La Seconda
vita di Saramago
Intervista
di Paolo Emilio Landi
José Saramago è a Roma
in occasione del debutto de ‘ La seconda Vita di Francesco d’Assisi’, per
la regia di Marco Baliani. Nella pièce, lo scrittore portoghese,
premio Nobel per la Letteratura nel 1998, immagina che Francesco torni
e trovi la sua organizzazione religiosa trasformata in una holding finanziaria
con un consiglio di amministrazione e gli agenti di vendita al posto dei
frati.
Incontriamo
Saramago nel suo albergo. E’ molto alto. La sua età, 78 anni,
non lo ha per nulla incurvato.
Un ordine religioso trasformato in una multinazionale. ‘Francesco’
è’ un testo anticlericale?
Credo che i critici hanno la tentazione esagerata di etichettare,
classificare. Non è un testo anticlericale. Si pone piuttosto la
questione se siamo al mondo per fare di lui un luogo di giustizia,
di relazioni pacifiche, oppure ci serviamo di tutto ciò
che costituisce le differenze tra le persone e tra le classi per approfondire
ancora di più le differenze che ci sono. Non è un testo
anticlericale ma impiega un personaggio storico, Francesco d’Assisi che
affronta il problema della sua relazione con il potere, con i soldi, con
il potere dei soldi. Un uomo che ha preso la decisione di essere povero.
La questione che si pone è, secoli dopo, molti secoli dopo,
quale senso ha oggi dirsi povero? Oppure, al contrario
che cosa dovevamo fare tutti , santi o non santi, per liberarsi dalla
povertà? Questo è il tema.
Perché ha scelto Francesco?
Beh, in realtà Francesco è sempre stato un santo popolare.
E’ un santo con cui noi vorremmo vivere, incontrare per strada, o averlo
per amico. Alcuni anni prima di iniziare a scrivere, durante
una visita ad Assisi, visitando le chiese e i chiostri, ho visto in un
chiostro una bancarella, sulla quale si vendevano immagini e crocefissi,
libri edificanti, si vendevano i rosari, tutto questo roba. E ci stavano
due frati francescani che vedevano. Io non sono credente, sono ateo,
e si sa, agli atei le religioni importano molto perché pretendono
che le religioni siano quello che dicono di essere e non quello che dimostrano
con il loro comportamento abituale. Probabilmente, io come ateo, sono rimasto
più shockato, gravemente shockato, da quella esibizione mercantile
di vendite, di chincaglierie, pseudo-religiose.
Qualsiasi altro credente arrivava lì e comprava rosari, comprava
le spillette, comprava le immagini. Questo shock è stata l’origine
dell’idea, io come ateo mi dicevo questo non può essere. La religiosa
deve essere un’altra cosa e non questo. Questo mi ha portato a scrivere
la pièce.
Non voglio provocarla ma questa è una posizione assolutamente
protestante
E’ possibile di sì, è possibile, nelle questioni etiche,
del comportamento umano, sono protestante, dal punto di vista sociale sono
protestante, dal punto di vista politico sono protestante quindi
è naturale che mi trovi d’accordo con i protestanti in alcune
cose.
Si sono persi tutti i valori nelle relazioni umane. Il mondo così
com’è è un disastro totale. La globalizzazione economica
sta eliminando i diritti umani, li sta eliminando e ha come scopo esattamente
questo. Le persone non sanno che pensare. C’è mancanza di
ideali nel mondo e quando mancano le idee umane si fa ricorso a quelle
che si potrebbero chiamare idee divine. La questione è che
potrebbe essere possibile e dovrebbe essere possibile conciliare
la necessità naturale che alcune persone hanno di spiritualità
religiosa con le circostanze meramente umane della vita di tutti i giorni.
Io sono e devo dire che per fare un ateo come me è necessario un
altissimo grado di religiosità. Ma religiosità più
nel senso etimologico della parole. Religione come qualcosa che lega, che
mi lega agli altri , al mondo alla storia , al tempo, alla cultura, a tutto
. E poi, io non credo in Dio ma se Dio esiste per te, se tu credi
in Dio, allora Dio esiste per me in te. Ma io non ho bisogno di Dio.
Non ho nessuna necessità di Dio che non sia per litigare
con lui.
Le è ateo, perché scrive così spesso di Dio
e della religione?
Perché..,. perché assolutamente naturale che questo succeda.
Nella mia testa sono cristiano, per tutta la mia formazione, anche
se non ho ricevuto alcun insegnamento religioso, non ho avuto un’educazione
religiosa. Però in qualche modo l’aria che respiro è impregnata
dei valori del cristianesimo. Quindi dal punto di vista della mentalità
sono cristiano e come tale ho diritto di scrivere e pensare, riflettere
su di quello che ha fatto di me, in gran parte, la persona che sono. E’
chiaro che tutti mi chiedono, tutta la gente mi chiede perché se
sei un ateo scrivi sulla chiesa, sulla religione su Dio? Io dico perché
è naturale che io scriva di questo.
I personaggi dei suoi ultimi romanzi non hanno nome.
E’ vero, i personaggi dei miei ultimi libri , cioè il Saggio
sulla cecità, e Tutti i nomi, non hanno nome, per quanto
in Tutti i Nomi c’è un personaggio che ha il nome proprio,
perché il nome oggi ha sempre meno importanza. Quello che
ha importanza oggi, effettivamente è il numero della carta di credito
perché un nome si può ripetere. In questo momento
per strada, potrebbe passare un portoghese che si chiama José
Saramago . Ma invece il numero della mia carta di credito nessun
altro ce l’ha. Questo significa che stiano diventando sempre di più
un numero e sempre meno persone. Quindi sempre meno nomi. Mi
ricordo, sebbene che questa possa sembrare un’affermazione un po’
eccessiva, che anche nei campi di concentramento nazisti quello che si
metteva qui, che si tatuava non era un nome ma un numero. E noi siamo
sempre più numeri e non nomi.
Però in Tutti i Nomi il personaggio che ha un nome
ha il suo, José.
È un caso e posso dirlo con tutta franchezza . Per dare un nome
a questo personaggio, io ho voluto dargli il nome più insignificante
che potessi trovare. Il personaggio è insignificante
e posso dire che non ho trovato un nome più insignificante
del mio.
Sorride Saramago, mentre rigira le mani nodose, l’intervista
è finita, e poi improvvisamente, in francese :
Noi siamo imbecilli, noi, la gente come noi. Non voglio dire che
lei è un imbecille, ma io lo sono. Non si arriva a capire che bisogna
dire no, che bisogna fermarsi per riflettere per domandare: ‘perché,
perché viviamo come viviamo? Di chi è la colpa?’
L'intervista
è andata in onda su Raidue - Protestantesimo nel maggio 2000
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