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articolo tratto da l'Unità del 10.2.02
 
Berlusconi vuol tenersi tutto

 

 

 

intervista a Giovanni Sartori

Morire per Danzica?, ci si chiedeva nella Francia del 1939. L'opinione pubblica non aveva voglia di far la guerra a Hitler per un problema che non sentiva come suo. Poi ci pensò lui a risolvergli il dilemma. Il paragone che mi viene in mente le sembrerà forzato. Ma ho l'impressione che ora c'è chi si chiede: Morire per la Legge Frattini? Professor Giovanni Sartori, la legge Frattini sul conflitto di interessi è in dirittura di arrivo. Silvio Berlusconi ha ora fretta. Ma vorrei cominciare a chiederle di qualcosa che mi pare non quadri. Lo scontro su questa legge è caldissimo, rovente direi, in Parlamento. Ma il Paese sembra freddino, non pare appassionarcisi. Come mai?

«Dai sondaggi risulta che un 20 per cento dell'opinione pubblica sente il problema e lo indica tra le priorità. È poco? È molto? Secondo me non è poco. Il conflitto di interessi non è il calcio. Non è un problema concreto come lo sono la delinquenza, la disoccupazione, la pensione. Il conflitto di interessi invece non è capito dalla Signora Sbattista (come ho avuto occasione di scrivere) e da chi, come lei, "se ne sbatte". Interessa chi ha senso civico e sa vedere al di là del proprio naso. Se questo pubblico arriva a un 20 per cento, a me sembra già tanto».

D'accordo: poco o molto sono valutazioni relative. Ma mi permetta di continuare a chiederle: perché il 20 invece, mettiamo, del 33 per cento?

«La risposta è ovvia: è che Berlusconi ha avuto, e avrà sempre di più il potere di "falsare", o altrimenti "silenziare" il problema. Che è gravissimo proprio per questo».

A Montecitorio ora siamo al muro contro muro. Ma non era proprio possibile cercare un compromesso tra la Frattini-Cajanello da una parte e il «modello americano» - se così possiamo definirlo per comodità - dall'altro?

«Se io chiedo 100 e il mio acquirente mi offre 50, il compromesso è 75. Ma se io voglio un cane, e mi viene offerto un gatto, il problema diventa di scelta. Non lo posso risolvere con un ‘can-gatto’, un animale mezzo cane e mezzo gatto. Il can-gatto magari piacerebbe al Quirinale, ma purtroppo non esiste. Nel caso del conflitto di interessi il negoziato parte da questo diktat: io (Berlusconi) mi tengo tutto, e nemmeno accetto che il mio malfare (se ci fosse) venga sanzionato. Su questa premessa, sulla base di questo diktat, cosa c'è da negoziare? Solo la resa del gatto che si lascia mangiare dal cane. Tante grazie, no».

Ma perché prima Berlusconi ha aperto sulla proposta Caianiello, per poi rifiutarla irrigidendosi sulla proposta Frattini?

«Dichiarandosi aperto alla Caianiello il Cavaliere - che è furbissimo - vendeva al Paese l'immagine del ‘dialogante’. Il che gli ha servito per poi addebitare il rifiuto del dialogo alla sinistra. In realtà la differenza tra la Frattini e la Caianiello era tra zuppa e pan bagnato. Aprendosi alla Caianiello Berlusconi non rischiava nulla, quasi nulla. Comunque, dopo aver fatto l'ammoina, il cavaliere è tornato ad una Frattini peggiorata, e cioè ancor più sterzata a suo vantaggio da un'idea di Caianiello».

Quale?

«L'idea di rinunziare ad una autorità ad hoc, diciamo speciale e sopraelevata rispetto alle altre, per affidare il controllo sull'‘abuso di interesse’ a una autorità già esistente: la anti-trust (attualmente presieduta da Tesauro). Ora, a parte il fatto che l'anti-trust ha dovuto sinora accettare un duopolio (dei media) che ne ha rivelato l'impotenza, il punto a segnalare è che le decisioni dell'anti-trust sono assoggettate al ricorso al Tar. Così la disciplina del conflitto di interessi si andrà subito ad insabbiare nella morta gora della ‘Repubblica dei Tar’. Geniale. Segnalo il progresso al vigile occhio del Colle».

Veniamo alla proposta della sinistra che viene riassunta nella dizione di ‘modello americano’. Che modello è? Può provare a spiegarcelo?

«Cerco. Anche se non è facile, perché si tratta di un modello flessibile e molto complesso. Negli Stati uniti il problema è di ethics in government, etica nel governo. Etica, capito? In Italia siamo invece in mano a giuristi che non vogliono macchiare la loro ‘purezza’ con intrusioni impure (appunto, etiche). Comunque, negli Stati uniti il problema è stato affrontato mediante una serie di leggi, specialmente l' Ethics in Government Act del 1978 e l' Ethics Reform Act del 1989; dopodiché entrano in scena una molteplicità di organi (sei al livello federale, e una miriade agli altri livelli) che provvedono all'attuazione di questa normativa. Fermo due punti. Primo, che è vero che nessuna legge impone come regola generale l'obbligo della alienazione dei beni, e nemmeno del blind trust (salvo casi speciali). Secondo, che è altrettanto vero che tanto l'alienazione come il blind trust possono essere imposte in modo irresistibile dagli organismi che vagliano singolarmente i casi concreti. Valga un esempio per tutti: quello dell'OGS (Office of Government Ethics) che è l'agenzia federale che deve controllare tutte le nomine (circa 20.000) proposte dall'esecutivo. Orbene, per tutte queste nomine se l'OGS non dà il nulla osta, il Senato non approva la nomina. E per dare il suo nulla osta l'OGS impone le sue condizioni, ivi inclusa la vendita. Pertanto chi ci racconta che negli Stati uniti tutta la disciplina del conflitto di interessi è lasciata alla libera volontà dei coinvolti ci racconta una favola».

