2. Ottavia Negri Velo (1764-1814)  

ed il suo  "Giornale" (1797-1814)

[Titolo originale: CRONACA VICENTINA]

Ricerca e trascrizione di Mirto SARDO 

                           

Laura Montanari, proveniva invece da famiglia di nobiltà molto più tarda, ma in compenso molto, molto ricca. Recava ad M. Egidio Negri una dote di 18 mila ducati, una somma enorme a quell'epoca "...10.000 al tocco della mano, 2000 in mobili, 6000 in rate da 500 all'anno senza interesse...". 

Dei Montanari erano banchieri in Vicenza - secondo il Pagliarini - al tempo degli Scaligeri. Una Laura Montanari Ferramosca morì soffocata nel covolo di Mossano con sette figli nel 1509. Era l'epoca della Lega di Cambrai contro Venezia. Nella grotta s'erano rifugiate moltissime persone per sfuggire al saccheggio della soldataglia che aveva invaso il Territorio Veneto: furono stanate col fuoco ed i fuggitivi trucidati. 

Le fortune notevolissime dei Montanari di cui noi ci occupiamo sono invece più recenti e furono raggiunte all'inizio del 1600, grazie ad operosi e fruttuosi investimenti nella manifattura e commercio di lana e seta che raggiunsero il culmine con Bernardino Montanari. Ma egli aveva un cruccio: non aveva figli maschi e tutta la sua fortuna si sarebbe dispersa alla sua morte. Per fortuna nel 1631 si combinò il matrimonio della figlia Bernardina con Nicolò Leoni, altro leader di una famiglia di artigiani-mercanti dello stesso settore tessile. Iniziò così, tra i migliori auspici, un sodalizio imprenditoriale tra le due casate che ingigantì a dismisura i loro guadagni. Bernardino Montanari, morendo lasciava infatti una fortuna valutata 150.000 ducati.

 

È difficile per noi capire bene i valori delle monete di allora. Per stabilire alcuni punti fermi possiamo dire che le unità di valore medio più in uso erano la lira veneta e il ducato. La lira (detta Trona perché coniata nel 1472 dal doge Nicola Tron) che pesava allora g. 6,52 d'argento e il ducato da 6 lire e 4 soldi, 32,9 grammi d'argento. (ma c'era anche un ducato da 8 lire e lo zecchino= g. 3,56 d'oro). Comunque una lira valeva 20 soldi, un soldo 12 denari ed il ducato era in pratica solo unità di conto. Gli spiccioli, soldi e denari, erano di lega di rame. Un campo [=mq. 3862] di buona terra arativa costava circa 50-60 ducati e talvolta oltre. Diremo dunque che con 150.000 ducati si potevano comprare da 2500 a 3000 campi! La terra era, a quanto sembra, il bene che aveva meno oscillazioni di valore nel tempo. A titolo di ulteriore esempio circa il valore della moneta, diciamo che nel 1756 per l'affitto di una casa e 4 campi in Lisiera si pagavano 53 ducati l'anno. [BBV. AB 6745] La retribuzione mensile di un Capitano - verso il 1770 - era di 300 Lire al mese. Un Tenente riceveva L. 90, un Caporale L. 45, un soldato L. 5. [BBV AdT 1865]. Una collana di perle di casa Velo costava 1800 ducati. [BBV Fa 27]

 

I Montanari avevano ormai da tempo dismessa l'attività "meccanica" diretta, ed investiti i loro averi in rendite soprattutto terriere, nel 1687, coronarono il sogno dei ricchi del tempo che volevano esser Nobili, ottenendo l'iscrizione al Libro d'oro della nobiltà, istituito a suo tempo da Venezia. Ottennero anche di congiungere i due cognomi e divennero Leoni-Montanari. Non sappiamo a qual prezzo. Le più accanite opposizioni vennero loro dai Monza. Ma nulla sgomentava una famiglia così dotata di mezzi come i Leoni-Montanari. Brigarono presso il Re Giovanni III° di Polonia che li creò nel '93 Conti di Ladizin. In seguito il riconoscimento venne anche dalla Serenissima. Contrassero poi vari matrimoni con fanciulle nobili e poterono quindi unire il loro stemma recente con altri ben più prestigiosi e antichi anche se ormai un po’ appannati per risorse economiche. 

Questa fu la nobiltà dei Montanari.

