Trascrizione di Mirto Sardo
1805
10
[gennaro 1805]
Si
parla della pace generale e i fogli la fanno umiliante per gl’Inglesi. Qui si
fa un gran cordone per la febre gialla, fra la peste e la guerra si vuol sperare
che questi due flagelli stieno lontani per dar luogo a qualche nuovo equilibrio.
18
[gennaio 1805]
Ai
14 si recitò in teatro la comedia La Giustizia sotto terra. Si volle la replica
e un uffiziale disse: replica nò. Il publico la vinse. E il giorno dopo gli
uffiziali urlarono e sulla parola d’onore chiamarono il comico lo vilipesero e
lo posero in letto. Somariva si arrabbiò, pose tre uffiziali in Processo [?] e
ordinò a tutti gli Uffiziali maggiori di assistere alla commedia dei 17. Il
pubblico batté al primo comico al suo sortire e l’Avogaro dopo ch’era ciò
finito disse zitto. Questo affare fu fatto al Generale che permise la replica ed
il publico sofferse il solito gioco dell’alterata tranquillità.
Ai
17 si fece la sentenza in piazza secondo il codice Giuseppino con due palchi
ecc., e si condannò Francesco d’Abano alla prigionia dura che qui non esiste.
L’occulta raffinata barbarie non può servir d’esempio.
21
[gennaio 1805]
È
sfumata la Republica Italiana la quale ha durato meno di mesi, che di secoli la
Republica Veneta, prova evidente della sua ottima costituzione! Bonaparte
Imperatore dei Francesi volle alla sua incoronazione la consulta dell’Italica.
Un
mese e mezzo dopo che fu seguita chiamò improvvisamente sei di questi signori,
e disse loro. I principi esteri reclamano l’Italia, essa non può diffendersi
da se sola come Republica, conviene ch’essa cangi in governo monarchico, ed è
necessario ch’essa si elegga un re o nella mia persona, o in Giuseppe
Bonaparte. Quale dei due essa si scielga mi riesce indifferente. Sbalorditi i
novelli legislatori d’una Republica che ha fatto tanti sacrifizi per venir
burlata, dissero di non potere in così poco numero deliberare un tal punto.
Bonaparte mandò a chiamare sul momento due ore dopo la mezza notte gli altri
individui cisalpini, e tutti piegarono la testa. Ai 15 giunse in Milano il
corriere alla lettera ministeriale di esser eletto re d’Italia Giuseppe
Bonaparte. Si può figurare la Babilonia dell’Italica e la sorpresa universale
di tante, e così complicate vicende. Ma questo re d’Italia porta con se un
significato troppo esteso. Si dice che contemporaneamente al re marci in Italia
molte truppe francesi, e il cordone della febbre gialla, e i campi che si
disegnano alla Piave per la primavera danno dei sospetti di guerra, o di una
guerra intesa coll’Allemagna. Gran torbidi in Spagna, infine Dio ce la mandi
buona.
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8
[aprile 1805]
Ai
15 marzo arrivò il corriere che portò la notizia, che l’imperator Bonaparte
condiscende a prendere il Regno anche d’Italia, introducendo solo il titolo di
re dei Longobardi. Quest’andatura di cose sempre continuata e grandiosa
sbalordisce l’Europa, e fa restare immobili fin ora le potenze. Ogni giorno
c’è guerra, e c’è pace. L’uomo ragionevole non sa né cosa credere, né
cosa sperare. La guerra coll’Inghilterra pare come scordata, quantunque le
cose stiano sul piede di prima. Il mondo non conosce di grande che la Francia,
l’Inghilterra, e la Russia. Qual equilibrio possa derivare da queste masse
enormi non si sa conoscerlo.
Noi
stiamo qui governati alla Slava, e alla Boema, né sappiamo conoscere né il
linguaggio, né le intenzioni.
Si
parla per colmo di fortuna che sia disgraziato[=caduto in disgrazia] l’arciduca Carlo, e
l’arciduca Giovanni. Quale sia il delirio che abbatte l’uno, e la fortuna
che innalza l’altro divengono cose incomprensibili. L’imperatore nostro deve
sempre venire in Italia, ma la ragione non lo vuole per cento motivi.
Si
dice che il Santo Padre sia partito da Parigi, e che anderà a Roma.
Bonaparte
in maggio verrà a mettersi la corona d’Italia.
