Soragna Cinema Teatro Nuovo |
rassegna
organizzata Fidenz@ Cultura |
e con Associazione e-Xedison / Cineclub Edison |
Lunedì 8 settembre - Retrospettiva John Pilger - in collaborazione con 12. Prix Leonardo International Film
Festival
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Mercoledì 10
settembre
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Nato in Australia, ha iniziato la sua carriera nel 1958 come free lance per il Daily & Sunday Telegraph di Sidney. E' stato quindi inviato e corrispondente per il Daily Mirror (1963-1986), fondatore e caporedattore del News on Sunday di Londra (1986-1988), inviato per la Granada Television (1969-1971), produttore e inviato per l'Associated Television (1974-1981). I suoi articoli sono stati pubblicati sui più prestigiosi quotidiani e periodici di tutto il mondo.
Bowling a Columbine (Bowling for Columbine, 2002) di Michael Moore
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA AL FESTIVAL DI CANNES 2002.
PREMIO OSCAR 2003 PER MIGLIOR FILM DOCUMENTARIO.
"Il documentario comunica, con ironia e indignazione, tutta la follia
e tutto il dolore che pervadono il Paese che nella Costituzione proclama il diritto alla
felicità: in cui di ogni delitto sono incolpati neri che del resto, quando nacque la
National Rifle Association, la lobby delle armi da fuoco, non potevano possederne. (...)
Moore si domanda perché il suo Paese è così violento: non perché è armato, lo è
anche il pacifico Canada, non perché c'è violenza nei suoi film, visti in tutto il
mondo, ma forse perché gli americani vivono nel terrore di essere sterminati, sin dai
tempi dei Padri Pellegrini: e si difendono sterminando". (Natalia Aspesi, 'la
Repubblica', 17 maggio 2002) "Brioso e a tratti comico, 'Bowling for Columbine' ha ricevuto dalla critica un'ovazione in larga parte di matrice ideologica, ma è comunque buon cinema." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 17 maggio 2002) "Michael Moore è l'unico cineasta al mondo che può permettersi di fare un documentario e vederlo uscire nelle sale, premiare ai festival e tirar su dei soldi. È ironico, informatico, fa critica sociale (...) Sullo sfondo della strage al liceo Colombine in Colorado ricordando il bambino di sei anni che uccise la compagna di scuola, Moore ci accompagna nel tunnel della diffusione, proprietà e uso delle armi negli Stati Uniti (..) Moore si chiede perché l'America ha avuto e ha sempre tanta paura di se stessa". (Silvio Danese, 'La Nazione', 25 ottobre 2002) "Michael Moore, americano del Michigan, 48 anni, fondatore e direttore di giornali alternativi, scrittore, realizzatore di serial televisivi tra i quali 'Miami Vice', già autore di 'Roger & Me', documentario contro la General Motors, e di 'The Big One' contro le multinazionali, è un cine-idolo dell'estrema sinistra americana. Grasso, malconcio, indomito, demagogico, spiritoso, accumula cifre, episodi, testimonianze, analogie, contraddizioni, affronta la sua materia con implacabile coraggio. Le connessioni tra Storia e presente, tra fatti diversi, non sono quelle ordinate e settoriali delle documentazioni televisive, giornalistiche: sono i legami emotivi dell'ansietà politica, sono i grovigli di realtà, sospetto, certezze, diffidenza e sdegno d´una visione non mutilata, umanistica, dei nostri giorni difficili. Da quarantasei anni, dal 1956 de 'Il mondo del silenzio' di Jacques-Yves Cousteau e Louis Malle, il festival di Cannes non metteva in concorso un documentario: lo ha fatto nel 2002 con 'Bowling a Columbine', e ha fatto benissimo". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 18 ottobre 2002) "La maggioranza silenziosa ma armata americana, che tiene la 44 Magnum sotto il cuscino e si riconosce nell'arteriosclerotico Ben Hur con dentiera Charlton Heston, è la protagonista di questo straordinario, ironico, disperato documento del grande 'no global' Michael Moore, premiato a Cannes. 'Bowling a Columbine' traccia uno spietato identikit degli States, e le stragi collegate, che oggi, con la guerra in vista, è più attuale che mai. Tra cronaca e storia, virando necessariamente nel grottesco naturale, il regista 'extra large' guarda negli occhi la lobby delle armi, racconta delle banche che offrono in omaggio la carabina, dall'infuocato Michigan fa una puntata nel pacifico Canada, che ha finanziato il progetto, e mette sul banco degli imputati violenza e razzismo; e accusa i media di travolgere e stravolgere la realtà. Da vedere: i riferimenti sono ottimi e abbondanti, tutti sono giustizieri della notte". (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 ottobre 2002) "Michael Moore non è mai stato tanto attuale: rivedere il suo vecchio 'Roger & Me' sarebbe il miglior modo per documentarsi sulle "brillanti" strategie industriali della General Motors, andare al cinema a vedere 'Bowling a Columbine' sarà utilissimo per capire dove nasca l'irrefrenabile desiderio degli Usa di menar le mani in Irak o in altre parti del mondo. (...) Come sempre, Moore dice cose estremamente serie con stile graffiante, veloce, qua e là divertentissimo: vederlo in azione con la sua mole ingombrante e l'eterno berrettino da baseball, è a suo modo comico; ma il 'messaggio' che arriva è sempre una stilettata per le coscienze. Memorabile l'irruzione in casa di Charlton Heston, da sempre sponsor e portavoce della NRA; ma anche l'intervista con Marilyn Manson è da antologia. 'Bowling a Columbine' è il trionfo del politicamente scorretto. Da vedere assolutamente". (Alberto Crespi, 'Film Tv', 22 ottobre 2002) "(...) Moore pone la domanda di fondo sul senso di una società con un giusto mix di ironia e commozione, e riesce a farci distinguere le responsabilità dei singoli e quelle del sistema e di precisi poteri economici e ideologici e mediatici. Il suo oppositore è Charlton Heston, il grande propagandista della libertà di difendersi a colpi preventivi di arma. Altro che John Wayne! Il vecchio 'eroe' hollywoodiano è messo alle strette da un pacifico e grassoccio signore che non recita. E lo spettatore, ammirato dalla capacità di Moore nel costruire pacatamente la sua inchiesta senza provocare un attimo di noia, esce dal film che ne sa di più, che ha capito di più. Capita di rado con i libri, figuriamoci al cinema". (Goffredo Fofi, 'Panorama', 30 ottobre 2002) "'Bowling a Columbine', caccia al tesoro di 2 ore, è avvincente e disarticolato come il corpaccione del regista che si trascina di porta in porta, per chiedere ai 'vicini' le ragioni della paura che attanaglia l'americano. Paura amplificata dai media, che bombardano gli spettatori con il bollettino dei crimini: il sospetto è sempre l'uomo nero ripreso a terra seminudo, avvinghiato dal cop di turno, eroe della serie tv sulle imprese poliziesche. Moore propone all'autore del reality show una variante, con gli executives della city sbattuti sulle loro Mercedes per frode fiscale e corruzione. Improbabile, ma l'Autidel è legge quando conviene. Vere invece sono le immagini che una telecamera a circuito chiuso ha ripreso quel giorno a Columbine: due ombre armate sparano alla rinfusa, gli studenti sotto i tavoli, voci fuori campo, registrate dai cellulari, urlano aiuto". (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 18 ottobre 2002) |