L'arte dei Bancalari a Chiavari (introduzione)
L'attività dei falegnami, detti "bancalari" (da cui deriva l'omonimo
cognome),
si sviluppò a Chiavari sin dal XVI secolo, periodo in cui la città costituiva uno dei più importanti centri di smercio del legname grezzo in Liguria.
Malgrado l'abbondanza di materia prima fornita dal boscoso entroterra appenninico della loro città, i bancalari di Chiavari non si costituirono mai in una attiva e
agguerrita corporazione, come quelli genovesi, e la loro attività rimase avvolta nell'ombra. Eppure l'arte della falegnameria ha una lunga e gloriosa tradizione a Chiavari
e grazie all'intensa attività dei suoi artigiani la cittadina ligure poté sempre conservare una certa autonomia, rispetto al capoluogo, per quanto riguarda la produzione di arredi lignei.
I bancalari genovesi invece tendevano a stabilire un clima di rigido protezionismo per salvaguardare i propri interessi.
Soltanto nei primi anni dell' 800, grazie all'intuito e all'abilità dell'artigiano Giuseppe Gaetano DeScalzi, figlio di un bottaio e nipote del campanaro della chiesa di Bacezza (perciò detto il "campanino"),
nacque la sedia di Chiavari (chiavarina o campanina) destinata a diventare famosa nel mondo per eleganza e funzionalità. Egli modificò alcune
seggiole che il marchese Stefano Rivarola, governatore di Chiavari per la Repubblica, aveva portato di ritorno da un viaggio da Parigi.
Il campanino lavorava col legno di faggio e soprattutto di ciliegio, per via del peso specifico leggermente inferiore; legno selvatico dei monti
dell'entroterra chiavarese, stagionato in un certo modo. Leggerezza e robustezza, le caratteristiche che hanno reso celebre nel mondo la sedia di Chiavari
e strappato una definizione ammirata («Un miracolo di tecnica ed eleganza») persino allo scultore Antonio Canova.
La sedia viene prodotta ancor oggi nel rispetto della tecnica costruttiva originaria che la rende inconfondibile nella linea e idonea a ogni tipo di arredamento.
Giuseppe Gaetano Descalzi Dopo un apprendistato di circa 9 anni, procuratosi una solida perizia tecnica, il Campanino aprì la sua bottega nel 1795
e già nell'anno successivo fu premiato dalla Società Economica per 2 cassettoni. Ma la grande occasione gli fu offerta nel 1807 quando il marchese Rivarola portò con sé,
di ritorno da un viaggio a Parigi, un nuovo esemplare di sedia e lo propose all'imitazione dei falegnami locali.
Si avverò così, per merito del Descalzi, il sogno della Società Economica di instaurare una manifattura artigianale in grado di produrre oggetti che presentino i pregi della qualità,
della robustezza e della facile riproducibilità su larga scala. Il Campanino riesce a riprodurre, pur modificandola, la sedia francese e così nasce la "chiavarina".
Egli adattò questo modello alle esigenze locali, unendo una straordinaria abilità tecnica con il buon gusto e l'eleganza assunti nel chiavarese durante il suo noviziato.
Rispetto al modello, il nuovo tipo di sedia da lui ideato manteneva lo schienale
a crosse e la forma delle gambe ma appariva allegerito nei particolari e più armonioso.
Il Descalzi arrotondò le traverse, rese più snelle le gambe, adottò un'essenza (il ciliegio) di facile reperibilità e inventò un nuovo tipo di tessitura del sedile, in modo che risultasse
più fine e proporzionato di quello francese. Nacque così un oggetto che realizzava in pieno quegli ideali di funzionalismo sostenuti dalla cultura neoclassica.
In questa prima fase della sua attività, il Campanino, erede di una tradizione artigianale d'alto livello, curava con la stessa attenzione ogni oggetto che usciva dalla sua
bottega, senza distinzione tra sedie di lusso e sedie "ordinarie" senza decorazioni, distinzione che sarà portata avanti dai suoi successori nella seconda metà dell'ottocento.
Il Descalzi cercava di perfezionare la sua invenzione, studiando nuovi accorgimenti tecnici (arrivò a rendere sottilissime le fibre di salice per il sedile) e cercando tipi di legno
che oltre alle caratteristiche di leggerezza ed elasticità fossero anche facilmente reperibili in loco. Ciò lo portò ad utilizzare, dal 1835 circa, l'acero per la fabbricazione delle sedie.