14
[aprile 1805]
Gran
discorsi. Bonaparte deve fare la sua incoronazione di re d’Italia ai 23 di
maggio. Si forma due campi francesi di 40 mille uomini, uno a Marengo, e uno a
Montichiari. Si è formato il principato di Piombino nella famiglia Bacciocchi
perché cognato di Bonaparte. Si pretende che i Francesi si sieno impossessati
della fortezza di Napoli col pretesto d’una invasione Russa. Il Santo Padre
fece a Parigi il capellano di Corte, vide la rarità del paese come un
viaggiatore, non si parlò mai di conferenze, e di discussioni ecclesiastiche, e
gli fu offerta la recita dell’Attalia a San Claudio. Si dice che per i 13 di
maggio sarà in Roma. Il cardinal Fiest si predice il futuro Papa. A Milano non
v’è buon umore. L’arma della monarchia italiana è fregiata del leone
alato. Qui da noi si vede, e si vuole creder molte cose; le dicerie sono al
solito infinite. Si vuole che gl’Inglesi qui rifuggiati partano fra pochi
giorni. Che il Campo a cui sono partiti i soldati antecipatamente si vadi
aumentando. Il portarvisi poi il Quartier generale genera dei gran sospetti.
Somariva che lo rimpiazzerà a Padova è di mal’umore. Infine non si sa
veramente cosa credere. Bonaparte medita e dispone tutto. Pare che tutte le
altre potenze sieno ai nostri occhi istupidite. Li discorsi di Bonaparte si limitano a conservare e a non aumentare, ma i fatti han sempre alterato le
parole. Il nembo è oscuro e preghiamo che si sciolga in bene s’è possibile.
Si
parla della pace generale, e i fogli la fanno umiliante per gl’Inglesi. Qui si
fa un gran cordone per la febbre gialla, fra la peste e la guerra si vuol
sperare che questi due flagelli stieno lontani per dar luogo a qualche nuovo
equilibrio.
17
[aprile 1805
Continua
le ciarle delle trattative dei due imperatori, chi vuole il cambio di questi
paesi colla Baviera, chi vuole guerra.
Gl’Inglesi
stazionati al Monte Berico dicono di partir tutti. L’affare della moneta falsa
diventa un gran pensiero se succederano delle novità, mentre ciò stabilirebbe
un fallimento totale della nostra nazione.
Il
preside Avogaro dice io osservo un poco questi Tedeschi, poi io faccio il mio
bagaglio, e me ne vado.
Con
tutto questo niente si sa. Bonaparte ha bisogno di un corteggio moltiplice, e
per venire, e per partire d’Italia. Chi sa che per ottener senza contrasti
quel ch’esso possede voglia intimorire colla facilità di nuove conquiste per
conservarsi l’ottenuto. La politica dei tempi presenti è così nuova,
l’ambizione di Bonaparte così smisurata, l’avvilimento delle potenze tanto
deciso, la testa dei popoli tanto alterata, che davvero non si sa a cosa
attenersi, e a cosa pensare.
Il
principato di Piombino dato da Bonaparte a suo cognato Bacciochi dà a divedere
che si vuole l’Italia spezzata, e mai formante una nazione. Si vuol Parma ai
borghesi: noi ritorniamo a vedere i tempi dei Farnesi, dei conti di Bozzolo ec.
L’arrivo di Bonaparte in Italia, la stativa, e la partenza solo decideranno di
tutte le ciarle, e di tutte le congetture. Prepariamo le nostre orecchie a tutte
le dicerie immaginabili.
28
[aprile 1805]
Bisinghen
assicura con decreto l’Avogaro dell’amicizia della Francia con l’Austria,
e ciò per bocca di un general francese, desidera che ciò venga difuso per
orecchio, e non sui cantoni.
Gl’Inglesi
qui stazionati partono, e ritornano come paurosi.
Sulle
alture di Creazzo e in altri luoghi si pongono dei pali per accender fiacole
[=telegrafo ottico] per
affari o tipografici o di guerra.
I
Tedeschi qui sono al campo si dice che lo allontanino, e si parla incertamente
del loro ritorno che dovrebb’essere ai 15 di maggio.
Non
v’è apparenza di guerra, ma di cessione; i discorsi, le congetture sono
immense, e per tutto maggio non si potrà far altrimenti.
Bonaparte
con gran seguito e 100 mille uomini sarà a Milano ai primi del venturo.
