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articolo tratto da "L'Espresso" del 31 ottobre 2002
 
non profit / i piani del governo
VOLONTARI NELLA BUFERA
 

di Andrea Benvenuti, L'Espresso

Meno aiuti. Meno potere alle grandi organizzazioni. E meno libertà d'azione. Così Maroni sta rivoluzionando il pianeta Onlus. Tra liti e polemiche

Ci sono persone che pubblicamente criticano il governo e privatamente chiedono favori... Le parole del ministro del Welfare, Roberto Maroni, sulla presunta «doppia morale» delle organizzazioni di volontariato sono difficili da dimenticare. Un attacco duro, quello del ministro leghista, che ha lasciato di stucco i rappresentanti dell'associazionismo durante i lavori dell'ultima giornata della Conferenza di Arezzo: la prima proposta da un governo di centro-destra. Una gaffe? Le solite dichiarazioni travisate dai giornalisti? Macché. Il ministro del Welfare ha confermato il succo del suo intervento e ha fatto capire che il governo è pronto a mettere mano ai criteri di rappresentanza dell'associazionismo per assicurare, anche alle organizzazioni più piccole, spazi di sopravvivenza. Guarda caso, però, le organizzazioni dalla «doppia morale» sarebbero sempre le stesse: quelle «vicine ai partiti del centro-sinistra».

Difficile credere che Maroni abbia a cuore soltanto i meccanismi della rappresentanza. Il centro-destra ha un obiettivo chiaro: nell'idea di nuovo welfare, lo Stato si dovrà ritirare da settori chiave come scuola, sanità, assistenza e pensioni. E dovrà lasciare spazio al privato e alle imprese sociali, con una piccola quota riservata al volontariato in nome del principio di sussidiarietà. Ma per fare questo sembra che il governo non abbia alternativa: scardinare le associazioni più grandi e ricondurre a ragione quelle contrarie.

Quello del ministro non è infatti che l'ultimo di una lunga serie di attacchi al mondo del volontariato. Esattamente un anno fa, il ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, accusò i rappresentanti dell'associazionismo di essere «politicizzati, non trasparenti e poco affidabili». Tutti molto bravi a riempire le piazze ma incapaci a gestire i bilanci delle proprie strutture. Dichiarazioni che provocarono un putiferio. Poi sono arrivati i tagli al rinnovo delle convenzioni ministeriali. Tra le organizzazioni escluse dai finanziamenti, ci sono ad esempio il Gruppo Abele fondato da don Luigi Ciotti e il Cnca, il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza guidato da don Vinicio Albanesi. E infine, negli ultimi mesi, si sono ripetuti gli attacchi della Lega nei confronti dei vescovi e delle organizzazioni cattoliche che, come la Caritas, «sfruttano i poveri» e «nascondono gli immigrati irregolari», dicono i ministri padani.

A completare la strategia di attacco al terzo settore italiano, ci hanno pensato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il ministro Roberto Maroni. Come? Chiudendo il rubinetto dei finanziamenti pubblici. A partire dalla Finanziaria, che non prevede risorse per il non profit e impone tagli agli enti locali, comuni e regioni soprattutto, da cui le organizzazioni di volontariato traggono importanti sostentamenti. Proseguendo con il progetto di riforma delle Fondazioni bancarie che, nell'ipotesi Tremonti, saranno obbligate a individuare solo tre settori di intervento, in modo che a farne le spese saranno i servizi di assistenza alle fasce deboli della popolazione: anziani, disabili, senzatetto e immigrati.

Rimane invece un punto interrogativo il futuro dei Centri di servizio per il volontariato, 55 sedi provinciali, presenti in tutta Italia ad eccezione di Campania, Calabria e Puglia. Rappresentano la cassaforte dell'associazionismo. Svolgono attività di consulenza, formazione, fund raising e finanziamento. Nel 2001, la disponibilità finanziaria che deriva dagli accantonamenti delle Fondazioni bancarie è stata di 28 milioni di euro; tetto che verrà superato alla fine di quest'anno.

Rassicurante il parere di Marco Granelli, portavoce nazionale dei Centri di servizio per il volontariato: «La rete che abbiamo costruito è solida. Il governo non toccherà nulla, anche se abbiamo dovuto più di una volta ricorrere al Tribunale amministrativo regionale per respingere il tentativo del governo di ridurre la quota degli accantonamenti delle Fondazioni bancarie».

Un giudizio rassicurante ma a fosche tinte. Anche i banchieri del volontariato, infatti, sono pronti a protestare se passerà l'idea di trasformare il volontariato in una barella dello Stato sociale. Ma non è tutto. Il governo da un lato sta pensando di trasferire a Milano, dove ha sede l'Agenzia delle organizzazioni sociali senza scopo di lucro, buona parte degli uffici della direzione generale per il volontariato del ministero del Welfare. E dall'altro lato, ha in serbo di trasformare la conferenza nazionale dell'associazionismo da triennale ad annuale, imponendo nuovi criteri di rappresentanza.

