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Megara: l’insediamento urbano

Foto di Sebastiano Ramondetta

 

 

 

 

Grazie agli scavi dell’École Française di Roma, diretti da G. Vallet, Megara Iblea, nella baia dell’odierna Augusta, ci dà la migliore idea che oggi si possa avere dell’impianto di una colonia siceliota.

 

Il luogo è un pianoro, ricco d’acqua potabile, prospiciente il mare ad oriente, limitato a nord dal fiume Càntera e a ovest e a sud da un torrente impetuoso, il S. Cusmano, il cui corso condizionò lo sviluppo dell’abitato in forma di arco di cerchio.  Il pianoro è articolato in due metà da una depressione profonda aperta sul mare. Su questo pianoro di  una sessantina di ettari i Megaresi, così pochi da non potersi imporre con la forza, diedero vita ad una partizione di tipo agrario, occupando e dividendo egalitariamente una quantità di terra sufficiente, al momento, a nutrirli.

 

La città fu divisa in cinque quartieri, che sarebbero il riflesso dei cinque villaggi che contribuirono a formare la Megara di Grecia. La misura dalla quale i coloni partirono per dividere l’area della futura città fu il lotto agrario largo 12 metri e gli isolati comprendono ognuno due lotti. Le strade sono state calcolate nella cadenza degli isolati.

 

Fin dal primo momento erano state previste tanto le strade (le due principali est-ovest, mare-altopiano, e nord-sud che costituiva l’asse cittadino della strada Lentini-Siracusa) quanto il grande spazio lasciato libero là dove si incontravano. In altre parole i coloni, fin dal primo impiantarsi, hanno distinto ciò che doveva restare comune da ciò che era privato, hanno dato una struttura geometrica, semplice ed evidente, al loro ideale di possesso egalitario della terra e anche alle case che su essa costruivano, case uniformi, tutte di un solo vano, pressappoco quadrato, ampio fra i 15 ed i 25 metri quadrati. Esso era aperto si uno spiazzo di una superficie media di 120 metri quadrati: una piccola casa rurale con orto. Lo spazio centrale comune, ampio ben 2370 metri quadrati, divenne nel VII secolo l’agorà, con templi per gli dèi e spazi per assemblee. Dopo tre generazioni, Megara appare aver acquistato una certa ricchezza e popolazione tale da pensare alla creazione di una sottocolonia che non soffrisse della sua fama di territorio, Selinunte.

Nel VII secolo a.C. Megara, ormai sufficientemente sviluppata, pur non avendo le forze economiche e il potere politico per fare piazza pulita del primitivo impianto, incrementa e monumentalizza le sue aree pubbliche, assorbendo e stabilizzando l’originaria divisione agraria della terra; si costruiscono anche le mura della città, lunghe 3407 metri. Secondo un calcolo di Paolo Orsi la città in questo periodo doveva raggiungere gli 8000 abitanti.

La città, distrutta da Gelone verso il 483-482, fu ricostruita da Timoleonte e dotata di due cinte murarie. Lo schema è quello “ippodameo” che procede per piani giustapposti, estensioni di superfici, prosecuzione di linee, caratterizzato da facilità e velocità di realizzazione e da una filosofica egalitarietà di principio, ma che nella sua rigida ortogonalità e ripetizione modulare finiva con l’ingenerare un senso di povertà inventiva e di monotonia, accentuato da una architettura urbana piuttosto piatta.

 

Le necropoli si dispongono a cintura attorno alla città, a sud, a ovest e a nord. I tre settori cimiteriali sono dislocati lungo assi viari: quello a ovest in connessione con la via di penetrazione verso gli Iblei; quello a nord ha le tombe monumentali allineate ai margini della strada che porta a Leontini; quello sud lungo la strada per Siracusa.