L’arma italica francese è un aquilone che comprende tutto.
Il
Santo Padre anticipando il suo viaggio sarà a Roma per la mettà del venturo.
Qui
il censimento rompe la testa, e il caos che ne presenta raffigura come si
maneggiano anche gli affari più esenziali, dalla confusione e oscurità di cui
tutto porta il carattere.
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P.mo
[maggio 1805]
Ora
si son un poco acquietate le ciarle, e non si parla che della magnificenza e
affluenze di Milano. Qui non si può ottener passaporti che con stento.
Vi
è un rame [=una incisione] a Parigi colla figura imperiale di Bonaparte, esso ha il manto reale
col braccio ignudo il spiritoso francese vi scolpì sul braccio il n’a pu
passer la manche alludendo alla perdita della Manica cogl’Inglesi.
Avendo
dato un nuovo cordon bleu al militar francese. Voilà
le cordon che vous avez bien merité, l’empereur l’accorde. Il
Francese trovò che il militare lo meritava e che Bonaparte al contrario
meritava la corda: convenne cangiar l’accorde in accordè. Il Francese per un
frizzo si contenta di ogni schiavitù.
16
[maggio 1805]
Bonaparte
è arrivato a Milano agli otto del corrente con tutta la pompa imperiale. I
Milanesi lo accolsero con sospensione e fredezza. Esso deve passare a Monza
frattanto ha creato dei nuovi principini, e titoli. L’incoronazione si dice ai
23. Questo affare sembra una fredda comedia. Cosa che da ciò debba accadere
tutto il mondo è sospeso. Bonaparte non fece fin ora giammai un passo senza
esservi del luminoso, e che porti a conseguenza.
Qui
siamo impazziti dal censimento affare che avrebbe esatto degli anni fu comandato
in tre mesi, ed eseguito negli ultimi 15 giorni.
Niente
si crede niente si stima, onde tutto serve a confondere in governi di tal
natura. Vedremo questo pasticcio a cosa servirà e se saremo una volta d’un
padrone o dell’altro.
23
[maggio 1805]
Non
si parla che di Milano, il fasto, i discorsi di Bonaparte alla nobiltà tendenti
al militare, e si vuole una proroga all’incoronazione. La scielta dei soggetti
italiani per le cariche piace universalmente. Non si sà poi a cosa si ridurrà
una tal farsa. Si spedisce qui a Legnago un squadrone di cavalleria e dei
granatieri, qualche cannone per festeggiar l’imperator dei Francesi, non mai
il re d’Italia che si dice non ancor riconosciuto, e ciò ne sia prova
l’andata in Olanda in tali momenti dell’ambasciator tedesco Cobenzel. Si
termina poi a riconoscer a conceder, e a ceder ogni cosa. Lo scaltro Bonaparte
mette però tutto su d’una punta d’ago per far pender la bilancia dove più
gli aggrada e render tutto probabile finch’egli marcia a gran passi nella
carriera d’un poter immenso.
Si
dice di un dialogo del Santo Padre con Bonaparte a Parigi questi voleva indurlo
a cedergli in iscritto i suoi diritti sulle legazioni, a cui Sua Santità disse
di non poter farlo. Io le possedo disse Bonaparte. La forza non debilita le
ragioni. Ritornato il Papa al suo appartamento gli fu levata la guardia e
inibitto l’accesso di chiunque. Sua Santità ricercò di vederlo, e gli disse.
Son io qui ospite o prigioniero. Nella prima idea io sono qui venuto volontario
quanto alla prigionia sappiate che si ha preveduto anche questo caso a Roma, e
che in tal momento io rinunzierei il Pontificato, con debito di fare un nuovo
Papa, e voi non avreste il piacere di aver un monaco per prigioniero. Si dice
che Bonaparte cangiò discorso, e gli restituì la guardia ec.
29
[maggio 1805]
Oggi
le nuove sono allarmanti Bonaparte non si è incoronato né ai 23 né ai 28.