 

 

Vicenza: scorcio del cortile interno del Palazzo Leoni-Montanari

 

Il palazzo, dal punto di vista storico-artistico, è notevolissimo specie perché si tratta - in pratica - dell'unico esempio di edificio civile barocco, in una Vicenza che, sulle orme di Palladio, guardava ancora tutta alle forme classiche. I Montanari, nella escalation promozionale della loro casata vollero stupire tutta la Città.  Con la ricchezza e la dovizia delle magnifiche e numerosissime decorazioni a stucco, con la committenza di affreschi ad un artista francese, il Dorigny, il palazzo doveva celebrare le glorie della loro famiglia ostentando il loro - è proprio il caso di dire neonato - blasone, abbinato a quelli delle loro spose, queste sì, di ben altri lignaggi: Bissari, Fracanzani, Thiene, nella sala detta appunto degli stemmi. La loro quadreria annoverava numerose opere di gran pregio: svariati Giambellino e Jacopo Palma. E ancora: Carpioni, Maganza, Salviati, per non fare che alcuni nomi.

 

Qui vediamo, lo stemma Bissari abbinato a quello dei Leoni-Montanari 

 

 Insomma: i  Montanari erano arrivati. Ottennero di congiungere i due cognomi e divennero Leoni-Montanari. Non sappiamo a qual prezzo.

 

Le illustrazioni del palazzo Montanari che proponiamo sono tratte da: Giorgio Bellavitis - Loredana Olivato: Il palazzo Leoni Montanari di Vicenza...(1982). Qui, esse danno soltanto una pallida idea della ricchezza e del lusso principesco profuso in quegli ambienti.

 

 

Vicenza, Palazzo Leoni-Montanari: Stucchi  nella Sala degli Stemmi

 

 

Vicenza, Palazzo Leoni-Montanari: L'Apollo del Dorigny (Particolare)

 

 

 

Vicenza, Palazzo Leoni-Montanari:

Giuseppe Alberti: Il trionfo di Apollo: 

Affresco del soffitto.

 

Vicenza, Museo Civico.

Antonio Rossi: Ritratto di Giovanni Montanari, uno degli  epigoni della casata.

 

 

 

Queste note non sembrino inutili divagazioni dall'argomento principale. 

Abbiamo riportato questi cenni sull'ambiente economico delle due famiglie e sulle loro abitazioni non per pignoleria - proprio le storie degli edifici sono meno opinabili di altre: i rogiti, le mappe, gli inventari sono documenti estremamente concreti - ma piuttosto perché con essi ci sembra di capire meglio da dove derivi la mentalità, sì aristocratica, ma molto concreta, positiva, che vedremo poi affiorare dalle pagine di Ottavia Negri di Velo.Una mentalità, in fondo, molto più borghese di quanto pensavamo al primo approccio.    

 

Infatti, nel 1797, al tempo della Prima Municipalità Provvisoria, ella commentando i provvedimenti delle autorità scriverà una frase lapidaria e a nostro avviso storica:  "Tutto sarà ridotto a profitto..."  

Quale migliore definizione per il sistema politico-borghese che tentava di avviarsi anche da noi?  

Ed il 9 febbraio 1798, rendendosi conto che le guerre ormai non si facevano più per l'onore o i puntigli delle dinastie: 

"... la politica moderna è stabilita sul maggior interesse..."  

Stupisce, ma poi non troppo, questa mentalità estremamente pratica di Lei. Indagando con maggior attenzione le contingenze ambientali, storiche, culturali, familiari in cui era immessa, ci spieghiamo meglio quanto ella, nobile, ricca, distinta - nel significato più profondo del termine: distinta dagli altri, dal volgo - fosse permeata degl'interessi borghesi che avevano portato così in alto i Montanari, la famiglia della madre, ed avevano migliorato le fortune agrarie dei Negri, la famiglia del padre.

 

Ottavietta dunque, come era chiamata dai suoi, fu messa in educazione - cosa consueta a quell'epoca - in un monastero nel 1776. Leggendo le numerosissime lettere che, dal convento di S. Bartolomeo in Verona, vicino agli Scalzi (soppresso in seguito dai francesi) ella prese ad inviare alla madre anche tre o quattro volte alla settimana, ci si rende conto di come una fanciulletta di 10-11 anni veniva comunque addestrata alla vita religiosa indipendentemente dal destino che avrebbe dovuto seguire. 

