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di
Andrea Benvenuti, L'Espresso
Meno aiuti. Meno potere alle grandi organizzazioni. E meno libertà
d'azione. Così Maroni sta rivoluzionando il pianeta Onlus.
Tra liti e polemiche
Ci sono persone che pubblicamente criticano
il governo e privatamente chiedono favori... Le parole del ministro
del Welfare, Roberto Maroni, sulla presunta «doppia morale»
delle organizzazioni di volontariato sono difficili da dimenticare.
Un attacco duro, quello del ministro leghista, che ha lasciato di
stucco i rappresentanti dell'associazionismo durante i lavori dell'ultima
giornata della Conferenza di Arezzo: la prima proposta da un governo
di centro-destra. Una gaffe? Le solite dichiarazioni travisate dai
giornalisti? Macché. Il ministro del Welfare ha confermato
il succo del suo intervento e ha fatto capire che il governo è
pronto a mettere mano ai criteri di rappresentanza dell'associazionismo
per assicurare, anche alle organizzazioni più piccole, spazi
di sopravvivenza. Guarda caso, però, le organizzazioni dalla
«doppia morale» sarebbero sempre le stesse: quelle «vicine
ai partiti del centro-sinistra».
Difficile credere che Maroni abbia a cuore
soltanto i meccanismi della rappresentanza. Il centro-destra ha
un obiettivo chiaro: nell'idea di nuovo welfare, lo Stato si dovrà
ritirare da settori chiave come scuola, sanità, assistenza
e pensioni. E dovrà lasciare spazio al privato e alle imprese
sociali, con una piccola quota riservata al volontariato in nome
del principio di sussidiarietà. Ma per fare questo sembra
che il governo non abbia alternativa: scardinare le associazioni
più grandi e ricondurre a ragione quelle contrarie.
Quello del ministro non è infatti che
l'ultimo di una lunga serie di attacchi al mondo del volontariato.
Esattamente un anno fa, il ministro della Sanità, Girolamo
Sirchia, accusò i rappresentanti dell'associazionismo di
essere «politicizzati, non trasparenti e poco affidabili».
Tutti molto bravi a riempire le piazze ma incapaci a gestire i bilanci
delle proprie strutture. Dichiarazioni che provocarono un putiferio.
Poi sono arrivati i tagli al rinnovo delle convenzioni ministeriali.
Tra le organizzazioni escluse dai finanziamenti, ci sono ad esempio
il Gruppo Abele fondato da don Luigi Ciotti e il Cnca, il Coordinamento
nazionale delle comunità di accoglienza guidato da don Vinicio
Albanesi. E infine, negli ultimi mesi, si sono ripetuti gli attacchi
della Lega nei confronti dei vescovi e delle organizzazioni cattoliche
che, come la Caritas, «sfruttano i poveri» e «nascondono
gli immigrati irregolari», dicono i ministri padani.
A completare la strategia di attacco al terzo
settore italiano, ci hanno pensato il ministro dell'Economia Giulio
Tremonti e il ministro Roberto Maroni. Come? Chiudendo il rubinetto
dei finanziamenti pubblici. A partire dalla Finanziaria, che non
prevede risorse per il non profit e impone tagli agli enti locali,
comuni e regioni soprattutto, da cui le organizzazioni di volontariato
traggono importanti sostentamenti. Proseguendo con il progetto di
riforma delle Fondazioni bancarie che, nell'ipotesi Tremonti, saranno
obbligate a individuare solo tre settori di intervento, in modo
che a farne le spese saranno i servizi di assistenza alle fasce
deboli della popolazione: anziani, disabili, senzatetto e immigrati.
Rimane invece un punto interrogativo il futuro
dei Centri di servizio per il volontariato, 55 sedi provinciali,
presenti in tutta Italia ad eccezione di Campania, Calabria e Puglia.
Rappresentano la cassaforte dell'associazionismo. Svolgono attività
di consulenza, formazione, fund raising e finanziamento. Nel 2001,
la disponibilità finanziaria che deriva dagli accantonamenti
delle Fondazioni bancarie è stata di 28 milioni di euro;
tetto che verrà superato alla fine di quest'anno.
Rassicurante il parere di Marco Granelli, portavoce
nazionale dei Centri di servizio per il volontariato: «La
rete che abbiamo costruito è solida. Il governo non toccherà
nulla, anche se abbiamo dovuto più di una volta ricorrere
al Tribunale amministrativo regionale per respingere il tentativo
del governo di ridurre la quota degli accantonamenti delle Fondazioni
bancarie».
Un giudizio rassicurante ma a fosche tinte.
Anche i banchieri del volontariato, infatti, sono pronti a protestare
se passerà l'idea di trasformare il volontariato in una barella
dello Stato sociale. Ma non è tutto. Il governo da un lato
sta pensando di trasferire a Milano, dove ha sede l'Agenzia delle
organizzazioni sociali senza scopo di lucro, buona parte degli uffici
della direzione generale per il volontariato del ministero del Welfare.
E dall'altro lato, ha in serbo di trasformare la conferenza nazionale
dell'associazionismo da triennale ad annuale, imponendo nuovi criteri
di rappresentanza.
Più che di un cambiamento, si tratta
di una rivoluzione che sta rovinando il sonno a molti operatori
del terzo settore. Un esercito di circa 5 milioni di persone, la
metà donne, impegnate in attività di volontariato
sul territorio di residenza. Anche l'età media cambia: sempre
più adulti e soprattutto anziani, sempre meno giovani e adolescenti.