Queste nuova provengono da Venezia, e però non si può molto crederle. Si
pretende che Bonaparte partecipando il suo incoronamento di re d’Italia al
nostro imperatore questi gli ricercò quali erano i confini che pretendeva di
dare all’Italia. Bonaparte rispose che i confini d’Italia erano i suoi
naturali confini. Al che venne risposto che si avrebbe sostenuto i propri
diritti. Però vi è dei movimenti, e del concentramento di truppe in Tirolo, e
si pretende che si metta in qualche diffesa Venezia. Il generale Vincent con
Zach sono partiti per Milano. Dal canto di Verona nulla si può rilevare e se
l’incoronazione sia seguita o no. Tutto è possibile. Ma si scorge più
accordo che guerra e la cessione di questi paesi non mi par tanto difficile. Il
subitaneo censimento, la moneta erosa, la trascuratezza di queste provincie sin
dal momento dell’invasione comprovano molto ch’eravamo ancora un ballone per
aria.
Bonaparte
è ai miei occhi un fenomeno di nuova spezie. I talenti, e la fortuna di costui
riescono sorprendenti. I progetti poi non imaginabili. Vedo un’ambizione
inaudita che si fa delle nuove strade per vieppiù appagarsi, e non discerno il
limite della sua sodisfazione. Vedo le altre potenze avvilite ed oppresse
incapaci di formar una coalizzione decisiva. L’Inghilterra disturbata in tutte
le sue viste con delle piratiche fantasie. Contuttociò nella persona di
Bonaparte si discerne un ordine, si vede l’uomo che ha distrutta l’anarchia;
e i sovrani e i popoli devono riconoscer da lui un conservatore del sistema
antico, e quasi sociale.
31
[maggio 1805]
Si
diceva che Bonaparte non si sarrebbe incoronato, e s’incoronò il giorno 26
corrente. Si diceva che la funzione era seguita ma a porte chiuse con 40
arrestati, e 3 impiccati, e che il giorno dopo era partito per Parigi dicendo di
andar a Genova, e invece, la funzione fu magnifica e pomposa, e andò dopo
pedestralmente a San Ambrogio e altro luogo, dimorando esso maestosamente a
Milano. I movimenti che qui si osservano nelle truppe fa piuttosto creder una
cessione o giro di cose che la guerra. Con tuttociò tutto è possibile e
inesplicabile in questi tempi.
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4
[giugno 1805]
È
fatto il vice re d’Italia nella persona del principe Eugenio
Beaurnais. Ora
Napoleone par che vadi a Genova, ora ai suoi dipartimenti, ora a Roma, ma tutto
è incerto. Esso è instancabile e d’una attività negli affari, che sembra
ch’esso ne mangi ne dorma mai. Non si parla del suo ritorno in Francia. Qui
v’è un movimento nella truppa, del concentramento in Tirolo, delle farine che
girano, del cambiamento di regimenti. Ora non si ammette congedi, ora si dice
che vengano concessi. Vi sono molti Inglesi nei nostri colli Berici, e ogni
giorno partono e restano, e ciò forma un bisbiglio. Ma per figure di tal fatta
niente significa ne la permanenza ne la partenza, mentre il straniero si ferma e
parte secondo gli piace, e non ha l’interesse degli abitanti per formar un
oggetto interessante de’ suoi passi.
14
[giugno 1805]
Partita
per Verona con tutte le ciarle di guerra e di cessione, e quasi colla vociferata
incertezza dell’arrivo di Napoleone a Verona ad onta dell’itinerario. Appena
giunta dopo un imbroglio di passaporti per il garbuglio della sanità e non
sottoscrizione di Bisinghen, trovammo che le guide di Napoleone erano arrivate
solito indizio che precede la di lui venuta; la guardia d’onore dei principali
nobili e possidenti parte a cavallo e parte a piedi in attività. La mattina dei
15 tutto era ordinato alle 6 per il suo arrivo. Alla Croce Bianca [località
poco fuori Verona, sulla strada per Brescia e Milano] c’era le
tende della Guardia d’onore Civica, e tutte le Municipalità di Città e Territorio con sciarpa e bandiera spiegata, e ai rifformati sulla Porta Nuova
c’era il clero detratto il Vescovo per le sue particolari idee lontano
ch’erano ordinati per dargli l’acqua santa. La Porta Nuova presentava un
vero spettacolo la sua località e l’emporio di truppe, di municipalità, di
guide e di popolo mostravano che la città non potesse capire tanta gente. Alle
6 pomeridiane giunse Napoleone con 8 cavalli, col maresciallo Duroc, molto
seguito, col carrozzino del celebre Mameluco e le guide a cavallo, la Guardia
d’onore di dietro e due cannoni, con sbarro del cannone e suono delle campane,
non si fermò nemmeno alla chiesa. Il popolo immenso che lo attendeva la mattina
era in parte dissipato ma non si sentì un evviva durante tutta la bella strada
della Porta nuova, anzi l’umore era universalmente melanconico. Ai portoni
della Brà si sentì qualche evviva. Esso smontò al Palazzo Canova e non uscì
per tutta la sera. Vi fu pertanto una generale illuminazione della città.
