Novecento di Alessandro Baricco

 

"L'ultimo libro che ti ha fatto piangere?"
Questa era la domanda di un questionario che ho compilato qualche giorno fa. La mia risposta era stata… Cosa importa, qual era la stata la mia risposta? Perché ora è cambiata. Ora ho letto Novecento, di Alessandro Baricco. Ed è quello, l'ultimo libro che mi ha fatto piangere.
Si può, del resto, non commuoversi per la storia di un uomo nato, cresciuto e vissuto su una nave, senza mai scendere? Si può non commuoversi all'addio di due amici che scelgono di salutarsi lasciando che a parlare siano i loro strumenti musicali?
Eppure non è questa la caratteristica predominante del monologo di Baricco. Immerso nel sentimento, ma lontano da ogni sentimentalismo frivolo e banale. Un testo agile, scorrevole, breve. Scarno, quasi. Ma davvero intenso. Con punte di malinconia e di lirismo che sanno catturare il lettore e trasportarlo molto in alto; salvo, poi, rimanere (perdonate il paradosso espressivo) ancorato alla realtà. Salvo, poi, stemperare il lirismo con motti d'arguzia e trovate geniali che solo un autore come Baricco può inserire in un testo senza farlo scadere.
Baricco gioca con le parole e con i suoni, in molti dei suoi testi. Sono parole che si possono far girare in bocca come caramelle, per esplorarne il gusto, ma anche per godere del rumore che fanno mentre scivolano e rotolano tra i denti. Probabilmente, non è un autore elitario; probabilmente, non è uno che si fregia del titolo di letterato (per quanto le leggende sulla sua superbia abbiano fatto il giro della penisola). Probabilmente, è proprio per questo che le sue parole catturano e sono così gustose. Con l'intuito del genio e la semplicità di un bambino crea immagini, suoni e storie che sono difficili da dimenticare. Baricco si appella a tutto ciò che ogni essere umano conosce. La felicità, l'amicizia, anche la musica. E la vita. Temi che vengono sempre trattati nei suoi romanzi.
In Novecento, uno dei temi principali è chiaramente quello della musica. Ma anche nella musica di un pianoforte suonato su una nave Baricco riesce a trovare qualcosa di inusuale, che ci stupisce. Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento suona, ma: "Non esisteva quella roba, prima che la sonasse lui, okay?, non c'era da nessuna parte. E quando lui si alzava dal piano, non c'era più…e non c'era più per sempre…" Ecco allora che gli altri membri dell'orchestra erano costretti a chiedergli: "Per favore, Novecento, solo le note normali, okay?". Tema, questo, che è stato trattato in modo sicuramente più approfondito in Castelli di Rabbia, uscito nel 1991 e dunque tre anni prima di quello qui esaminato, dove si legge: "tra un tasto e l'altro in realtà ci sono infinite note, un pandemonio di note segrete, per così dire, note che non sentiamo…cioè, io e lei non le sentiamo, perché lui, il signor Pekisch, lui le sente, e questo se vuole è la radice di tutti i suoi mali, e di quell'inquietudine che lo divora, sì lo divora…diceva che quella nota, quella notte, era appunto una di quelle note invisibili…capisce, quelle che cui sono tra un tasto e l'altro." Ora, immaginiamo la tastiera di un pianoforte. Ottantotto tasti, neri e bianchi. Belli a vedersi, piacevoli al tocco. Per Novecento è come se quegli ottantotto tasti si clonassero in un processo infinito, suonando, ognuno, una nota diversa. E come Novecento suona note che non esistono e infiammo il suo pubblico a dire il vero un po' superficiale (vedi la sfida con Jelly Roll), così Baricco suona i tasti delle nostre risposte emotive, facendoci ondeggiare al ritmo della musica e delle onde, tra magone, stupore, sorriso… e magari anche qualche lacrima fuggevole asciugata velocemente con il dorso della mano.

Nighterature