Dal 1840 utilizzò anche l'ardesia per l'intarsiatura di tavoli, in parte poi acquistati dalla Corte austriaca.
Egli si mantenne sempre fedele alle semplici tipologie di tavoli e sedili che aveva creato; proprio per questa sua straordinaria coerenza artistica ed umana, fu un isolato
rispetto alle tendenze imperanti all'epoca, ma nonostante ciò incontrò il favore dei suoi contemporanei. Furono numerosi i premi e i riconoscimenti ufficiali nella sua carriera.
Il Campanino morì nel 1855. All'epoca a Chiavari e nei dintorni si contavano circa 600 operai addetti alla lavorazione delle sedie, con un utile annuale netto di 300.000 franchi.
Numerosissime furono le manifatture di seggiole attive nella seconda metà del 1800. Oltre ai figli del Campanino (Giacomo, Emanuele, Salvatore), ai nipoti (Colombo ed Enrico)
e al genero (Giovanni Battista Canepa), molti altri artigiani si dedicarono alla fabbricazione delle "chiavarine". Alcuni si specializzarono nella esecuzione delle cosiddette
"ordinarie" in legno di faggio con il sedile in canna invece che in salice.
Le essenze Fin dall'origine il Campanino adottò cinque essenze base: il ciliegio selvatico, il noce, l'acero, il faggio e, a livello sperimentale, il frassino.
I primi modelli di sedia furono realizzati quasi esclusivamente con il legno di ciliegio selvatico locale (tagliato dai montanari e disposto a pezzi nelle dimensioni idonee alla costruzione di seggiole),
successivamente, senza abbandonare del tutto questa essenza, venne adottato l'acero bianco tedesco o americano. La vera svolta avvenne più tardi, quando il Descalzi scoprì
sull'Appennino Ligure una qualità di acero migliore di quello importato dall'estero. Anche per l'acero, come per il ciliegio, erano i montanari che provvedevano a tagliare i tronchi
secondo le istruzioni del Campanino, a farli stagionare e a portarli poi nella sua bottega. Non è scluso che, proprio dalla secolare tradizione di essicatura dei cibi (castagne, funghi)
tipica della Val d'Aveto, sia derivata una tecnica di stagionatura accelerata del legno; infatti, secondo quanto afferma una tradizione orale, i pezzi di legno, già sbozzati,
sarebbero stati messi a stagionare sulla
grè o
sechaezo, un graticcio ligneo posto sopra il focolare della cucina o in un apposito locale dove, grazie al calore sottostante, avveniva la seccagione.
Alla fine del procedimento i legni apparivano anneriti all'esterno e bianchissimi all'interno. L'essicazione artificiale o la stagionatura naturale era quindi il primo dei requisiti
per ottenere la classica leggerezza delle sedie. Il faggio, considerato legno scadente, era l'essenza meno usata dal Campanino che la riservava agli esemplari destinati alla
laccatura o a particolari rifiniture coprenti. Il faggio in realtà presentava caratteristiche che in tempi successivi lo avrebbe reso uno dei legni più usati; infatti, sottoponendolo
ad evaporazione tramite ebollizione, non subiva modificazioni dovute alle variazioni atmosferiche o ambientali ed era disponibile in abbondanza nel territorio di Chiavari.
Anche il frassino venne usato sperimentalmente, ma con poco successo, forse perché più filaccioso dell'acero e difficilmente rintracciabile in zona.
Lavorazione delle essenze e utensili usati La fase della lavorazione del legno, già stagionato, era fondamentale per ottenere la leggerezza e la solidità delle sedie di Chiavari.
Il momento più spettacolare era costituito dall'esecuzione delle gambe posteriori che, originariamente, venivano realizzate con la tecnica del ferro a caldo, detta "a fuoco".
Successivamente, con l'avvento delle attrezzature meccaniche, prima a vapore, poi elettriche, questa tecnica fu soppiantata dalla sfibratura del legno. La sfibratura del legno
è attualmente limitata alle sole gambe posteriori, mentre per quelle anteriori e per le traverse (i "legnetti") laterali e frontali, è sempre stato usato il tornio, prima a mano con grossi volani,
poi a vapore e infine elettrico. Dalla semplice Campanino alle forme più complicate, la tornitura ha sempre avuto un enorme importanza nella costruzione della sedia chiavarese.