La
mattina alle 4 esso andò a cavallo a girar le mura colle guardie d’onore
civiche, e trovò dei punti che i medesimi Veronesi non sapevano; vedendo i
ponti di separazione coll’Austriaco ricercò s’erano i ponti, e girò il
cavallo per altra parte. Ritornato a casa ricevé tutti i corpi, e con tutti si
mostrò gentile clemente, e arguto. Il clero fu soprafatto dalle sue
espressioni. Il deputato della città si perdette di spirito e fecegli delle
ricerche, al che Napoleone disse imparate prima a rispondere poi dimanderete.
Vide però il Prefetto che trattò bene la causa dei poveri Veronesi che
Napoleone non volea credere tanto massacrati, ma il Vezza eccellente uomo di
cognizioni in tali materie lo convinse, e ne fece egli una gran stima. Ricevette
poi la Guardia d’onore Civica e a loro disse bravi e bei giovani animatevi in
una carriera che vi tolghi dall’ozio e dal vizio. Vi si prepara una carriera.
Venezia io non l’ho voluta, essa era una Sodoma che meritava di esser
gastigata, e l’ho data all’alamanno, ma voi potete ricuperarla. Verona fu
una Babilonia una Ninive che ha imbrattato ignominiosamente le sue mani nel
sangue dei miei fratelli d’armi, essa merita d’esser punita; un giovine
Lanfranchini della Guardia d’onore eccitato da tal accusa, disse ma noi sire,
non ne abbiamo colpa. Voi avete ragione, voi non eravate nemmen nati a quel
tempo, però vi convien sperare che le cose si cangieranno. Dopo ricevette la
deputazione Tedesca col general Vincent e 30 uffiziali, che fece in istrada la
più superba comparsa attirandosi tutto il popolo. Napoleone disse al generale
tedesco: gl’Italiani vociferano molte cose, ma i nostri due imperi sono nella
miglior armonia. Si trattenne con Vincent lo stimò lo volle a pranzo seco, e lo
ricercò al teatro. I Tedeschi tanto civici che militari si trovarono esultanti
dell’accoglienza. Ricevette tutte le municipalità di Villa si frappose fra
loro mostrandosi informato dei menomi dettagli. Napoleone ha fatto la carriera
del privato e pare non ignori tutta la serie delle cose che conducono fino
all’altezza in cui si ritrova. Alle 6 pomeridiane fu invito nell’Arena. Essa
fu ripiena più di 3 quarti, ma un scroscio improviso di pioggia interruppe ma
non distrusse un così magnifico spettacolo. Napoleone vi giunse alle 7 e mezzo,
con quattro generali due ciambellani e il Mameluco che andò a riceverlo. Corse
come l’Ezio in scena trionfante il sovrano, e gli evviva furono immensi. Esso
era vestito in semplice uniforme con cappello senza bordo, ma in Arena ebbe due
o tre ordini. Esso è grasso, gioviale, e pare che la fortuna gli vadi in
sangue. Dopo andò al teatro ch’era magnifico, e la illuminazione della città
superba. L’Arena, il Lapidario, e la Porta Nuova si distinsero per la
magnificenza. La mattina dopo alle 4 Napoleone fece la revista della division
Gardan in una spianata fuori della Porta Nuova. Erano 6 milla uomini, e la cosa
fu veramente superba, esso girò le file poi si mise su delle alture
frammischiato col popolo, e colà fieramente guardò l’esercizio che durò
fino alle 8. Gli sfilò tutta la truppa dinanzi gridando viva il re a ogni
plotone, egli col cappello in testa fece vedere una fierezza immensa col
militare. Conviene che coi Francesi convenghi trattare in simil guisa, poi esso
montò a cavallo e ventre a terra corse alla sua carrozza partendo per Legnago,
e alla portella vi era il generale Vincent Tedesco. Allora lo sbarro del cannone
e dalla parte Francese e Tedesca lo salutarono romorosamente ed egli lasciò
negli animi una certa poetica idea fra l’entusiasmo, l’ammirazione il
terrore e non so qual altro sentimento che si può più sentire che descrivere.
