Proposte eco-sostenibili per la Zona Pantano-Ripalta dott. Francesco Ciccone Presidente A.B.A.P. |
Due anni fa, il 29 Aprile, in questa stesso splendido luogo, vi fu un convegno come questo, nel quale come Presidente dell’ABAP, relazionai su quelle che erano le nostre idee sulla zona Pantano – Ripalta, riprese poi più volte dai mass media locali. Quelle idee pensavo avessero fatto presa sugli amministratori locali, visto che dopo qualche mese dal quel convegno, fui chiamato dall’Assessore Vella, a dare il mio contributo alla crescita dell’Ufficio Ambiente del Comune di Bisceglie, dove, però rimasi solo per pochi mesi. In quel lasso di tempo, fui costretto a prendere consapevolezza della realtà locale, e non solo, e cioè che nonostante tutto, per quelli che noi definiamo "politici", la "questione ambientale" è purtroppo, per noi, ancora solo propaganda, buona per le amministrative, ma niente di più. Questo, a prescindere, che a gestire la "cosa pubblica", sia una coalizione di centrodestra o di centrosinistra. Poiché le istituzioni sono fatte dagli uomini e le idee, come qualcuno ha detto, "...camminano sulle gambe degli uomini...", che questi siano dell’uno o dell’altro schieramento poco importa se poi, alla base, le idee sono malsane o errate da un punto di vista concettuale, sia sociale che ambientale, e buone, invece, solo per qualcuno, che è amico dello schieramento che è al timone dell’ente locale. Ecco perché, oggi il mio intervento si incentrerà sul linguaggio, ossia sulla diversa interpretazione che possiamo, noi umani, dare alle parole, e, quindi, alla comunicazione; e visto che siamo nell’era della comunicazione, penso che sia, pur nel contesto del tema che dovrò trattare, sicuramente essenziale capire e farsi capire, come recitava il titolo di un testo di grammatica italiana su cui ho studiato nei miei primi anni alle medie. Vorrei partire dalla definizione del concetto di bisogno! Perché il 30 Agosto del 1999, alcuni cittadini ed associazioni, hanno costituito il Comitato del Pantano? Perché queste persone hanno sentito il bisogno di esprimere dissenso rispetto a come gli Amministratori vedevano il futuro sviluppo dell’area in questione; ma perché c’era e c’è questo diverso "sentire"? Perché i bisogni che si vogliono soddisfare in quest’area, partano da paradigmi concettuali totalmente diversi, a cominciare proprio da quello che noi definiamo bisogno! Ma cosa intendiamo con questa parola? L’Oxford English Dictionary, nell’edizione del 1892, descrive due significati per il termine inglese "need", ossia "bisogno". Il primo esprime la necessità di fare qualcosa; il secondo, invece, esprime la richiesta, profonda ed imperativa, di avere qualcosa. Il dissenso, tra le due posizioni, parte da qui! L’edizione del 1929 dello stesso dizionario, ne aggiunge un terzo di significato, che amplifica ancor più, la differenza esistente tra i primi due: bisogno è uno stato di desiderio fisico e/o psicologico, che orienta al comportamento verso la sua soddisfazione ed il suo superamento. All’epoca, ce lo dicono gli storici, erano i tempi della Grande Crisi, tempi in cui H. Ford, in maniera empirica, ed J. M. Keynes, teoricamente, avevano inventato ed applicato negli Stati Uniti ed in Europa occidentale, l’economia della domanda, allargando la base del consumo attraverso la concessione di un maggior salario ai lavoratori, orientando e definendo i bisogni, e quindi i loro consumi, in maniera tale che gente con più denaro potesse spendere di più per allargare ancor più la richiesta di produzione di beni. Da ciò nasce il terzo significato di bisogno, quello che poi ha preso il sopravvento, sul primo, ma soprattutto sul secondo: e cioè l’istituzionalizzazione del bisogno, imposta attraverso la pubblicità: il vero "Grande Fratello" della società occidentale. Come se ciò non bastasse, nel 1949, sempre negli Stati Uniti, H. Truman, nel suo discorso inaugurale del suo mandato presidenziale, disse, praticamente, che ciò che era buono per gli USA era buono per l’intero