Stemma Galileo Galilei
Intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono

Sesta pagina

Le parole furon tali: Che avendo gli avversarii opinione che la figura alterasse i corpi solidi circa il descendere o non descendere, ascendere o non ascendere, nell'istesso mezo, come, v. g., nell'acqua medesima, in modo che, per esempio, un solido che, sendo di figura sferica, andrebbe al fondo, ridotto in qualche altra figura, non andrebbe; io, stimando 'l contrario, affermavo che un solido corporeo, il quale, ridotto in figura sferica o qualunque altra, calasse al fondo, vi calerebbe ancora sotto qualunque altra figura, ec.

Ma esser nell'acqua vuol dire esser locato nell'acqua, e, per la difinizione del luogo del medesimo Aristotile, esser locato importa esser circondato dalla superficie del corpo ambiente: adunque allora saranno le due figure nell'acqua, quanto la superficie dell'acqua le abbraccerà e circonderà. Ma quando gli avversari mostrano la tavoletta d'ebano non discendente al fondo, non la pongono nell'acqua, ma sopra l'acqua, dove, da certo impedimento (che più a basso si dichiarerà) ritenuta, resta parte circondata dall'acqua e parte dall'aria; la qual cosa è contraria al nostro convenuto, che fu che i corpi debbano esser nell'acqua, e non parte in acqua e parte in aria.

Il che si fa altresì manifesto da l'esser stata la questione promossa tanto circa le cose che devono andare al fondo, quanto circa quelle che dal fondo devono ascendere a galla. E chi non vede che le cose poste nel fondo devono esser circondate dall'acqua?

Notisi, appresso, che la tavoletta d'ebano e la palla, poste che sieno dentro all'acqua, vanno amendue in fondo, ma la palla più veloce, e la tavoletta più lenta, e più e più lenta secondo che ella sarà più larga e sottile; e di tale tardità ne è veramente cagione l'ampiezza della figura: ma queste tavolette, che lentamente discendono, son quelle stesse che, posate leggiermente sopra l'acqua, galleggiano: adunque, se fusse vero quello che affermano gli avversari, la medesima figura in numero sarebbe cagione, nella stessa acqua in numero, ora di quiete e ora di tardità di moto: il che è impossibile; perché ogni figura particolare che discende al fondo, è necessario che abbia una determinata tardità sua propria e naturale, secondo la quale ella si muova, sì che ogni altra tardità, maggiore o minore, sia impropria alla sua natura; se dunque una tavoletta, v. g., d'un palmo quadro, discende naturalmente con sei gradi di tardità, è impossibile che ella discenda con dieci o con venti, se qualche nuovo impedimento non se le arreca; molto meno dunque potrà ella, per cagion della medesima figura, quietarsi e del tutto restare impedita al muoversi, ma bisogna che, qualunque volta ella si ferma, altro impedimento le sopravvenga che la larghezza della figura. Altro, dunque, che la figura è quello che ferma la tavoletta d'ebano su l'acqua: della qual figura è solamente effetto il ritardamento del moto, secondo 'l quale ella discende più lentamente che la palla. Dicasi per tanto, ottimamente discorrendo, la vera e sola cagione dell'andar l'ebano al fondo esser l'eccesso della sua gravità sopra la gravità dell'acqua; della maggiore o minor tardità, questa figura più larga o quella più raccolta: ma del fermarsi non può in veruna maniera dirsi che ne sia cagione la qualità della figura, sì perché, faccendosi la tardità maggiore secondo che più si dilata la figura, non è così immensa dilatazione a cui non possa trovarsi immensa tardità rispondente, senza ridursi alla nullità di moto, sì perché le figure prodotte da gli avversari per effettrici della quiete già son le medesime che vanno anche in fondo.

