3. Ottavia Negri Velo (1764-1814)
[Titolo originale: CRONACA VICENTINA]
Un esempio per tutti, dicevamo: l'Abate Velo. Questi fu protagonista di una vicenda umana significativa che non possiamo trascurare perché emblematica.
In Vicenza, presso l'oratorio di S. Marcello, (oggi sede del Liceo Classico Pigafetta) – del quale mostriamo la lunetta del portale gotico - era situato da secoli, quello che in tempi più recenti fu chiamato Brefotrofio: l'Ospizio dei trovatelli, chiamato allora Pio Luogo degli Esposti. G. Battista Garducci-Velo era stato il frutto della relazione del Conte Girolamo Scipione Velo (poi suocero di Ottavia) con la cameriera della moglie Isabella da Porto. Il neonato fu deposto nella ruota del Pio Luogo degli Esposti in S. Marcello, ma il giorno dopo, la Contessa Isabella, Patrona dello stesso Pio Luogo, lo tolse dall'ospizio e lo affidò alla madre che fu opportunamente dotata e sposata poi ad un certo Garducci. Il bimbo venne chiamato quindi Giovanni Garducci. Crebbe vispo, intelligente e fu posto in seminario a Verona dove divenne uno dei tanti abati del tempo, ma insieme - intelligentissimo e studiosissimo - una delle più eminenti e colte personalità vicentine, stimato anche fuori d'Italia.
Abbiamo trovato sue opere alla Biblioteca Nazionale di Vienna.
Il padre, che gli era affezionato, gli lasciò - morendo - un vitalizio di 500 ducati all'anno, somma che il fratellastro Girolamo Giuseppe - proprio il marito di Ottavia - gli avrebbe poi corrisposto a fatica e non puntualmente.
Fu uno dei più accesi sostenitori delle "novità francesi" e presiedette la Società di Pubblica Istruzione che si proponeva di educare il popolo alla partecipazione politica. Gli austriaci lo deportarono in Dalmazia, a Sebenico, e vi rimase per più di un anno, finché i nuovi accordi di pace gli resero la libertà. Insegnò poi a Pavia durante l'epoca imperiale, ma con la caduta di Napoleone fu epurato e sembra sia morto in condizioni penose. Di lui avremo agio di sapere qualcosa di più in seguito, nella stessa cronaca di Ottavia.
L'abate Garducci-Velo nell'unico (brutto) ritratto che ci resta.
Ottavietta, dunque, dal Convento indirizzava alla Madre anche due o tre lettere la settimana che destano tenerezza:…"... Per favore, mi mandi un bussolà e delle calze... ". La bimba doveva già soffrire di fatti polmonari che ogni tanto la costringevano a letto, e ne scriveva alla madre come di raffreddori, con tosse ed altri sintomi, che duravano settimane e settimane, ed a noi fanno pensare a qualcosa ben più grave dei raffreddori (era forse già tubercolosi?): probabilmente anche con una componente allergica, dato che la situazione sembrava aggravarsi nella stagione estiva. La madre forse già si rendeva conto che Ottavia era malata e le raccomandava sempre di seguire accuratamente le terapie prescrittele dal medico.
La tubercolosi a quell'epoca non era per niente rara, soprattutto nelle famiglie nobili e ricche, e fino a tutta la prima metà del nostro secolo essa doveva permanere, incubo di tutti. Colpiva soprattutto i benestanti per il semplice fatto che tra di essi anche i bambini più deboli alla nascita avevano una speranza di vita maggiore, per la miglior alimentazione e le altre concause, più favorevoli presso i ricchi.
Il resto della popolazione che viveva spesso in condizioni igieniche per noi discutibili era invece spaventosamente decimato fin dalla più tenera età da rapide infezioni acute, da infestazioni parassitarie intestinali, per cui sopravvivevano solo le fibre più forti. La vita di lavoro all'aria aperta, in seguito, rendeva i bambini della povera gente più resistenti all'insulto delle malattie.
I figli dei ricchi, pur più favoriti alla nascita, chiusi poi nei monasteri o nei collegi, in una vita sedentaria, crescevano spesso stentatamente, si ammalavano e qualcuno addirittura moriva in collegio in tenerissima età, come il figlio del Tornieri Arnaldi Arnaldo I°, a Parma, nel Collegio dei Nobili - uno dei più rinomati dell'epoca, retto dai Gesuiti - ; o a Desenzano, il figlio dei Guzan, per verminosi intestinale.