Napoleone
è un uomo grande e non si può contenderlo, forma epoca il suo genio, e simili
fenomeni si vedono di rado. Accarezzato dalla fortuna esso si mostra superiore
ad essa. Il parlargli riesce pericoloso perch’egli persuade ciò che vuole.
Conosce i dettagli di tutto. Vagheggia in grande e sa contenersi. La Francia lo
guarda, e forse l’Europa come il domatore d’una rivoluzione e come un
ristauratore dell’ordine sociale.
L’Italia
riconosce i suoi meriti, ma sul proprio destino non può ancora qualificarlo
nissuna cosa; attendendo dal tempo un equo giudizio di quel ch’esso sarà
riguardo a lei.
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7
[luglio 1805]
Le
lettere nulla possono dire della stativa in Italia di Napoleone nei vari
dipartimenti, e si crede che sia Genova. Corre
l’anagramma
Napoleon
Empereur des Français ce fol empire ne durera pas un an.
Qui
c’è a sentir tutti delle gran truppe che scendono e dei gran campi che si
preparano, ma la guerra non par probabile.
Il
nostro governo seguita a far disperare e per aver un passaporto ci vuol
Bissinghen e una lettera alemana. L’oscurità è al presente all’ordine del
giorno.
13
[luglio 1805]
A
sentir i Veneziani e i Vicentini ogni soldato che si muove, ogni carretta che
gira di farine, ogni fantasia di discesa di truppe e di cannoni tutto indica
guerra, e dalla mettà di febraro sino ai 13 del corrente c’è ogni giorno
indizio di guerra e guerra domani. Ma viceversa si troviamo in una oscurità
rimarcabile. La guerra cogli Inglesi forma un mistero di cui essenzialmente non
si conosce i veri risultati. Bonaparte si fa imperatore e re d’Italia,
viaggia, organizza, separa, ed estende il suo potere. Le potenze s’armano,
mettono le loro truppe alla moda francese, par ogni giorno che si coalizzino, ma
un genio occulto le paga per riunirsi, e un altro genio parimente occulto le
accarezza le strapazza, le intimorisce e paga per disunirle. Cosa debba
risultare da questo ragirato conflitto, non v’è che il tempo che possa
dilucidarlo, non mai qualsisia testa politica. Frattanto i governi interni
risentono le oscilazioni esterne e perdono e testa, e direzione e stima dei
popoli. Chi vede nero vede un pelago di nuova spezie e quasi la fine del mondo.
V’è chi crede una verificazione del sistema massonico. Bonaparte e Pitt, ecco
il nodo gordiano delle vicende attuali dell’Europa, tutto il resto è
assorbito dalla loro stella. Se la guerra marittima inquieta un emisfero, una
probabile guerra continentale minaccia l’altro, la Providenza sola può
salvare la misera umanità.
31
[luglio 1805]
Tutto
il mondo parla dell’armo di Venezia, che a Brondolo le armate sono in
prospetto, e qui si cangia regimenti e si dice mille cose. Si crede che un
ambasciator russo abbia portato in questi giorni l’ultimatum a Parigi, e che
se ne attende i risultati. Si parla d’insurezioni ora in Svizzera, ora a
Vienna, ora a Praga ora in Parigi e adesso in Linguadocca non si verifica che
quella di Vienna per il pane. Le cose sono molto oscure, e i fatti di mare si
vogliono favorevoli ai Francesi ad onta di cento imprese Inglesi che finora non
si confermano. V’è chi crede una nordica neutralità armata chi guerra
immensa e chi pace generale. Vi è gl’ingredienti per creder tutto questo
possibile.
Il
nostro governo va col solito passo, ed è in un languore che non dà speranza di
qualsisia cosa, contuttociò si si pascola dei mali dei nostri vicini, unica
risorsa degl’infelici.
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24
[agosto 1805
Partita
per Parma ai 4 trovammo a Verona una voce dell’arrivo di 14 mille uomini, e a
Mantova molti lavori nella fortezza, e voci di guerra e di pace assai confuse.