In convento le ragazzine ricevevano una decorosa istruzione sì, ma soprattutto una formazione che creava lo spirito di adattamento alla volontà dei genitori. L'educanda si plasmava al sacrificio quotidianamente, in un ambiente nel quale venivano pian piano sostituiti i valori normali di una bimba qualunque, ricca o povera non importa, con i valori del mondo monastico. Tale vita è per noi oggi impensabile, tanto più che si trattava di fanciulle provenienti da famiglie senza problemi economici. Levata al mattino presto, la messa, la frugale colazione, la scuola, la ricreazione... Tutto ordinatamente scandito dal suono della campanella... Le piccole cose quotidiane di un mondo chiuso... sempre eguale, monotono... Le rare visite dei genitori - date le distanze e quindi le difficoltà dei viaggi - erano avvenimenti che ravvivavano lo scorrere interminabile dei giorni. 

Questa era la sorte comune della massima parte delle ragazze nobili.

Infatti le doti per sposare una figlia erano da capogiro: cifre che svenavano le famiglie. (Anche Ottavia ebbe una dote di 18.000 ducati. Ma i suoi erano tra i più ricchi della città!) I documenti dei conventi mostrano gli elenchi delle suore, dove compaiono i più bei nomi delle famiglie blasonate. Non raramente tre, quattro, cinque sorelle entravano nello stesso convento. 

Si portava una "Dotazione Spirituale" - bello quell'aggettiuvo spirituale ! - di 500 ducati a testa o giù di lì; ci si impegnava con un contratto in piena regola a pagare ogni anno il vitto e i beni di consumo ed ecco che il patrimonio di famiglia restava intatto al primogenito.

Era il plagio più completo.

Tutto questo ovviamente non giovava molto al buon funzionamento dei conventi, e qualche volta succedevano vicende non proprio da religiosi. Come quella di Laura Bissari, "Fattora .. alle Dimesse" da 20 anni, che si appropriò di "20 mila ducati che teneva nella "cassetta ferrata..."

Anche per i figli maschi "in soprannumero" si poneva il problema della sistemazione, ferma restando la necessità di mantenere l'integrità del patrimonio per il primogenito. Essi avevano forse qualche opportunità in più delle femmine. La carriera delle armi, ormai era fuori luogo, dato che Venezia non aveva più territori né scali in oriente da difendere. Non aveva più un vero esercito. Essi potevano indirizzarsi - meglio sarebbe dire essere destinati - allo stato ecclesiastico. O dedicarsi - dopo congrua preparazione - a professioni amministrative e giuridiche. O vivere all'ombra del primogenito a patto che questi ne avesse ancora i mezzi.

Gli stessi Ordini Militari Cavallereschi erano ormai la larva del loro passato. (Comunque ben cinque degli otto fratelli Bissari - che ebbero parte attiva nella municipalità di Vicenza - avevano scelto di farsi Cavalieri di Malta!). 

Venezia comunque aveva da tempo compreso che le monacazioni forzate e le situazioni che abbiamo descritto erano tutto sommato controproducenti: emise un Decreto che vietava tutte le professioni religiose prima dei 21 anni. Il Decreto certamente impedì gli abusi più eclatanti, ma il plagio sottile, quello esercitato soprattutto in famiglia, doveva continuare anche per tutto l'ottocento, e le stesse ricche famiglie borghesi fecero propria la deprecabile usanza: il patrimonio doveva mantenersi intatto per il primogenito! Comunque: in una Vicenza di 29.000 abitanti e nel Territorio diocesano di 162.000 si contavano ben "... 306 sacerdoti non occupati in cura d'anime, di cui 140 dicono messa o insegnano". Da questa galassia di abati sortivano spesso i più bei nomi d'intellettuali dell'epoca e talvolta personalità esemplari quanto a fede e pratica di virtù cristiane. Altri invece sembravano dedicarsi di preferenza ad attività mondane piuttosto che alla vita religiosa e alla cura d'anime.

Sarebbe troppo lungo inoltrarci in quest'argomento: ne  accenniamo solo perché di alcuni di essi è proprio necessario sapere qualcosa, per la comprensione del "Giornale" di Ottavia.

Un esempio per tutti: l'Abate Velo.

 

 

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