Io non voglio tacere un'altra ragione, fondata pur su l'esperienza, e, s'io non m'inganno, apertamente concludente, come l'introduzione dell'ampiezza di figura e della resistenza dell'acqua all'esser divisa non hanno che far nulla nell'effetto del discendere, o ascendere, o fermarsi, nell'acqua. Eleggasi un legno o altra materia, della quale una palla venga dal fondo dell'acqua alla superficie più lentamente che non va al fondo una palla d'ebano della stessa grandezza, sì che manifesto sia che la palla d'ebano più prontamente divida l'acqua discendendo, che l'altra ascendendo; e sia tal materia, per esempio, il legno di noce. Facciasi dipoi un'assicella di noce simile ed eguale a quella d'ebano degli avversari, la qual resta a galla: e se è vero che ella ci resti mediante la figura impotente, per la sua larghezza, a fender la crassizie dell'acqua, l'altra di noce, senza dubbio alcuno, posta nel fondo vi dovrà restare, come manco atta, per lo medesimo impedimento di figura, a dividere la stessa resistenza dell'acqua. Ma se noi troverremo e per esperienza vedremo, che non solamente la tavoletta, ma qualunque altra figura, del medesimo noce verrà a galla, sì come indubitatamente vedremo e troverremo, di grazia cessino gli avversari d'attribuire il soprannotare dell'ebano alla figura dell'assicella, poiché la resistenza dell'acqua è la stessa tanto all'insù quanto all'ingiù, e la forza del noce al venire a galla è minore che la forza dell'ebano all'andare in fondo.

Anzi, dirò di più che, se noi considereremo l'oro in comparazion dell'acqua, troverremo che egli la supera quasi venti volte in gravità; onde la forza e l'impeto col quale va una palla d'oro al fondo è grandissimo: all'incontro, non mancano materie, come la cera schietta e alcuni legni, li quali non cedono né anche due per cento in gravità all'acqua; onde il loro ascendere in quella è tardissimo, e mille volte più debole che l'impeto dello scender dell'oro: tuttavia una sottil falda d'oro galleggia, senza discendere al fondo; e, all'incontro, non si può fare una falda di cera o del detto legno, la quale, posta nel fondo dell'acqua, vi resti senza ascendere. Or, se la figura può vietar la divisione e impedir la scesa al grandissimo impeto dell'oro, come non sarà ella bastante a vietar la medesima divisione all'altra materia nell'ascendere, dove ella non ha a pena forza per una delle mille parti dell'impeto dell'oro nel discendere? È dunque necessario, che quello che trattiene la sottil falda d'oro o l'assicella d'ebano su l'acqua, sia cosa tale, della qual manchino l'altre falde e assicelle di materie men gravi dell'acqua, mentre, poste nel fondo e lasciate in libertà, sormontano alla superficie senza impedimento veruno: ma della figura piana e larga non mancano elleno: adunque non è la figura spaziosa quella che ferma l'oro e l'ebano a galla. Che dunque diremo che sia? Io per me direi che fusse il contrario di quello che è cagion dell'andare al fondo; avvegnaché il discendere al fondo e 'l restare a galla sieno effetti contrari, e degli effetti contrari contrarie debbono essere le cagioni. E perché dell'andare al fondo la tavoletta d'ebano o la sottil falda d'oro, quando ella vi va, n'è, senz'alcun dubbio, cagione la sua gravità, maggior di quella dell'acqua, adunque è forza che del suo galleggiare, quand'ella si ferma, ne sia cagione la leggerezza, la quale, in quel caso, per qualche accidente forse sin ora non osservato, si venga con la medesima tavoletta a congiugnere, rendendola non più, come avanti era, mentre si profondava, più grave dell'acqua, ma meno. Ma tal nuova leggerezza non può depender dalla figura, sì perché le figure non aggiungono o tolgono il peso, sì perché nella tavoletta non si fa mutazione alcuna di figura, quand'ella va al fondo, da quello ch'ell'aveva mentre galleggiava.