Più che di un cambiamento, si tratta di una rivoluzione che sta rovinando il sonno a molti operatori del terzo settore. Un esercito di circa 5 milioni di persone, la metà donne, impegnate in attività di volontariato sul territorio di residenza. Anche l'età media cambia: sempre più adulti e soprattutto anziani, sempre meno giovani e adolescenti. Secondo l'ultimo rapporto della Fivol, la Fondazione italiana per il volontariato, «le nuove associazioni nascono per iniziativa di piccoli gruppi di cittadini e le motivazioni politiche o confessionali sono sempre meno importanti». Niente politica dunque, né manifestazioni. Solo impegno civico e sociale. La sirena no global qui non è di moda. I volontari fotografati dalla Fivol non vanno alle manifestazioni, non inseguono ministri e imprenditori da un angolo all'altro del pianeta, non partecipano ai cortei contro il G8 e il Fondo monetario internazionale. Un universo di moderati, pensionati e professionisti della buona azione che piace al governo di centro-destra. Che lavora e non protesta. Tutto solidarietà, casa e chiesa. Un esercito perfetto di formiche della solidarietà che mai scenderebbero in piazza contro il nuovo modello di Stato sociale.

I rappresentanti del terzo settore sono comunque pronti a tirare fuori le unghie se passerà l'idea di ridurre il volontariato «a semplice stampella del welfare». Lo hanno detto i presidenti delle organizzazioni più grandi: da Edo Patriarca del Forum del terzo settore a Tom Benettollo delle Arci, da Luigi Bobba delle Acli a Emanuele Alecci del Movi. «Speravamo di essere alla vigilia di una stagione attenta ai diritti civili, invece ci stanno lasciando da soli in una pericolosa indifferenza», dice don Vinicio Albanesi, presidente del Cnca, una rete nazionale di 270 comunità presenti in 14 regioni, con le risorse che provengono per circa il 60 per cento dal settore pubblico e il resto dall'autofinanziamento. Una struttura di lotta alla tossicodipendenza che sarà a rischio, se passerà il progetto di riforma del nuovo welfare. «Da parte del nuovo governo», aggiunge don Vinicio, «ci sono state tante parole ma sono rimaste tali. È vero, ogni tanto arrivano le briciole, c'è un po' di elemosina».

Sulla stessa linea anche don Luigi Ciotti del Gruppo Abele, l'ideatore dell'associazione Libera e di tante altre iniziative, in giro per l'Italia, contro la droga, la cultura mafiosa e la povertà che mangia città e campagne. «Abbiamo lavorato per la riconciliazione con gli ultimi, ma ora rischiamo di essere spazzati via nel nome della sicurezza e della precarietà», dice don Ciotti. «Ci sono persone che hanno diritti solo se lavorano. E li perdono quando il lavoro non c'è più. Ma con gli ultimi non si gioca».

A preoccupare gli operatori delle organizzazioni di volontariato è, in particolare, il ruolo e lo spazio che, nei progetti del governo, potrebbe assumere l'impresa sociale a danno delle cooperative e delle associazioni che già erogano servizi di utilità sociale. Il modello di riferimento che ha in mente il governo è quello che sta alla base delle attività di Comunione e liberazione, movimento appoggiato da Forza Italia, dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, e dal sottosegretario al Welfare Maria Grazia Sestini.

«Questo modello di impresa sociale potrebbe imporsi molto rapidamente e rischia di schiacciare, nei prossimi anni, il ruolo e gli ambiti di intervento del volontariato italiano», sottolinea Edo Patriarca del Forum del terzo settore, il più importante cartello non profit a cui aderiscono centinaia di associazioni, organizzazioni di volontariato e gruppi di solidarietà italiani.

Tutti d'accordo, dunque: «I progetti che ha in testa il ministro Maroni non sono accettabili, ma il confronto deve andare avanti», dicono. Cinque i punti in agenda: le modifiche alla Finanziaria, gli sgravi fiscali, la riforma delle Fondazioni, la cooperazione internazionale e il ruolo del volontariato nell'erogazione dei servizi. Gli ottimisti si contano sulle dita di una mano, mentre si guarda con grande attenzione alle proposte dell'Ulivo, che propone ad esempio di destinare alle ong il 3 per cento del fondo per l'Aiuto ai Paesi in via di sviluppo, in modo da incentivare progetti e iniziative, e in parallelo invita ad aumentare di 30 milioni di euro annui tra il 2003 e il 2005 i fondi destinati al servizio civile.

Intanto don Vinicio Albanesi ha sbarrato la strada a qualsiasi riconciliazione, e ha invitato a diffidare di «un governo che non ha una politica sociale, pensa alle dentiere di plastica ma si dimentica di anziani e pensionati». Una posizione che non è piaciuta a una fetta del mondo cattolico, a partire dalla Caritas che, alla conferenza di Arezzo, si è presentata con un documento separato. Le associazioni di volontariato sono strette in un vicolo cieco. Da un lato, lo spettro del modello anglosassone, tutto impresa sociale e carità, stile dame di san Vincenzo; dall'altro, il rischio di vedersi trasformate in semplici erogatrici di servizi per non scomparire. Per paradosso, l'unica speranza di frenare i piani della coppia Maroni-Tremonti è riposta all'interno della maggioranza. E, in particolare, nel blocco formato dai parlamentari dell'Udc e dall'ala moderata di Forza Italia, che non vedono di buon occhio le idee di un volontariato italiano made in Usa.

Lo scontro è in atto. «Il rischio, come dice un funzionario del Welfare, «è che vincano i falchi e trasformino il volontariato in una piccola riserva naturale».


 

  tratto da "L'Espresso" del 31 ottobre 2002
 

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