Indice

Immagini

Storia

Natura

Arte

Turismo

Servizi

Links

Webmaster Serafino Pisanu

li_x0128.gif (7433 byte)

Abbigliamento tradizionale

Le notizie che riportiamo provengono dai ricordi di persone anziane, che volentieri ci hanno descritto quanto ricordano dell'abbigliamento dei loro nonni, e dall'osservazione delle splendide antiche fotografie, gelosamente conservate fino ai nostri giorni.  

Un'altra fonte davvero completa sull'argomento è il volume di Maria Paola Pinna, studiosa che ha svolto una ricerca accurata ed approfondita su storia e tradizioni di questo territorio, partendo dalle origini. Il volume si intitola "Santadi, Nuxis, Villaperuccio", e lo consigliamo a quanti siano interessati ad approfondire le loro conoscenze riguardo questi tre Paesi del Sulcis. 

Anticamente Nuxis era abitata quasi esclusivamente da pastori, contadini, qualche artigiano... dunque persone portate ad escludere dal loro abbigliamento tutto ciò che non fosse strettamente necessario, anche perché la storia del paese ha visto avvicendarsi vari dominatori, tutti però simili nel pretendere il pagamento di esosi tributi, costringendo la popolazione ad una  vita senza lussi e senza sprechi.

Tutto veniva ricavato da materie prime disponibili in paese: i tessuti utilizzati per abiti e corredo erano principalmente lana e lino, che venivano puliti, cardati, filati, tessuti, tinti e confezionati dalle donne. Il telaio, "su triaxiu", costruito dal falegname ("su maistu 'e carru"), era in legno di quercia e ginepro e spesso era decorato con artistici intagli.

L'orbace, largamente adoperata per confezionare gli abiti, era la lana dell'agnello (bianca o nera), pulita, cardata, filata e tessuta finemente. La lana veniva tinta nel tipico colore nero brillante,attraverso un laborioso procedimento, utilizzando "s'arinu", cioè l'ontano (che cresce spontaneo lungo i fiumi) e "su truiscu" , cioè il mezereo, (un arbusto selvatico, con bacche arancioni velenose, che cresce nei luoghi umidi, in mezzo alle siepi).

L'abito maschile era composto da una camicia di lino bianco dalle maniche ampie ("sa camisa"), un gilet di seta o tela ("su cossu"), una giacca ("sa casacca"),  un fazzoletto rosso, sempre di seta o tela ("su turbanti"), dei pantaloni al ginocchio ("ses craccionisi"), una sorta di sottocalzoni bianchi, di lino, (chiamati "is craccias"), con dei gambali in orbace che arrivavano a metà scarpa ("su toppettu"). D'inverno si usava il cappotto ("su serenicu"), confezionato con cura e chiuso da grandi alamari d'argento, mentre i pastori indossavano un pellicciotto di pelle di pecora o capra ("sa besti", detta anche "sa mastruca"). In testa, un berretto ("sa berritta").

Il gilet era chiuso da bottoncini d'argento simili a piccole monete, mentre per la camicia venivano confezionati a mano dei bottoncini con ago e filo.

Le donne conducevano una vita di lavoro e di sacrificio: quando una donna si sposava, tradizionalmente portava in dote un telaio, una macina ("sa mo'") e gli altri attrezzi per svolgere il suo lavoro di brava padrona di casa ("su strexiu 'e venu", cioè i canestri di paglia per la farina, i cereali, il pane). Questa concezione della donna lavoratrice, distante da lussi e feste, era intuibile anche dall'abbigliamento semplice, di un'eleganza severa e priva di fronzoli o dettagli appariscenti.

Il costume femminile era composto da una lunga gonna a pieghe sciolte, con l'orlo bordato da un nastro violetto, perchè non si sfilacciasse ("sa vetta muscara"); un giubbetto ("su gipponi"), un fazzoletto che veniva portato incrociato sul petto ("sa perra 'e sera"), un grembiule ("su vantaliccu"). I tessuti erano sempre cotone o lana, tinti di scuro. I capelli venivano strettamente raccolti in trecce avvolte sul capo e coperte con un mezzo quadrato di tessuto di colore rosso ("sa tocca"), coperto a sua volta da un gran fazzoletto di cotone a motivi floreali ("su muncaroi mannu"). Le donne anziane, se lavoravano, potevano tenere in testa anche solo sa tocca, oppure usavano incrociare il fazzoletto sotto il mento e annodarne i capi sulla sommità della testa. D'inverno  indossavano sulle spalle o sul capo una sorta di mantellina d'orbace pieghettata, detta "su panneddu", che poteva avere un bordo superiore di lana o velluto rosso (per le vedove, nero). Alle ragazze talvolta era concesso di applicare ai lati di questa mantellina dei lunghi nastri violetti ("is vetas muscaras").  I gioielli erano davvero pochi, generalmente d'argento: bottoni per i polsini del giubbino, una spilla per tenere fermo il fazzoletto incrociato sul petto, orecchini ("is arracaras") e un semplice vellutino nero al collo. Le donne delle famiglie più ricche possedevano anche uno scialle di finissima lana, ricamato con seta colorata ("su sciallinu 'e sera"). 

Anticamente, l'abbigliamento per le nozze era molto simile a quello quotidiano, distaccandosene solo per la migliore qualità dei tessuti: per il costume tradizionale maschile si usava l'orbace e il lino più fine, mentre la sposa indossava una gonna di broccato in seta e sul capo un rettangolo di lana finissima azzurro chiaro, bordato tono su tono, oppure "su muncaroi mannu".

La sposa, in epoche più recenti, usava invece indossare "sa scoffia"  (cioè una cuffia di seta rossa), "su muncaroi biancu" (vale a dire un fazzoletto di tulle bianco, ricamato ad ago) e "sa mantiglia" ( uno scialle di raso bianco e azzurro), donati dallo sposo. Si tratta di una usanza derivata chiaramente dalla tradizione spagnola.

su triaxiu (il telaio)

 

li_x0147.gif (4602 byte)