Figura 08Ora tornisi a prender la sottil falda d'oro o d'argento, o vero l'assicella d'ebano, e pongasi leggiermente sopra l'acqua, sì che ella vi resti senza profondarsi; e diligentemente s'osservi l'effetto che ella fa. Vedrassi, prima, quanto sia saldo il detto d'Aristotile e degli avversari, cioè che ella resti a galla per la impotenza di fendere e penetrare la resistenza della crassizie dell'acqua: perché manifestamente apparirà, le dette falde non solo aver penetrata l'acqua, ma essere notabilmente più basse che la superficie di essa, la quale, intorno alle medesime falde, resta eminente, e gli fa quasi un argine, dentro la cui profondità quelle restano notando; e secondo che le dette falde saranno di materia più grave dell'acqua due, quattro, dieci, o venti volte, bisognerà che la superficie loro resti inferiore all'universal superficie dell'acqua ambiente tante e tante volte più che non è la grossezza delle medesime falde, come più distintamente appresso dimosterremo. Intanto, per più agevole intelligenza di quanto io dico attendasi alla presente figura : nella quale intendasi la superficie dell'acqua stesa secondo le linee FL, DB; sopra la quale se si poserà una tavoletta di materia più grave in ispecie dell'acqua, ma così leggiermente che non si sommerga, ella non le resterà altramente superiore, anzi entrerrà con tutta la sua grossezza nell'acqua, e più calerà ancora; come si vede per la tavoletta AI, OI, la cui grossezza tutta si profonda nell'acqua, restandogli intorno gli arginetti LA, DO dell'acqua, la cui superficie resta notabilmente superiore alla superficie della tavoletta. Or veggasi quanto sia vero che la detta lamina non vada al fondo, per esser di figura male atta a fender la corpulenza dell'acqua.

Ma se ella ha già penetrata e vinta la continuazione dell'acqua, ed è, di sua natura, della medesima acqua più grave, per qual cagione non séguita ella di profondarsi, ma si ferma e si sospende dentro a quella picciola cavità che col suo peso si è fabbricata nell'acqua? Rispondo: perché nel sommergersi sin che la sua superficie arriva al livello di quella dell'acqua, ella perde una parte della sua gravità, e 'l resto poi lo va perdendo nel profondarsi e abbassarsi oltre alla superficie dell'acqua, la quale intorno intorno li fa argine e sponda; e tal perdita fa ella mediante il tirarsi dietro e far seco discender l'aria superiore e a sé stessa, per lo contatto, aderente, la quale aria succede a riempier la cavità circondata da gli arginetti dell'acqua; sì che quello che in questo caso discende e vien locato nell'acqua, non è la sola lamina o tavoletta d'ebano, o di ferro, ma un composto d'ebano e d'aria, dal quale ne risulta un solido non più in gravità superiore all'acqua, come era il semplice ebano o 'l semplice oro. E se attentamente si considererà, quale e quanto sia il solido che in questa esperienza entra nell'acqua e contrasta con la di lei gravità, scorgerassi esser tutto quello che si ritrova sotto alla superficie dell'acqua; il che è un aggregato e composto d'una tavoletta d'ebano e di quasi altrettanta aria, una mole composta d'una lamina di piombo e dieci o dodici tanti d'aria. Ma, signori avversari, nella nostra quistione si ricerca la identità della materia, e solo si dee alterar la figura; però rimovete quell'aria, la quale, congiunta con la tavoletta, la fa diventare un altro corpo men grave dell'acqua, e ponete nell'acqua il semplice ebano: ché certamente voi vedrete la tavoletta scendere al fondo; e se ciò non succede, avrete vinto la lite. E per separare l'aria dall'ebano, non ci vuole altro che sottilmente bagnar con la medesima acqua la superficie di essa tavoletta, perché, interposta così l'acqua tra la tavola e l'aria, l'altr'acqua circonfusa scorrerà senza intoppo, e riceverà in sé, come conviene, il solo e semplice ebano.

Ma io sento alcuno degli avversari acutamente farmisi incontro, e dirmi ch'e' non vogliono altramente che la lor tavoletta si bagni, perché il peso aggiuntole dall'acqua, col farla più grave che prima non era, la tira egli al fondo, e che l'aggiugnerle nuovo peso è contro alla nostra convenzione, che è che la materia debba esser la medesima.