Bene. Ma c'è chi, come l'elefantino Giuliano Ferrara sul Foglio, e altri amici di Berlusconi contrappone al suo ragionamento un caso concreto: quello del nuovo sindaco di New York Michael Bloomberg, il magnate che non vende e sarà controllato da un board che nomina lui. Lei non trova qualche analogia tra il caso Barlusconi e il caso Bloomberg?

«No, direi di no. È vero che New York non è un comune qualsiasi. Ma per quanto grande e importante, si tratta pur sempre di una amministrazione locale. Il sindaco di New York ha forti poteri amministrativi, ma non ha poteri legislativi. Le leggi per lo Stato di New York vengono fatte ad Albany, la capitale dello Stato, e sono di competenza del governatore Patakis. L'analogo americano di Berlusconi è invece il presidente Bush. Che ha alienato (sia lui, come i membri del suo governo) i beni in odore di conflitto di interesse. L'analogia valida è questa: e Berlusconi la viola alla grandissima».

Con Bloomberg resta però l'analogia che entrambi sono entrati in politica e sono stati eletti con imperi aziendali mediatici alle spalle.

«Va bene. Ma quello di Bloomberg, nel contesto degli imperi di New York, è un ‘imperino’ da poco. Il suo valore è stimato in 5 miliardi di dollari. E non si stratta in nessun modo di un patrimonio strategico, di rilevanza strategica. Al 95 per cento i redditi della sua società provengono dal noleggio di 160.000 terminali che forniscono più che altro informazioni finanziarie. Il potere mediatico di Bloomberg è quindi modestissimo. L'opinione, a New York, la fa il New York Times. Pertanto non si prevede che l'organo che decide su Bloomberg (il New York Conflict of Interests Board, vedete quanti ce n'è) raccomando un'alienazione. Questa sarebbe una sanzione sproporzionata. Ma, appunto, Bloomberg sta a Berlusconi come un moscerino sta ad un'aquila reale».

Torniamo all'Italia. E da noi come andrà a finire?

«La previsione è facile. Berlusconi ha in Parlamento una maggioranza schiacciante. Quindi può imporre l'approvazione della Frattini, ivi inclusi tutti i peggioramenti della stessa che gli faranno comodo. Il problema è se otterrà anche la legittimazione del Capo dello Stato. Questo è l'unico punto incerto. Io sospetto sempre di più che il Presidente si arrenderà senza nemmeno dissociarsi».

Quali sono le basi di questo suo "sospetto"?

«Il segnale è stato, per me, la nomina del ministro delle Infrastrutture Lunardi. Il suo era un caso clamoroso e indubbio di conflitto di interessi. Come ministro andrà ad erogare a sé stesso - come progettista - decine di migliaia di miliardi. Ciampi ha lasciato passare, facendo finta di non vedere. Eppure, il suo predecessore, il presidente Scalfaro, rifiutò di firmare la nomina a ministro della Giustizia di Previti. E in passato il Quirinale era intervenuto sui governi e sulla loro composizione ancora più a fondo. Il presidente Einaudi impose ad un Parlamento riluttante il primo ministro Pella. E Ciampi deve le sue fortune ad un'analoga imposizione: il suo insediamento come capo del governo fu ‘forzato’ da Scalfaro. Il Quirinale non ci racconti, allora, che non poteva bloccare la nomina di Lunardi. Lo poteva e doveva fare. Non facendolo ha dato a Berlusconi il segnale di via libera. Che ora culmina nella versione peggiorata del progetto Frattini, in una disposizione transitoria che sana il ‘vizio’ Lunardi».

Eppure, proprio venerdì il Presidente Ciampi ha chiesto, a Genova, un'informazione pluralista, con un forte discorso interpretato come una messa in guardia a Berlusconi sulle nomine Rai.

«Il discorso era ottimo ed è piaciuto anche a me. Non vorrei però che se ne contentasse, che gli servisse per poter dire ‘vedete, ho provato’, e che tutto finisse lì. Perché a Genova, e quasi casualmente, a un giornale? Il Presidente ha un potere di messaggio alle Camere. Se vuole davvero che le sue parole abbiano peso, quello è lo strumento. E dovrebbe far sapere chiaro e forte che ricorrerà a quello strumento se il futuro presidente della Rai-tv non sarà davvero ‘terzo’ (invece che di designazione berlusconiana). In attesa io resto dubitoso. I discorsi disarmati lasciano il tempo che trovano. Tanto più che il 5 febbraio Stefano Folli (considerato molto vicino a Ciampi) lasciava intendere sulle colonne del Corriere della Sera che al capo dello Stato starebbe bene ‘un presidente (della Rai) leale alla maggioranza che lo esprime’, purché di qualità. Nel qual caso proprio non ci siamo».

Insomma, allora, vale la pena di ‘morire per la Frattini’, come per Danzica?

«Sì. Anche perché per la Frattini non c'è bisogno di morire. Berlusconi non si propone di ammazzare nessuno. E poi lui la sua Danzica l'ha già conquistata. Lo strapotere mediatico è già in sue mani. A lui manca soltanto la benedizione e la legittimazione del capo dello Stato. Vediamo se Ciampi lascerà passare la Legge Frattini come ha lasciato passare senza fiatare la nomina di Lunardi».

  articolo tratto da l'Unità del 10 febbraio 2002
   

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