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articolo tratto da "l'Unità" del 2 febbraio 2002
 
Chi è nato per studiare e chi è nato per zappare

intervista a Domenico Starnone

Ci ha raccontato la scuola nei suoi libri (”Ex cattedra”,”Fuori registro” e “Solo se interrogato”), dal punto di vista dei docenti e da quello degli studenti. Ce l’ha raccontata in una commedia, “Sottobanco”, nel 1993. Attraverso due film «La scuola» di Lucchetti, e «Auguri professore», di Milani. L’ha vissuta ogni giorno per trent’anni, insegnando. Perciò il suo è un riso amaro quando apprende che secondo il presidente del Consiglio Berlusconi, dalla Riforma Gentile ad oggi nulla si è fatto per la scuola. Domenico Starnone, l’eclettico scrittore napoletano, passato dall’insegnamento, alla letteratura, ai testi per il Cinema, è davvero preoccupato quando parla di scuola, di quella che la destra vorrebbe vedere realizzata. O del concetto di individuo che la nuova classe politica al potere sta cercando di materializzare: un uomo senza dubbi, fedele al leader. Non una scuola per crescere, «quella per cui ci siamo battuti durante questi anni», ma una scuola dove si ratificano i buoni e i cattivi e non si «fanno crescere i cattivi, come i buoni». Insomma, il pensiero, dice lo scrittore, torna inevitabilmente indietro nel tempo. Molto indietro, «prima ancora degli anni Sessanta». La tendenza, dice, «è quella di tornare ad una scuola che seleziona vincenti e che funziona in rapporto alla selezione».

Professore, il governo Berlusconi ha «riformato» la scuola. Dice il premier: finalmente abbiamo fatto quello che in 70 anni non è riuscito a nessuno. Lei, che la scuola la conosce, che dice?

Sarebbe vero se questa fosse realmente una riforma della scuola. In realtà resta tutto formalmente come prima, tranne qualche pericoloso contentino a Bossi. Pur tra molte contraddizioni la scuola come è emersa dalla fine degli anni Sessanta ha fatto molti sforzi per cambiare, in qualche modo per autoriformarsi, quando la politica istituzionale considerava la scuola niente altro che un serbatoio di voti. Molti nodi non sono stati sciolti, spesso la burocrazia ha prevalso, ma ci sono state anche esperienze ricche che hanno provato strade per cambiare. La riforma berlusconiana rischia di essere un colpo di spugna e un arretramento.

Anche la scuola Berlusconi-Moratti sembra rientrare nel concetto di Stato-azienda, dove la tentazione del privato è fortissima. Ma il «pubblico», inteso come servizio, che futuro avrà?

La vera riflessione è sul presente, su quanto di devastante è gia in atto nelle politiche del centro destra nel pubblico, e nella scuola in particolare. Loro sono riusciti a cambiare velocemente nel comune sentire il senso del pubblico. Si rischia che anche la scuola diventi un coacervo di elementi di vario tipo. La loro tentazione è quella di trasformare in senso aziendalistico anche la scuola rendendola un settore di cui lo Stato dovrà interessarsi sempre meno. Per questo vengono eliminate le «spese varie», come le intendono loro, che vanno dal tempo pieno al tempo prolungato, all’accorpamento di classi ai tagli di cattedre.

Berlusconi identifica la rivoluzione scolastica nelle tre «I»: internet inglese e impresa. Cosa si dovrebbe contrapporre a queste tre «I»?

Anche la concezione della scuola di Berlusconi è parte della sua concezione dell’uomo in genere. Un approccio molto, molto lontano, da come si dovrebbe intendere la funzione della scuola, che dovrebbe puntare alla crescita dell’individuo non solo come futuro lavoratore, ma come cittadino, come essere umano. E qui dovremmo capire cosa intendono Berlusconi e la Moratti, quando parlano di scuola più seria. Credo che nel loro progetto ci sia il sogno di una scuola che torni al “chi è nato per studiare, chi è nato per zappare”. Ma la scuola, oggi, con tutti i suoi problemi, ha momenti di grande intensità determinati dal rapporto che si instaura tra gli insegnati e gli alunni che è fatto di trasmissione di informazioni ma anche di riflessione e comprensione del mondo che ci circonda. Di scambio di reciproco arricchimento. Il vero obiettivo che si doveva centrare con una riforma era quello di dotare docenti e alunni di una struttura adeguata alla società complessa in cui viviamo.

Se dovesse parlare per immagini, qual è la prima che le viene in mente pensando a questa riforma?

Mi viene in mente l’immagine di una scuola irrigimentata con insegnanti sempre più concentrati a produrre pagelle, fabbricare esami e mettere voti, con il terrore di essere a loro volta sottoposti a tutto ciò. E penso anche ad una scuola che ratifica disuguaglianze, anziché colmarle. La destra ha occupato anche l’ultimo quadratino che era rimasto libero. Forse il centrosinistra avrebbe dovuto fare di più.
Poiché è improbabile che il progetto di restaurazione della destra passi realmente nella vita quotidiana della scuola il rischio è che questa riforma diventi di pura facciata e assecondi il degrado della scuola pubblica.


  tratto da "l'Unità" del 2 febbraio 2002

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