A questo rispondo, primieramente, che trattandosi di quello che operi la figura circa i solidi posti nell'acqua, non debbe alcuno desiderar che sieno posti nell'acqua senza bagnarsi; né io domando che si faccia della tavoletta altro che quel che si fa della palla. In oltr'è falso che la tavoletta vada al fondo in virtù del nuovo peso aggiuntole dall'acqua col semplicemente e sottilissimamente bagnarla: perché io metterò dieci e venti gocciole d'acqua sopra la medesima tavoletta, mentre che ella è sostenuta su l'acqua, le quali gocciole, purché non si congiungano con l'altr'acqua circunfusa, non la graverranno sì che ella si profondi; ma se, tolta fuori la tavoletta e scossa via tutta l'acqua che vi aggiunsi, bagnerò con una sola piccolissima goccia la sua superficie, e tornerò a posarla sopra l'acqua, senza dubbio ella si sommergerà, scorrendo l'altr'acqua a ricoprirla, non ritenuta dall'aria superiore, la qual aria, per l'interposizione del sottilissimo velo dell'acqua che le leva la contiguità dell'ebano, senza renitenza si separa, né contrasta punto alla succession dell'altr'acqua; anzi pure, per meglio dire, discenderà ella liberamente, perché già si trova tutta circondata e coperta dall'acqua, quanto prima la sua superior superficie, già velata d'acqua, arriva al livello della superficie totale di essa acqua. Il dir poi che l'acqua possa accrescer peso alle cose che in essa sieno collocate, è falsissimo, perché l'acqua nell'acqua non ha gravità veruna, poiché ella non vi discende: anzi, se vorremo ben considerare quello che faccia qualunque immensa mole d'acqua che sia soprapposta ad un corpo grave che in quella sia locato, troverremo per esperienza, che ella, per l'opposito, più tosto gli diminuisce in gran parte il peso, e che noi potremmo sollevar tal pietra gravissima dal fondo dell'acqua, che, rimossa l'acqua, non la potremo altramente alzare. Né sia chi mi replichi che, benché l'acqua soprapposta non accresca gravità alle cose che sono in essa, pur l'accresce ella a quelle che galleggiano e che sono parte in acqua e parte in aria; come si vede, per esemplo, in un catino di rame, il quale, mentre sarà vòto d'acqua e pieno solamente d'aria, starà a galla, ma infondendovi acqua diverrà sì grave che discenderà al fondo, e ciò per cagion del nuovo peso aggiuntogli. A questo io tornerò a risponder come di sopra, che non è la gravità dell'acqua contenuta dentro al vaso quella che lo tira al fondo, ma la gravità propria del rame, superiore alla gravità in ispecie dell'acqua: ché se 'l vaso fosse di materia men grave dell'acqua, non basterebbe l'oceano a farlo sommergere. E siemi permesso di replicare, come fondamento e punto principalissimo nella presente materia, che l'aria contenuta dentro al vaso avanti la infusion dell'acqua era quella che lo sosteneva a galla, avvegnaché di lei e del rame si faceva un composto men grave d'altrettanta acqua; e 'l luogo che occupa il vaso nell'acqua mentre galleggia, non è eguale al rame solo, ma al rame e all'aria insieme, che riempie quella parte del vaso che sta sotto il livello dell'acqua. Quando poi s'infonde l'acqua, si rimuove l'aria, e fassi un composto di rame e d'acqua, più grave in ispecie dell'acqua semplice; ma non in virtù dell'acqua infusa, la quale abbia maggior gravità in ispecie dell'altr'acqua, ma sì bene per la gravità propria del rame e per l'alienazion dell'aria. Ora, sì come quel che dicesse "Il rame, che per sua natura va al fondo, figurato in forma di vaso, acquista da tal figura virtù di star nell'acqua senza discendere" direbbe il falso; perché il rame, figurato in qualunque figura, va sempre al fondo, purché quello che si pon nell'acqua sia semplice rame, e non è la figura del vaso quella che fa galleggiare il rame, ma il non esser semplice rame quello che si pone in acqua, ma un aggregato di rame e d'aria; così né più né meno è falso che una sottil falda di rame o d'ebano galleggi in virtù della sua figura spaziosa e piana, ma bene è vero che ella resta senza sommergersi perché quello che si pon nell'acqua non è rame schietto, o semplice ebano, ma un aggregato di rame e d'aria, o d'ebano e d'aria. E questo non è contro alla mia conclusione: il quale, avendo veduto mille volte vasi di metalli e sottili falde di varie materie gravi galleggiare in virtù dell'aria congiunta a quelli, affermai che la figura non era cagion dell'andare, o non andare, al fondo nell'acqua i solidi, che in quella fussero collocati. Ma più, io non tacerò, anzi dirò agli avversari, che questo nuovo pensiero di non voler che la superficie della tavoletta si bagni, può destar nelle terze persone concetto di scarsità di difesa per la parte loro; posciaché tal bagnamento, sul principio della nostra quistione non dava lor fastidio, e non ne facevano caso alcuno, avvegnaché l'origine della disputa fusse sopra 'l galleggiar delle falde di ghiaccio, le quali troppo semplice cosa sarebbe 'l contender che fosser di superficie asciutta; oltre che, o asciutta o bagnata che sia, sempre galleggian le falde di ghiaccio, e, pur per detto degli avversari, per cagion della figura.

