RAYMOND CARVER

 

 

Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l'ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio...La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo avere ripreso a respirare regolarmente, ci alzeremo e passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.


Questa frase scritta da Carver per presentare l'antologia che racchiude i suoi 37 migliori racconti (Da dove sto chiamando ed. Minimum Fax) condensa tutto ciò che l'autore pretendeva dalla sua arte. Questo il "senso" dei racconti di Carver: le ultime righe di un suo racconto ci sospendono il respiro per qualche secondo. Poi ritorniamo ad occuparci della vita, visto che in precedenza la lettura del racconto ci aveva assorbiti completamente.


Carver era stato colpito da una frase di un bel racconto di Babel che affermava: "Non c'è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al punto giusto".
Ora, quale scrittore di racconti non si augura di mettere in fila le parole giuste, le immagini precise, ma anche la punteggiatura più efficace e corretta, in modo che il lettore si senta trascinato dentro e coinvolto nella storia? E quale tecnica, oltre alla naturale inclinazione, può essere più efficace della costanza; Raymond Carver ha cercato in tutta la sua breve vita di scrittore di evitare le sciatterie nelle espressioni, e soprattutto ha lavorato sul racconto scritto, facendolo "riposare" per poi rileggerlo con maggiore distacco ed attenzione, per magari correggerlo.


E' pur vero che Carver comincia la sua carriera di autore con la pubblicazione di poesie, e di questa produzione si disse sempre fiero, ma lo stesso scrittore americano ebbe a dire che era stato attratto dalla forma racconto, forse proprio perché aveva scritto poesie; infatti considerava questi due generi non così lontani.
Amava il salto rapido di un racconto, l'emozione comunicata già a partire dalla prima frase ed il fatto che un racconto potesse essere scritto e letto in una sola seduta (proprio come una poesia!) A differenza di un romanzo o di un saggio, che danno possibilità di respiro al lettore, e che per questo possono avere dei momenti di lentezza, un racconto per essere considerato buono deve avere la capacità d'emozionare il lettore.
Questo l'unico criterio di Carver per considerare davvero ottimo un racconto, lui che per altro più di una volta si è trovato a far parte della commissione selezionatrice per la The Best American Short Stories.


Il fatto è che se uno scrittore è ancora vivo e sta bene, dice Carver, (ed uno scrittore sta sempre bene, finché continua a scrivere) e può voltarsi indietro a guardare da una grande distanza i suoi primi tentativi senza doversi sentire troppo intimidito o a disagio, io dico che per lui è un bene. Ed è un bene anche qualsiasi cosa lo abbia ispirato e stimolato a continuare.


L'autoantologia, voluta da Carver poco prima della prematura scomparsa, propone i suoi trentasette racconti migliori in versione originale, reintegrando i brani eliminati dall'editor Gordon Lish, i cui tagli non erano mai stati autorizzati dall'autore.
Sono racconti difficili da classificare, così come risulta riduttivo definire Carver uno scrittore minimalista. Sicuramente lo scenario in cui si svolgono i racconti, ossia locali pubblici, appartamenti squallidi e tristemente arredati, giustifica questa collocazione critica, anche se l'autore descrive le piccole cose della quotidianità, trasforma i gesti di tutti i giorni in storie complesse con uno stile avvincente ed una narrazione precisa, talvolta perfino crudele.
Le piccole cose sono le vere protagoniste delle storie di Carver, così come le persone "piccole" che si inseriscono in grandi tragedie, in drammi sociali quotidiani, come l'incomunicabilità e l'isolamento della società americana. Trionfa in queste storie, ben tradotte sullo schermo da Robert Altman in America Oggi, la banalità, il grigiore di esistenze incolori, che si trascinano pesantemente, facendo luce sulla realtà degli States, fatta di minidrammi ed angoscia.
Si può affermare che dopo aver letto Carver diventa pressoché impossibile, per uno scrittore, sottrarsi alla responsabilità della compassione nei confronti dei propri personaggi. Anche perché gli "eroi" carveriani rimangono tragicissimi uomini e donne in bilico, svuotati dentro, sospesi. Una sospensione esistenziale che è metafora dell'incompiutezza perpetua dell'uomo e di ogni suo atto.
I suoi racconti sono quelli di un maestro e per questo difficili da recensire. I dialoghi sono perfetti perché reali, ma sicuramente quello che fa di lui uno scrittore unico è il finale: il lettore alla fine di un suo racconto si aspetta di tutto, ma non un salto nel vuoto. Invece Carver, genialmente, conduce il suo lettore sull'orlo di un precipizio invisibile (celato nel corso del racconto), e di lì lo sospinge dove mai avrebbe immaginato: nel vuoto, appunto.
Lo stile perfetto e curato, raggiunti grazie al lavoro dell'autore, fanno sì che Carver è uno di quegli scrittori che oltre a non poter fare a meno di amare leggendo si è anche costretti a invidiare per come scrive.
Tra i racconti riproposti nell'antologia ritroviamo Cattedrale che ha segnato per Carver il passaggio ad un altro modo di scrivere, come lui stesso affermò: "Sapevo che per me era un racconto diverso. Non avevo dubbi."
A proposito della selezione dei racconti per la The Best American Short Stories: Sicuramente gli scrittori scrivono perché ne sentono la necessità. Continuano, quelli sconosciuti, anche quando il buon senso gli suggerirebbe di smettere.
Talvolta arriva il lampo di genio, ed accade abbastanza presto nella vita di uno scrittore; a volte, arriva, dopo anni e anni di lavoro. Il più delle volte, naturalmente, non arriva mai.
Sicuramente,
ha affermato Carver, non succederà mai e poi mai a quelli che non ci lavorano sodo e che non considerano l'atto della scrittura quasi come la cosa più importante della loro vita.

Sting64