L'assemblaggio dei vari pezzi era un'altra operazione importantissima ai fini della solidità della sedia. Una particolare attenzione richiedeva la sistemazione dei 4 legni
del sedile, i quali venivano incastrati in posizione leggermente inclinata verso l'esterno, in modo che la tensione del sedile li facesse poi tornare in posizione orizzontale.
La sedia ultimata era una struttura completamente in tensione e ciò costituiva il miglior presupposto di solidità.
La lavorazione "meccanica" era seguita da quella propriamente manuale, avvalendosi di alcuni strumenti, alcuni dei quali oggi completamente scomparsi. Una grossa sega (sega
dose),
sorretta da un telaio ligneo e tesa tramite una fune attorcigliata, con una lama sottile, era lo strumento usato all'inizio del procedimento di sfibratura del legno. Seguivano poi
i vari pialletti: a navicella; con la sezione trasversale curvata diversamente. Le calettature e gli incastri delle traverse venivano realizzati con l'aiuto di due strumenti: la maniglia
a trapano (
girabarchino) e lo scalpello ad angoli retti (
bedano o
beden).
Il sedile Era costituito da fili di salice, tagliati tramite una trafilatrice manuale che produceva fili assai sottili e ne modellava la superficie.
Il procedimento
di tessitura iniziava con l'inserimento di un'anima (originariamente in vimini) nell'incavo interno dei legni del sedile piegata in corrispondenza dei 4 angoli e fissata ai legni ovali,
a sezione decrescente verso le estremità. I fili venivano inseriti su due lati perpendicolari e intrecciati, iniziando di solito dal davanti della sedia, in modo da ottenere un disegno
a quadri, a spighe o a lisca di pesce. Questo lavoro veniva affidato esclusivamente alle donne che inserivano tra i fili disegni eseguiti con la lana colorata.
La tessitura veniva terminata inserendo i vari fili nell'anima dei due legni rimasti liberi e chiudendo l'intero sedile, usando un coltello e una stecca d'acciaio a punta.
Con la lenta industrializzazione della produzione, il salice venne sostuito con la canna d'India o bambù indiano, proveniente allo stato grezzo dall'Indocina.
Si è migliorata così la robustezza e la resistenza del sedile (il bambù è inattaccabile ai tarli), uniformando però la tessitura dei sedili in una sola tipologia.
Modelli tradizionali Il modello più antico è la "campanino", segue la "tre archi" di raffinata eleganza, e la "parigina", forse la più elaborata per l'accurata
lavorazione al tornio richiesta dalle colonnine della sua spalliera. La "filippa" simile alla parigina con archetti a tuttotondo, la "tre spade" o "spadina" così chiamata per le tre
aste della spalliera a forma di triangolo isoscele molto appuntito e traforato che dava l'idea della lama di una piccola spada, la "rocchetto" con colonnine a tortiglione e la "gotica" con intrecci di archi ogivali.
Riepilogo storico 1808 prima sedia. 1822 diffusa col nome di Chiavarina.
1823 realizzati diversi modelli perfezionando e ingentilendo la prima sedia; il 5/4/'23 si discute sul marchio di qualità.
1826 Francesco I Re di Napoli visita il laboratorio del Campanino e gli ordina 100 sedie per la sua reggia.
1829 le seggiole di Chiavari nelle regge europee:
fanno bella mostra nei palazzi di tante capitali e nelle regge di Londra e Parigi.
1834 il famoso scultore Antonio Canova ha voluto comprare
delle sedie di Chiavari per ammirare la loro perfezione leggerezza e robustezza.
1838 Carlo Alberto visita il laboratorio e gli concede di fregiarsi del titolo di règia fabbrica sull'etichetta.
1841 si autorizza l'uso dello stemma reale sull'etichetta.
1866 Napoleone III nomina Giacomo Descalzi, erede del Campanino, fornitore di sua maestà.
1884 proposto nuovo modello di seggiola Chiavarina perché non riescono a competere con quelle di Biella.
1888 proposta di costruzione in California