Potrebbe per avventura ricorrere alcuno al dire, che, bagnandosi l'assicella d'ebano anche nella superficie superiore, ella fusse, benché per sé stessa inabile a fendere e penetrar l'acqua, sospinta al basso, se non dal peso dell'acqua aggiuntale, almeno da quel desiderio e inclinazione che hanno le parti superiori dell'acqua al ricongiungersi e riunirsi; dal movimento delle quali parti essa tavoletta venisse, in un certo modo, spinta al basso.

Tal debolissimo refugio verrà levato via, se si considererà, che quanta è la 'nclinazion delle parti superiori dell'acqua al riunirsi, tanta è la repugnanza delle inferiori all'esser disunite; né si potendo riunir le superiori senza spignere in giù l'assicella, né potendo ella abbassarsi senza disunir le parti dell'acqua sottoposta, ne séguita in necessaria conseguenza che, per simili rispetti, ella non debba discendere. Oltre che, lo stesso che vien detto delle parti superiori dell'acqua, può, con altrettanta ragione, dirsi delle inferiori, cioè che, desiderando di riunirsi, spigneranno la medesima assicella in su.

Forse alcuno di quei signori, che dissentono da me, si maraviglierà che io affermi, che l'aria contigua superiore sia potente a sostener quella laminetta di rame o d'argento, che su l'acqua si trattiene; come che io voglia, in un certo modo, dare una quasi virtù di calamita all'aria, di sostenere i corpi gravi co' quali ella è contigua. Io, per soddisfare, per quanto m'è permesso, a tutte le difficultà, sono andato pensando di dimostrare con qualche altra sensata esperienza, come veramente quella poca d'aria contigua e superiore sostien que' solidi, che, essendo per natura atti a discendere al fondo, posti leggiermente su l'acqua non si sommergono, se prima non si bagnano interamente: e ho trovato che, sceso che sia un di tali corpi al fondo, col mandargli, senza altramente toccarlo, un poco d'aria, la quale con la sommità di quello si congiunga, ella è bastante non solo, come prima faceva, a sostenerlo, ma a sollevarlo e ricondurlo ad alto, dove nella stessa maniera si ferma e resta, sin che l'aiuto dell'aria congiuntagli non gli vien manco. E a questo effetto ho fatto una palla di cera, e fattala, con un poco di piombo, tanto grave che lentamente discenda al fondo, faccendo di più la sua superficie ben tersa e pulita: e questa, posata pian piano nell'acqua, si sommerge quasi tutta, restando solamente un poco di sommità scoperta, la quale, fin che starà congiunta con l'aria, tratterrà la palla in alto; ma, tolta la contiguità dell'aria col bagnarla, discenderà in fondo, e quivi resterà. Ora, per farla, in virtù dell'aria medesima che dianzi la sosteneva, ritornare ad alto e fermarvisi appresso, spingasi nell'acqua un bicchiere rivolto, cioè con la bocca in giù, il quale porterà seco l'aria da lui contenuta, e questo si muova verso la palla, abbassandolo tanto, che si vegga, per la trasparenza del vetro, che l'aria contenuta dentro arrivi alla sommità della palla; di poi ritirisi in su lentamente il bicchiere, e vedrassi la palla risorgere e restare anche di poi ad alto, se con diligenza si separerà il bicchiere dall'acqua, sì che ella non si commuova e agiti di soverchio. È dunque tra l'aria e gli altri corpi una certa affinità, la quale gli tiene uniti, sì che non senza qualche poco di