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articolo tratto da l'Unità
 
Il piccolo golpe di Castelli

 

 

 

di Gianni Vattimo

Esageriamo, come al solito, oppure la decisione annunciata martedì sera dal ministro Castelli può essere chiamata un (piccolo?) golpe? Dopo anni che i portavoce del Cavaliere parlano del golpe giudiziario che sarebbe avvenuto o sarebbe in corso in Italia, ci si permetterà di usare il termine in un senso che è certamente più appropriato, giacché qui non si minaccia solo di mandare in galera, con tutti i crismi della giustizia costituzionalmente stabilita e anche con le garanzie previste dalle leggi (revisioni, appelli, ecc.), persone eventualmente riconosciute colpevoli di reati. Qui, con la pretesa di applicare letteralmente la legge (senza tutte le noiose e pericolose "interpretazioni" in cui eccellono i magistrati), si dà una spallata alla divisione del poteri sancita da tutte le costituzioni liberali, e anche, così crediamo ancora, dalla nostra. Con l'aggiunta della deliberata volontà di provocazione e dell'uso spudorato della menzogna. Non alludiamo solo alla faccia da schiaffi del ministro, che ce l'ha forse per natura ma che se ne fregia con manifesta soddisfazione e deliberata enfasi; bensì alla paradossale pretesa che tutto ciò sia fatto per evitare che magistrati politicamente orientati usino delle procedure legali per perseguitare politici e uomini di governo. Ora, mentre l'azione persecutoria dei pubblici accusatori e dei giudici (ma questi ultimi, soprattutto, si limitano a fare rigorosamente il loro mestiere, cercando di tirare avanti il dibattito ) è solo presupposta con un processo alle intenzioni (ma nessuno ricorda che Di Pietro è sempre stato un uomo assai poco di sinistra, così come qualche esponente dello stesso pool di Milano), l'atto del ministro è papale papale un modo di metter fine, con un provvedimento amministrativo, a un processo che, guarda caso, vede come imputati il suo capo del governo e alcuni sodali politico-affaristici del medesimo. Castelli, a meno di non prendere in senso troppo estensivo l'accusa di ignoranza abissale che giustamente gli rivolge Borrelli in una intervista di ieri, non può ignorare che una ennesima interruzione significherebbe, per questo procedimento, una fine completa e senza alternative, giacché i termini di prescrizione, che hanno già di recente aiutato Berlusconi a venir prosciolto da accuse analoghe, garantirebbero un esito identico anche a questo caso. Se non è un golpe giudiziario questo, non sappiamo che cosa mai possa meritare un simile nome. E intanto la sinistra dovrebbe ancora lasciarsi insultare da questa gang di impuniti che l'accusano di voler far politica con l'aiuto dei tribunali, magari presentandosi per discolparsi al solo "tribunale" che oggi sembra ancora riconosciuto in Italia, l'orrido teatrino di Vespa? (È ora di dire basta anche a questo, lasciamo che Berlusconi e i suoi famigli parlino tra di loro, che si scambino untuosamente le loro finte domande e risposte e magari continuino a disegnare sulle loro lavagne grandi progetti di opere pubbliche da appaltare ai costruttori di regime. Con tutto il rispetto, non per Vespa naturalmente, non vorremmo più vedere Fassino o altri esponenti dei DS prestarsi al gioco del finto dibattito «sereno», nel salotto di Rai 1; «parlare di alberi», come diceva Brecht, o discutere con gli affossatori della democrazia, «è quasi un delitto, è tacere di tanti misfatti».)

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articolo tratto da l'Unità del 08/01/2002
   

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