Secondo l'ultimo rapporto della Fivol, la Fondazione italiana per
il volontariato, «le nuove associazioni nascono per iniziativa
di piccoli gruppi di cittadini e le motivazioni politiche o confessionali
sono sempre meno importanti». Niente politica dunque, né
manifestazioni. Solo impegno civico e sociale. La sirena no global
qui non è di moda. I volontari fotografati dalla Fivol non
vanno alle manifestazioni, non inseguono ministri e imprenditori
da un angolo all'altro del pianeta, non partecipano ai cortei contro
il G8 e il Fondo monetario internazionale. Un universo di moderati,
pensionati e professionisti della buona azione che piace al governo
di centro-destra. Che lavora e non protesta. Tutto solidarietà,
casa e chiesa. Un esercito perfetto di formiche della solidarietà
che mai scenderebbero in piazza contro il nuovo modello di Stato
sociale.
I rappresentanti del terzo settore sono comunque
pronti a tirare fuori le unghie se passerà l'idea di ridurre
il volontariato «a semplice stampella del welfare».
Lo hanno detto i presidenti delle organizzazioni più grandi:
da Edo Patriarca del Forum del terzo settore a Tom Benettollo delle
Arci, da Luigi Bobba delle Acli a Emanuele Alecci del Movi. «Speravamo
di essere alla vigilia di una stagione attenta ai diritti civili,
invece ci stanno lasciando da soli in una pericolosa indifferenza»,
dice don Vinicio Albanesi, presidente del Cnca, una rete nazionale
di 270 comunità presenti in 14 regioni, con le risorse che
provengono per circa il 60 per cento dal settore pubblico e il resto
dall'autofinanziamento. Una struttura di lotta alla tossicodipendenza
che sarà a rischio, se passerà il progetto di riforma
del nuovo welfare. «Da parte del nuovo governo», aggiunge
don Vinicio, «ci sono state tante parole ma sono rimaste tali.
È vero, ogni tanto arrivano le briciole, c'è un po'
di elemosina».
Sulla stessa linea anche don Luigi Ciotti del
Gruppo Abele, l'ideatore dell'associazione Libera e di tante altre
iniziative, in giro per l'Italia, contro la droga, la cultura mafiosa
e la povertà che mangia città e campagne. «Abbiamo
lavorato per la riconciliazione con gli ultimi, ma ora rischiamo
di essere spazzati via nel nome della sicurezza e della precarietà»,
dice don Ciotti. «Ci sono persone che hanno diritti solo se
lavorano. E li perdono quando il lavoro non c'è più.
Ma con gli ultimi non si gioca».
A preoccupare gli operatori delle organizzazioni
di volontariato è, in particolare, il ruolo e lo spazio che,
nei progetti del governo, potrebbe assumere l'impresa sociale a
danno delle cooperative e delle associazioni che già erogano
servizi di utilità sociale. Il modello di riferimento che
ha in mente il governo è quello che sta alla base delle attività
di Comunione e liberazione, movimento appoggiato da Forza Italia,
dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, e dal sottosegretario
al Welfare Maria Grazia Sestini.
«Questo modello di impresa sociale potrebbe
imporsi molto rapidamente e rischia di schiacciare, nei prossimi
anni, il ruolo e gli ambiti di intervento del volontariato italiano»,
sottolinea Edo Patriarca del Forum del terzo settore, il più
importante cartello non profit a cui aderiscono centinaia di associazioni,
organizzazioni di volontariato e gruppi di solidarietà italiani.
Tutti d'accordo, dunque: «I progetti
che ha in testa il ministro Maroni non sono accettabili, ma il confronto
deve andare avanti», dicono. Cinque i punti in agenda: le
modifiche alla Finanziaria, gli sgravi fiscali, la riforma delle
Fondazioni, la cooperazione internazionale e il ruolo del volontariato
nell'erogazione dei servizi. Gli ottimisti si contano sulle dita
di una mano, mentre si guarda con grande attenzione alle proposte
dell'Ulivo, che propone ad esempio di destinare alle ong il 3 per
cento del fondo per l'Aiuto ai Paesi in via di sviluppo, in modo
da incentivare progetti e iniziative, e in parallelo invita ad aumentare
di 30 milioni di euro annui tra il 2003 e il 2005 i fondi destinati
al servizio civile.
Intanto don Vinicio Albanesi ha sbarrato la
strada a qualsiasi riconciliazione, e ha invitato a diffidare di
«un governo che non ha una politica sociale, pensa alle dentiere
di plastica ma si dimentica di anziani e pensionati». Una
posizione che non è piaciuta a una fetta del mondo cattolico,
a partire dalla Caritas che, alla conferenza di Arezzo, si è
presentata con un documento separato. Le associazioni di volontariato
sono strette in un vicolo cieco. Da un lato, lo spettro del modello
anglosassone, tutto impresa sociale e carità, stile dame
di san Vincenzo; dall'altro, il rischio di vedersi trasformate in
semplici erogatrici di servizi per non scomparire. Per paradosso,
l'unica speranza di frenare i piani della coppia Maroni-Tremonti
è riposta all'interno della maggioranza. E, in particolare,
nel blocco formato dai parlamentari dell'Udc e dall'ala moderata
di Forza Italia, che non vedono di buon occhio le idee di un volontariato
italiano made in Usa.
Lo scontro è in atto. «Il rischio,
come dice un funzionario del Welfare, «è che vincano
i falchi e trasformino il volontariato in una piccola riserva naturale».
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