violenza si separano. Lo stesso parimente si vede nell'acqua: perché, se tufferemo in essa qualche corpo, sì che si bagni interamente, nel tirarlo poi fuor pian piano, vedremo l'acqua seguitarlo e sollevarsi notabilmente sopra la sua superficie, avanti che da quello si separi. I corpi solidi ancora, se saranno di superficie in tutto simili, sì che esquisitamente si combacino insieme, né tra di loro resti aria che si distragga nella separazione e ceda sin che l'ambiente succeda a riempier lo spazio, saldissimamente stanno congiunti, né senza gran forza si separano: ma perché l'aria, l'acqua e gli altri liquidi molto speditamente si figurano al contatto de' corpi solidi, sì che la superficie loro esquisitamente s'adatta a quella de' solidi, senza che altro resti tra loro, però più manifestamente e frequentemente si riconosce in loro l'effetto di questa copula e aderenza, che ne' corpi duri, le cui superficie di rado congruentemente si congiungono. Questa è dunque quella virtù calamitica, la quale con salda copula congiugne tutti i corpi che senza interposizione di fluidi cedenti si toccano: e chi sa che un tal contatto, quando sia esquisitissimo, non sia bastante cagione dell'unione e continuità delle parti del corpo naturale?

Ora, seguitando il mio proposito, dico che non occorre che ricorriamo alla tenacità che abbiano le parti dell'acqua tra di loro, per la quale contrastino e resistano alla divisione distrazione e separazione, perché tale coerenza e repugnanza alla divisione non vi è: perché, se ella vi fosse, sarebbe non meno nelle parti interne che nelle più vicine alla superficie superiore, tal che la medesima tavoletta, trovando sempre lo stesso contrasto e renitenza, non men si fermerebbe a mezzo l'acqua che circa la superficie; il che è falso. In oltre, qual resistenza si potrà porre nella continuazion dell'acqua, se noi veggiamo essere impossibil cosa il ritrovar corpo alcuno, di qualunque materia figura e grandezza, il quale, posto nell'acqua, resti, dalla tenacità delle parti tra di loro di essa acqua, impedito, sì che egli non si muova in su o in giù, secondo che porta la cagion del suo movimento? E qual maggiore esperienza di ciò ricercheremo noi, di quella che tutto il giorno veggiamo nell'acque torbide, le quali, riposte in vasi ad uso di bere, ed essendo, dopo la deposizione d'alcune ore, ancora, come diciamo noi, albicce, finalmente dopo il quarto o 'l sesto giorno depongono il tutto, restando pure e limpide; né può la loro resistenza alla penetrazione fermare quegli impalpabili e insensibili atomi di rena, che, per la loro minimissima forza, consumano sei giorni a discendere lo spazio di mezo braccio?

Né sia chi dica, assai chiaro argomento della resistenza dell'acqua all'esser divisa esser il veder noi così sottili corpicelli consumar sei giorni a scender per sì breve spazio: perché questo non è repugnare alla divisione, ma ritardare un moto; e sarebbe semplicità il dire che una cosa repugni alla divisione e che intanto si lasci dividere. Né basta introdur per gli avversarii, cause ritardanti il moto, essendo bisognosi di cosa che totalmente lo vieti ed apporti la quiete: bisogna dunque ritrovar corpi che si fermino nell'acqua, chi vuol mostrar la sua repugnanza alla divisione, e non che solamente vi si muovino con tardità.

