...della chiesa ove è dipinto vestito di color come si suol dire di canella senza mantello però col capuccio e senza bottoni in atto di munger il latte da una pecora, e l'altro in tela (ed è quello che esisteva nell'alpestre oratorio di esso Santo) in cui il Santo è steso orizontalmente come morto, e sembra di pittura meno antica del primo; in essa apparisce co bottoncini non nella sottana, ma nel mantello, e tanto il mantello che la sottana è del colore di sopra indicato benchè più oscuro. Si rifletta, che di contraposto al muro a cui esternamente appoggia il sopraindicato deposito senza però niente internarsi nel muro stesso vi è l'altare di San Rocco (e questo mi pare non in tutto, ma solo in parte corrisponda all'esterno locale del deposito), nè vi è in chiesa oltre esso se non l'altare maggiore dedicato al martire San Lorenzo. Vi sono nell'interno della chiesa vari depositi, ma tutti muniti di iscrizioni in pietra o marmo di epoca non molto antica indicanti esser per lo più di persone religiose, ma neppur uno ve n'è che sia indicante alcuna cosa di San Glisente. Aggiongo, che avendo avuta occasione di vedere preventivamente alla mia andata a Berzo il signor arciprete di Pisogne (Giovan Battista) Bonardi (Iseo 1787 c. - 1847) quale esso pure era prevenuto come gli altri del motivo della mia venuta in Valcamonica mi ha raccontato siccome una sua parrochiana da molto tempo afflitta da fierissime convulsioni e paralisi talchè da sè non poteva levarsi cert'abito che teneva indosso se non era aiutata da altri, avendosi fatto portare alcuni pezzetti dell'abito, ossia sottana stati furtivamente tolti da quella di cui era vestito il corpo ossia cadavere sopraindicato col pregar il Santo a volerla liberare dal suo male, non è già stata liberata dal male, ma si è trovata svestita non sacome da quell'abito che aveva in dosso (rivestita però col solito altrui aiuto non si è da sè sin'ora potuta spogliare). Tale pezzetto di tela, come pure altro pezzetto del mantello che copriva lo stesso cadavere, stato levato da persona di Berzo, ed a me consegnati li rimetto uniti alla presente". Nonostante l'autorità vescovile non abbia espresso alcun parere intorno al cadavere in questione, la devozione popolare fece sì che sul muro della nicchia venisse affrescato, negli anni immediatamente successivi, San Glisente; sull'arco, a sinistra, compare a gura un sacerdote in preghiera, molto, probabilmente il committente; a destra si intravedono rimasugli di una scritta relativa alla vita del Santo. In tempi recenti le spoglie inumate nell'urna vennero ancora dissepolte. Il 7 agosto 1937 infatti, alla presenza dell'arciprete del luogo don Giovan Battista Giacomelli (Breno 1871 - Berzo 1958), del vicario foraneo di Cividate don Carlo Comensoli (Bienno 1894 - Cividate 1976) in qualità di delegato vescovile, dei medici condotti di Esine Emilio Bonettini (Esine 1895 - 1952) e di Pian di Borno Ferdinando Maggioni (Darfo 1889 - Pian di Borno 1966), del muratore Giovanni Franzoni e del segretario municipale, si diede corso ad una nuova ricognizione, provvedendo all'apertura "con ogni cautela" della tomba contenente il supposto corpo del Santo, qui trasportato, "in un tempo non determinato, dal suo primitivo sepolcro posto dinanzi alla vetusta chiesetta a lui dedicata sul monte omonimo". Nel corso delle operazioni fu levata la fascia del primo intonaco" sotto la quale stava celata un'iscrizione risalente al 14 marzo 1822, avariata e parzialmente illeggibile, dettante il fermo divieto emesso dalla deputazione comunale, per ragioni di pubblica sicurezza e di rispetto, alla manomissione del sacello. Demolito il secondo strato murario, consistente in un "composto di malta e pietre dette castelline", venne alla luce un "assito sostenuto da travetti poggianti nel muro esterno dell'altare" dei Santi Rocco, Fabiano e Sebastiano, oltre il quale emerse "una cassa di legno di fattura più che ordinaria lunga metri 1,83 in non buone condizioni, formata nella parte superiore e nei fianchi da assi di larice non di antica data e dall'asse di fondo più antica delle altre". Alzato il coperchio apparve "il cadavere, della lunghezza di metri 1,70, quasi certamente di sesso maschile, appartenente a persona adulta ed anziana", come indicavano i "pochi denti ancora presenti nelle mandibole"; il defunto stava "disteso nella posizione identica alla pittura del Santo soprastante al sepolcro". Le spoglie, pulite dall'abbondante terriccio penetrato nella bara, vennero depositate sopra un tavolo "coperto di un tappeto rosso", sistemato all'intemo della chiesa. Il busto portava "alcuni indumenti che da un sommario esame sembravano i resti di una sottoveste o quasi camicia e di una sopraveste sul tipo di quelle dei religiosi". Il cadavere, che diede l'impressione errata, come ormai sappiamo - di non essere mai stato rimosso dalla posizione "in cui fu composto dopo morte", si presentava abbastanza conservato, con il "cranio in parte ancora rivestito di qualche tessuto molle mummificato colla mandibola aperta ancora attaccata alla mascella con lembi di tessuto mummificati; il torace con attaccate le coste in numero maggiore a sinistra ed ai lati del torace; la cintura scapolare pure con lembi di tessuto mummificati; le braccia incrociate sull'addome; la mano destra quasi completa, mancando solo le falangi; tanto il corpo quanto l'avambraccio destro ancora coperti di tessuto mummificato; il braccio sinistro più scomposto, la mano mancante del metacarpo e delle falangi, parte delle quali sparse nella cassa toracica; il bacino nella parte inferiore rivestito di pelle mummificata, così pure gli arti inferiori ben connessi coll'articolazione dei piedi e delle ginocchia". Poco prima dell'ultimazione dei lavori si aggiunse alla commissione monsignor Giacinto Tredici, reduce dall'aver consacrato l'altare maggiore della chiesa di Prestine. Il vescovo diede istruzioni di raccogliere i "rimasugli delle vestimenta in un involto legato con spago e sigillato con ceralacca col timbro vescovile" al fine di poterli recare a Brescia per consentire l'espletamento di accurate indagini scientifiche che tentassero di stabilire "l'epoca alla quale possono risalire", riservandosi la facoltà di prelevare una porzione dello scheletro "per sottoporla all'esame di uno scienziato in tale materia allo scopo di conoscerne l'età". Nel 1938 venne condotto un esame scientifico sui resti in questione da Padre Agostino Gemelli che non potè raggiungere conclusioni definitive. Lungi dall'essere antichissima, è assai probabile che la salma possa essere di qualche ragguardevole personaggio locale seppellito avvolto nel tradizionale abito di terziario francescano. L'iconografia della chiesa di San Lorenzo -che rimanda con evidenza ad ambienti disciplinati- e la presenza, sotto il sagrato, di un oratorio della compagnia della buona morte deporrebbero in tal senso.
Fonte bibliografica: "Chiese Campestri di Valle Camonica - Storia ed arte" di Franzoni e Ferri Piccaluga, ed. Banca di Valle Camonica