pianeta. Era l’inizio, per quelli che interpretano il bisogno come richiesta, l’era dello sviluppo selvaggio e miserabile, della "profittocrazia". Tale era, veramente, aveva avuto inizio prima della fine della seconda guerra mondiale, quando a Bretton Woods, i tre grandi di allora (USA, Gran Bretagna ed URSS)decisero, come ha riportato il Ministro Buttiglione, in un recente convegno a Bari, che era meglio dominare gli altri Paesi con il commercio e la finanza, piuttosto che con le armi. Fu lì che si idearono la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e le Banche Centrali, i cui rappresentanti, non eletti da nessun consesso democratico di cittadini, dicono all’intero pianeta cosa e come deve vivere e quali bisogni deve sentire! Non più sentimenti e colori, non più poesia e cultura, ma solo "merci", solo mercato e quindi, profitto; da allora ogni singolo cittadino, in ogni continente, non poteva avere più bisogni propri, derivanti dalla sua cultura, dalle sue tradizioni, dal suo sentimento; ma il suo bisogno era omologato ed identificato dispoticamente, come per tutti, con il benessere puramente materiale, con un benessere completamente mercificato, identificato nelle cose e nel loro possesso. Tutto ciò ha radici antiche; nel Medioevo, Dio era centro e riferimento dell’Uomo e della sua società; il Rinascimento li spostò e li abbassò sull’Uomo, seppur in una concezione olistica dell’Uomo stesso, che però si perse con l’Illuminismo, in una visione riduzionistica della scienza e meccanicistica della realtà, fondata sulla sola ragione. Il degrado etico e culturale continuò poi col Positivismo e la Società seguita alla Rivoluzione industriale, ossia col Capitalismo Industriale. Questo paradigma, nato con Bacone, Cartesio, Locke e Smith, ed incrementato dalle decisioni degli anni ’40, continua ancor oggi a dominare la vita di tutti noi, nonostante la grande lezione della scuola psicoanalitica di Francoforte, ed in particolare di E. Fromm e del suo "Avere o Essere?", nel quale, a metà degli anni ’70 si ebbe la forza di dire che la "Grande Illusione" partita dalla fede positivistica nella ragione e nella tecnica aveva fallito. Bisognava modificare il paradigma sociale e tecnico scientifico! Non fu fatto, anzi, ma le conseguenze di ciò sono oggi sotto gli occhi di tutti. E finora, poco hanno potuto, da un punto di vista politico, anche le ricerche e le opere di istituzioni, come il Club di Roma, il WWI od il WI. Ma rispetto a 50 anni fa, il sentire diverso della gente, nei confronti di chi li amministra adesso si fa concreto, e ciò grazie anche alle istituzioni sopra menzionate. Ecco quindi il perché dell’esistenza del comitato! Il rendere concreto un diverso concetto di bisogno, fondato su un paradigma biocentrico ed olistico, ossia rispettoso della biodiversità della natura animale, vegetale ed umana, ivi esistente; un sentire che si contrappone a quello di un paradigma supportato solo dai concetti di "mercato", "competizione" "profitto"; bisogna una volta, per tutte, superare l’archetipo hobbesiano dell’uomo e della natura. Ed il comitato vi invita a farlo, con decisione! Come con decisione passo alla seconda definizione: democrazia! Non voglio certamente fare un’erudita ed accademica lezione su tale argomento! Voglio solo dire che anche per tale termine, l’ottica di chi detiene il potere e chi sta dall’altra parte è diversa, sempre a causa delle influenze dei due paradigmi a cui abbiamo prima fatto riferimento. Infatti più che di democrazia, oggi dovremmo parlare di liberalismo, che è qualcosa di diverso. La democrazia si riferisce ad un popolo, come il repubblicanesimo; il liberalismo, invece, ha come riferimento l’individuo! Non a caso, gli assertori di quest’ultimo ritengono che la democrazia rappresentativa, ossia parlamentare, sia il modello migliore di democrazia! Invece, chi è legato al concetto di bisogni come richiesta e non come bisogno istituzionalizzato, preferisce la democrazia partecipativa, la vera democrazia. Nella prima, infatti, è