Qual dunque è questa crassizie dell'acqua, con la quale ella repugna alla divisione? quale, per nostra fé, sarà ella, se noi (pur come ho anche detto di sopra) con ogni diligenza tentando di ridurre una materia tanto simile in gravità all'acqua che, formandola anche in una larghissima falda, resti sospesa, come diciamo, tra le due acque, è impossibile il conseguirlo, benché ci conduciamo a tal similitudine d'equiponderanza, che tanto piombo quanto è la quarta parte d'un grano di miglio, aggiunto a detta larghissima falda, che in aria peserà quattro o sei libre, la conduce al fondo, e, detratto, ella viene alla superficie dell'acqua? Io non so vedere (se è vero quanto io dico, sì come è verissimo) qual minima virtù e forza s'abbia a poter ritrovare o immaginare, della quale la renitenza dell'acqua all'esser divisa e distratta non sia minore: dal che per necessità si conclude che ella sia nulla; perché, se ella fosse di qualche sensibil potere, qualche larga falda si potrebbe ritrovare o comporre di materia simile in gravità all'acqua, la quale non solamente si fermasse tra le due acque, ma non si potesse, senza notabil forza, abbassare o sollevare. Potremmo parimente la stessa verità raccorre da un'altra esperienza, mostrando come l'acqua, nello stesso modo, cede anche alla division trasversale: perché se nell'acqua ferma e stagnante locheremo qualunque grandissima mole la quale non vada al fondo, tirandola con un solo capello di donna la condurremo di luogo in luogo senza contrasto alcuno; e sia pur la sua figura qual esser si voglia, sì che ella abbracci grande spazio d'acqua, come farebbe una gran trave mossa per traverso.

Forse alcuno mi si potrebbe opporre, dicendo che, se la resistenza dell'acqua all'esser divisa fusse, come affermo io, nulla, non doverrieno i navili aver bisogno di tanta forza di remi o di vele per esser, nel mar tranquillo o negli stagnanti laghi, di luogo in luogo sospinti. A chi facesse tali opposizioni io risponderei, che l'acqua non contrasta o repugna semplicemente all'esser divisa, ma sì bene all'esser divisa velocemente, e con tanta maggior renitenza quanta la velocità è maggiore: e la cagion di tal resistenza non depende da crassizie o altro che assolutamente contrasti alla divisione, ma perché le parti divise dell'acqua, nel dar luogo a quel solido che in essa si muove, bisogna che esse ancora localmente si muovano, parte a destra e parte a sinistra e parte ancora all'ingiù; e ciò conviene che facciano non meno l'acque antecedenti al navilio o altro corpo che per l'acqua discorra, quanto le posteriori e susseguenti: perché, procedendo avanti il navilio, per farsi luogo capace per ricevere la sua grossezza, è forza che con la prora sospinga, tanto a destra quanto a sinistra, le prossime parti dell'acqua, e che trasversalmente le muova per tanto spazio quanto è la metà della sua grossezza; e altrettanto viaggio debbano far l'acque che, succedendo alla poppa, scorrono dalle parti esterne della nave verso quelle di mezo, a riempier successivamente i luoghi che il navilio, nell'avanzarsi avanti, va lasciando vòti di sé. Ora, perché tutti i movimenti si fanno con tempo, e i più lunghi in maggior tempo; ed essendo, di più, vero, che quei corpi che dentro a qualche tempo son mossi da qualche potenza per tanto spazio, non saranno, per lo medesimo spazio e in tempo più breve, mossi se non da maggior potenza; però i navili più larghi più lentamente si muovono che i più stretti, spinti da forze eguali, e 'l medesimo vassello tanto maggior forza di vento o di remi richiede, quanto più velocemente dee essere spinto.


Pagina precedente
Pagina successiva

Ma non è già che qual si voglia...