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tratto da L'Unità del 5/5/2003


 

 

 








 
SME, la lunga storia della "svendita"

 

 

 


La vicenda Sme inizia il 30 aprile 1985. In quel giorno l’allora presidente dell’Iri Romano Prodi e Carlo De Benedetti, che pochi mesi prima aveva rilevato la Buitoni, si accordano per la cessione della Sme, la società che riuniva le attività agro-alimetari Iri.

Ma l’accordo fissato al prezzo di acquisto di 497 miliardi di lire non riesce ad arrivare in porto. E la somma che il gruppo Cir di De Benedetti si impegna a pagare con l’aiuto di soci finanziatori come Mediobanca e l’Imi è al centro da quel momento in poi di una serie di polemiche non ancora risolte.

A sole 48 ore dall’annuncio del contratto Bettino Craxi, allora a Palazzo Chigi, esprime dubbi sulla congruità dell’operazione. Per il capo del governo vi sarebbero da rilevare «forti perplessità sia in ordine alle modalità procedurali, siaq in ordine al merito». È quanto Bettino Craxi afferma in una lettera al ministro delle Partecipazioni statali, il dc Clelio Darida facendo chiaramente capire che il prezzo pattuito per la cessione della Sme sarebbe troppo basso.

Prodi però non cede. La questione arriva al consiglio d’amministrazione dell’Iri. Per il presidente quel denaro serviva ad alleggerirte il peso dei debiti che gravava sull’Iri che nel settore dolciario del gruppo Sme andava perdendo sempre più denaro. Nel 1984 aveva perso ben 47 miliardi. Fino a quando il 28 maggio arriva all’Iri una proposta d’aquisto Sme da parte di una cordata nata ad hoc che mette sul piatto delle trattative 600 miliardi. Cento miliardi in più rispetto a De Benedetti. Si tratta della Iar, una società costituita dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, dai due gruppi alimentari Barilla e Ferrero e dalla Conserve Italia delle cooperative bianche.

Il 15 guigno salta tutto. Darida annuncia che la holding pubblica dell’allimentare dovrà essere messa all’asta. Si fanno avanti altre coordate tra cui una delle Coop rosse. Da questo momento in poi l’intera vicenda si trasferisce dentro le aule di giudtizia. La Buitoni di De Benedetti infatti fa ricorso per ottenere che il contratto originario, quello del 30 aprile, venga onorato dall’Iri. Ma il tribunale di Roma presieduto da Filippo Verde respinge l’istanza dichiarando annullato il contratto. Sarebbe proprio questo il verdetto secondo l’accusa comprato al centro del processo in corso a Milano.

De Benedetti perde il ricorso sia in corte d’appello (marzo 1987) sia in Cassazione (marzo 1988). L’ingegnere decide allora di cedere le attività nel settore alimentare vendendo la Buitoni alla Nestlè.

Tra il 1993 e il 1994 l’Iri cede la Sme divisa in tronconi. Complessivamente ottiene 2000 miliardi di lire. L’ Italgel con Motta e Alemagna finisce alla Nestlè, l’olio Bertolli alla Unilever, la Pavesi alla Barilla, Gs e autogrill a una cordata guidata dai Benetton e da Leonardo Del Vecchio. La Cirio è prima venduta all’imprenditore Lamiranda poi passa a Sergio Cragnotti.
Per De Benedetti la cifra più alta è dovuta all’ingresso delle multinazionali nel mercato. Ma la questione sul prezzo resta aperta.

   

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