Parma ridotta da due mesi un dipartimento francese. Incamerati tutti i beni dei
claustrali con miserabili pensioni: l’amministrator Moreau di Saint Merg in
qualche crisi. Si celebrò la festa dei 16 di S. Napoleone con solenne tedeum in
Duomo dal Cardinale Caselli. Gran illuminazione la sera, e festa da ballo in
teatro gratis. Tutta la sistemazione di quel dipartimento si attende in
settembre. Partita da Parma ai 19 trovammo tutto tranquillo, senza soldati,
sospesi i lavori in Mantova, e nemen parole di arrivo di truppe in Verona, anzi
una voce comune di pace, quando a Caldiero ai 22 si seppe che a Venezia e per
cento parti i Tedeschi scendono misteriosamente e rapidamente a invadere tutti i
nostri territori. La confusione è somma per preparare alloggi cavalli
approvisionamenti ec.
25
[agosto 1805]
Già
i Tedeschi vengono a profluvio. Venezia ne ha 40 mille e ne attende; il Tirolo
è rippieno, e ai 8 del venturo non si sa se avremo luogo da capirli in Vicenza.
La nostra guarnigione di Bellegarde parte totalmente per i 30 del corrente, essa
è tutta piangente, e dice di deplorar Vicenza. In mezzo a tutto ciò il mistero
è immenso anche fra la truppa, la quale dice che non si è dato mai caso
simile. I Francesi non si muovono per niente di là dall’Adige, e là corre più
pace che guerra. Qui si attende degli ultimati e si vocifera che l’imperator
tedesco esigga da Napoleone l’esecuzione totale del Trattato di Luneville o
altrimenti guerra. Il turbamento e la sospensione degli animi e qui universale.
Tutto si deve fare a nostre spese ed è proibito le tasse. Si vuol due conventi
di monache o altrimenti soldati per le case. Sono ordinati 400 cavalli da
tiraglio, ma l’artiglieria non si vede. Si suppone generalmente guerra, e
coalizzione prussa e russa ma la Prussia fa dubitare in tutte le guise, e i
Russi camminano a lenti passi. Se siam soli poveri noi anche se la fortuna
seconderà sul principio. Infine l’esperienza e la novità della cosa fa
vaneggiare fra cento idee differenti, e sempre si troviamo alla circostanza di
veder a verificarsi delle cose che non si ha mai imaginato. Faccia la Providenza
uno dei suoi bei tratti mentre noi siamo in tutte le guise rovinati.
Qui
gira un principe cugino del re di Prussia erede dei talenti del gran Federico
esso esamina le fortezze, vuol vedere Arcole Rivoli Mantova ec. Curioso momento
d’istruzione.
29
[agosto 1805]
Alle
9 della sera si radunò la presidenza fatture deputati e a consulta di molti
sull’avviso che l’armata accellera il suo movimento, e che a Lancé [=Lanzé,
località poco distante da Quinto] gli
Ussari esiggettero bruscamente. Non c’è danaro e già il nostro territorio
s’innonderà a dismisura. Tali sono le voci, del resto non si penetra nulla.
Napoleone è per imbarcarsi per l’Irlanda, pare che non vi sieno più Francesi
al mondo. Il piano delle potenze che si vogliono coalizzate sembra rapido, e
misterioso. Quale debba essere il risultato d’un affare così intralciato
mentre la ragione si deve ascoltare in ogni guisa, non si sa deciderlo. Si vuol
la Prussia neutrale, la Moscovia alle spalle per protegger tal neutralità,
l’imperator tedesco in conseguenza leva tutta la totalità della sua truppa
per portarla in Italia. Qui non si sa fin ora alcun movimento nella opposta
armata francese.
31
[agosto 1805]
Ieri è partito totalmente il nostro regimento Bellegarde piangente per distaccarsi da Vicenza; e subito dopo giunsero gli Usseri dell’arciduca Ferdinando superbo e bellissimo regimento. Queste truppe formicolano alle Basse e sulla strada di Verona, oggi si pretende che i Francesi si muovano. Quale debba essere il piano reciproco ognuno l’ignora. Bisinghen è fatto provveditor generale delle armate. Si dice Mak general in capo, ma in fondo niente si sa. Per otto giorni deve passar continuamente truppe e il nono si fermerà la guarnigione. Anche a Venezia và e parte truppa. I lavori di colà son quasi terminati. Si dice sconfitta di flotta gallo-ispana, ma le nuove di mare fin ora sono sempre state incerte. Si trema molto di tutto e si confida nella Provvidenza.