera e professionale e soprattutto al servizio esclusivo della Nazione.

 

Questo significa che l’alto dirigente, in particolare,  non deve né essere asservito alla politica né sentirsi parte di un sistema “autoreferenziale” che tenda esclusivamente alla sopravvivenza corporativa.

Per chi sta al vertice burocratico di una P.A. per un alto funzionario dello Stato, si possono tirare in ballo due esigenze egualmente ineludibili anche se in apparenza possono sembrare contrapposte.

Da un lato, c’è la necessità di garantire ai capi degli uffici amministrativi di poter perseguire l’interesse generale che deve essere base ed ispirazione della loro professionalità, senza subire interferenze estranee e contrarie.

La seconda esigenza è quella di evitare dall’altro verso, che il responsabile politico di una pubblica amministrazione, nel momento in cui si accinga a perseguire il pubblico interesse, trovi un ostacolo, oltre che nella pur sempre ipotizzabile incapacità professionale, negligenza o quanto altro, nella marcata ideologizzazione contraria (e, spesso, ostilmente omissiva) di un alto funzionario amministrativo.

Le Istituzioni non devono subire politicizzazioni. E bisogna porre molta attenzione - nella pur necessaria, a volte  - utilizzazione di modelli stranieri.

Vi sono meccanismi che provengono da altre culture burocratiche, che sono estranei allo spirito di neutralità ed imparzialità che hanno sempre costituito il vanto della grande tradizione europea della pubblica Amministrazione: vanno usati con parsimonia e con grande oculatezza. Un loro uso eccessivo o indiscriminato potrebbe portare al risultato opposto di “politicizzare” ciò che “politicizzato” non deve essere mai a salvaguardia delle Istituzioni, dell’interesse generale e del bene collettivo.

E delle Istituzioni, infatti, che i pubblici dipendenti sono al servizio. Essi sono tenuti a seguire l’indirizzo politico dei Governanti che il popolo nella sua sovranità esprime. Ed il loro obbligo di lealtà  non può essere messo a rischio da una visione politicizzata del loro ruolo, estranea, come ho già detto, alla nostra civiltà giuridico-amministrativa.

Se un vertice burocratico, anziché ispirarsi esclusivamente al supremo servizio della nazione, si lascia prendere la mano dalle sue convinzioni ideologiche e tradisce il suo ruolo di neutralità- istituzionale  è bene che chi ha responsabilità di governo assuma le iniziative consentite dalla legge  per evitare che si sviluppi un’attività amministrativa sostanzialmente parziale e contraria all’interesse della Nazione perseguito dai Governanti liberamente eletti dal popolo.

Anche questo ritengo che sia nello spirito dell’art.98 della Costituzione che Lei, Signor Presidente ci ha ricordato.

Nel rispetto dello spirito di neutralità ed imparzialità di cui la nostra pubblica Amministrazione – ripeto - ha sempre dato ottima prova bisogna trovare le linee ispiratrici dell’azione futura dei pubblici poteri per ogni riforma che riguardi l’Alta Dirigenza dello Stato e tutta la Pubblica Amministrazione.

Occorre proseguire sulla strada maestra di una regolamentazione dell’Alta Dirigenza sempre più moderna ed al tempo stesso  sempre più sensibile alla tutela dell’interesse generale e del bene complessivo – sociale ed economico – della Nazione.

In questo settore le nostre “radici” sono nobili ed altrettanto degne di considerazione quanto quelle di altre apprezzate esperienze estere.

Concludo, signor Presidente, augurandomi che questa Conferenza, dal mio Dipartimento fortemente voluta, dia contributi notevoli ed essenziali  perché l’Alta Dirigenza della Pubblica Amministrazione progredisca nella direzione necessaria a conservare all’Italia quella posizione e quel ruolo di grande importanza che ha sempre avuto nel novero dei paesi più civili ed evoluti  della collettività mondiale.  

Grazie.

 

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