insito l’esclusione del mandato vincolante dell’elettore verso l’eletto; essa consegue alla nascita dello stato liberale, fondato sui diritti del singoli individui, e non come collettività. A differenza, la democrazia partecipativa vuole invece, continuare il dialogo tra eletto ed elettore, dando a quest’ultimo, il diritto di chiedere il rispetto dei programmi promessi ed un controllo più diretto sulle assise che decidono la vita pubblica di una comunità. Ecco perché si è sentito ad un certo punto l’esigenza dello strumento referendario. Sono certo che se si svolgesse un referendum su Bisceglie e Molfetta, per chiedere che modello di sviluppo si desidera sulla zona Pantano – Ripalta, non pochi sarebbero d’accordo con gli assertori della democrazia parlamentare. Perché? Perché su tali argomenti c’è ancora, volutamente, poca conoscenza; c’è il bisogno di informare; sensibilizzare e formare l’opinione pubblica. E convegni, come questo, servono proprio a tale scopo! Per fortuna oggi la soglia di attenzione verso una maggiore qualità della vita e dell’ambiente, si è molto abbassata, grazie al lavoro delle associazioni ambientaliste, tipo quelle che patrocinano questo incontro. Molte persone, lo dicono recenti sondaggi, sarebbero pronte a rinunciare a parte delle proprie remunerazioni (... per chi ha la fortuna di averle) per una maggior libertà di tempo, per poter vivere emozioni, sentimenti ed affetti e per poter magari seguire convegni e seminari, leggere buoni libri, per incrementare il proprio bagaglio di conoscenze ed essere più critico e propositivo verso la cosa pubblica, se glielo si consente. Passiamo, finalmente, al concetto di sviluppo sostenibile. Avete ascoltato la relazione precedente, che parlava di tale argomento, in relazione allo sviluppo dell’Ofanto. Questa nuova idea, assurta alle cronache nei primi anni ’80, nel discorso inaugurale (coincidenza), di un altro presidente degli Stati Uniti (J. Carter) è stato fagocitato dalla paradigma corrente, come a suo tempo lo fu la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie- che fu ridotta a pura e semplice lotta per la sopravvivenza; la teorizzazione che la selezione premia i più forti – estesa dal mondo naturale a quello economico e finanziario. Solo che la specie umana ha aggiunto alla naturalità, la sua di natura, ossia l’inganno, la prevaricazione, il ricatto, ecc... Per cui il concetto di sviluppo sostenibile ha perso tutta la sua innovatività per essere poi sostituito da quello che, l’UNEP, il WWF e lo IUCN hanno definito la sostenibilità dello sviluppo. Un gioco di parole, un diverso esprimersi! No! Sono due paradigmi concettuali completamente diversi. Dalla visione dei lucidi seguenti sarà molto più chiaro; almeno lo spero. E’ difficile compendiare in pochi minuti concetti che richiederebbero ore per essere pienamente espressi ed enunciati. ..... Da quanto finora espresso, noi dell’ABAP, sviluppando un input pervenutoci tre anni fa circa, al nostro II^ congresso regionale, tenutosi a Barletta, da un responsabile del Ministero dell’Ambiente, abbiamo elaborato quello che chiamiamo sviluppo consapevole, fondato sull’ecologia del bisogno. Non c’è tempo per approfondire, per cui vediamo giusto un lucido. Per arrivare a ciò la strada è lunga e irta di difficoltà. Una mano può venirci dall’applicazione di nuovo paradigma che si chiama capitalismo naturale, che pur se distante abbastanza dalla nostra idea di ecosviluppo, supera definitivamente il concetto di capitalismo industriale e cerca di mettere insieme le diverse esigenze del mondo degli affari e di quello della natura, dando a quest’ultimo priorità sul primo. E a questo concetto che possiamo ricondurre lo sviluppo, illustrato per l’Ofanto, ad esempio, e che si richiede per la zona Pantano Ripalta. Ossia bisogni espressi da un consesso democraticamente partecipativo, secondo i canoni di uno sviluppo consapevole tendente alla sostenibilità, dal un punto di vista concettuale, tramite l’interfaccia del capitalismo naturale. |