Con un paradosso potremmo dire che i poveri non avevano nemmeno il tempo di ammalarsi di tubercolosi: morivano prima.
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Il casone era una abitazione diffusa nelle campagne, soprattutto nelle zone più lontane dai centri principali e dalle grandi vie di comunicazione. Il pavimento era di terra battuta. Il tetto, di paglia. Qualche rarissimo esemplare esiste ancora nella bassa padovana.
(F.d.A. fine anni 60, ripresa nei pressi di Noale) |
Ma torniamo alla nostra protagonista.
Ottavia il 6 gennaio 1779 scrive: "...mi sono molto consolata all'arrivo della sua lettera, per intender in essa, che è disposta per il Marito, quanto io sia allegra non glielo posso spiegare..."
Ciò conferma come il suo collocamento in educazione al Convento di S. Bartolomeo dov'era Suor Costante - una della famiglia, che quindi seguiva le istruzioni della stessa - nelle intenzioni dei genitori preludeva molto probabilmente alla monacazione della figlia. Solo in un secondo tempo le circostanze dovevano deviare i primi propositi. Infatti forse le condizioni di salute del fratello Marzio già non facevano pensare molto in bene.
Un giovane ecclesiastico ( forse un figlio cadetto ??) è incaricato dal conte Maffei, (alla testa di una delle famiglie più nobili di Verona) di sondare il terreno presso le suore di S. Bartolomeo, per un eventuale matrimonio del primogenito con la giovinetta Ottavia Negri.
Una lettera della zia Suor Costante - informa la madre di Ottavia. È curiosa - per noi - la cautela con cui la suora informa la madre e si raccomanda che la ragazza non sospetti di nulla. Infatti un'altra lettera - stavolta di Ottavia - il 4 agosto 1780 - dice : ".... mentre ieri ho dovuto andare dal suo sig. Padre [dell'ecclesiastico ? ] il quale da fonte sicura ho saputo che desidera avermi in sua casa....Io non ho nissuna idea di questa casa e io sono al tutto indifferentissima al suo parere il quale attendo con ansietà..." e prosegue confermando la sua sottomissione al volere dei parenti:..
"quello che so è che vi entra la mad.e Franco e le zie, che il Signore è figliolo solo, e che verrà fuor di collegio questo agosto. Io non v'entro e non ci penso...".
La ragazza sapeva tutto, ma anch'essa raccomanda la massima cautela perché le suore non sospettino che ella sa!
Comunque, noi non conosciamo il come ed il perché, ma in quest'argomento, pochissimo tempo dopo, Ottavia cambia atteggiamento e scrive chiaro e tondo alla madre che vuole decidere da sola e vuole un po' più di tempo.
"... spero non vorranno togliere a me, quello che mi dona Dio e il Mondo saggio, libertà e maturità avanti di determi-narmi..." [ultime 2 righe]
L'ultima lettera dal convento è del 6 ottobre 1781. Purtroppo non conosciamo - per ora - i particolari di questa vicenda. Sappiamo invece che Ottavia si ritrovò inaspettatamente unica erede di entrambe le famiglie Negri e Leoni-Montanari che si estinguevano nei suoi genitori.
Sappiamo inoltre che qualche anno dopo (1784) Ottavia è felicemente sposata con Girolamo Giuseppe Velo, figlio di quel Girolamo Scipione che già abbiamo incontrato (qui sopra) a proposito della sua relazione con la cameriera e dell'Abate Velo.
La ragazza fu ritirata dal monastero in anticipo - l'anno scolastico era già iniziato - e la corrispondenza s'interrompe. Forse le morì il fratello Marzio proprio in quei mesi? Del resto una lettera del 12 luglio di quell'anno 1781 accenna all'"...accaduto a Marzietto". Un'altra del 15 agosto parla dello "...stato di Marzietto..."
Queste sono in pratica le uniche notizie giunteci del fratello di Ottavia. Dopo queste date non sappiamo più nulla.
E veniamo a Girolamo.